venerdì 4 dicembre 2015

scelte

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valori, e chissà se ci sono ancora, ho letto su un post di paolo nori, mia figlia se li dovrà trovare da sola, i suoi valori, e io continuo a pensare che non è vero, non è mai vero. 
non è neanche questione di valori non negoziabili. 
è questione di sapere che c'è qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. di insegnare questo. essere buoni, non è facile impararlo da soli.
io non lo so se gli andranno bene, i miei valori, ai miei figli.
tanti non gli vanno già bene adesso. la chiesa è una perdita di tempo, ha scritto bruno fuori dalla chiesa. proprio davanti a casa mia.
eppure continuo a farlo venire a messa.
sempre per contrasto.
sempre a volergli bene lo stesso.
 quando sarà grande, deciderà. come per il cibo. decido io, cosa va bene mangiare. 
un giorno ero al supermercato e al banco dei salumi una mamma chiede al figlio di due anni: cosa mangiamo stasera? quello punta il ditino sulla prima cosa che vede al di là del vetro. potevano essere aringhe sotto sale, bresaola da 40 euro al chilo, ricotta affumicata. e lei gli fa: eh no, dai, e ha comprato quello che ha voluto lei. io, che non avevo figli, ho pensato che non si prendono in giro così i bambini, stronza. perché poi magari se metteva il ditino su una cosa che ti andava bene allora gli dicevi bravo! no, non si fa così. a parte che qua si trattava di sapere che bisogna limitare il delirio di onnipotenza dei bambini piccoli. invece di alimentarlo finché non ti rompe le palle. o finchè non si trova vicino un compagnetto della materna con un delirio più grande del suo. 
ma tornando ai valori, se decidi tutto tu, dei tuoi figli, cosa si mangia, cosa si mettono, dove vivono, che scuola fanno. e non gli insegni la cosa più importante, cosa è giusto e cosa è sbagliato? ma va'.
mentre scrivo sono qua che aspetto per una riunione per bruno e non so neanche se va bene che sia oggi, a quest'ora. se ho sbagliato orario. ho sempre questa paura qua. ogni volta, anche quando arrivo a scuola.
di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

giovedì 3 dicembre 2015

il mondo visto dai bambini 3 - babbo natale

bruno mario sta discutendo con suo padre. a un certo punto il padre esasperato, gli fa: ma cosa pretendi di saperne più di me????
e lui: ma cosa pretendi, che creda a uno che dice che c'è un vecchietto con la barba bianca che  va in giro con una slitta a dare i regali ai bambini????

martedì 10 novembre 2015

orizzonti

ho sentito che il nostro presidente del consiglio, che è anche segretario di un partito che ormai potrebbe chiamarsi partito del presidente (ho sentito qualcuno che lo chiama pdr, partito di renzi, ma secondo me pdp è meglio) ha detto che lui ha la felicità come orizzonte politico.
che chissà cosa vuol dire, ho pensato, l'orizzonte politico.

poi non c'entra niente ma stasera sono andata all'incontro per i genitori dei bambini che faranno la prima confessione, e il parroco ci ha chiesto cos'è per noi la confessione, e la catechista ce l'aveva anche suggerita, la risposta, 'la confessione è un incontro con gesù', ma io volevo dire la mia, tanto per cambiare, e ho detto che per me la confessione è un sacramento, e prima che finissi e dicessi che per me è l'esperienza straordinaria di essere perdonata veramente, ed è un'occasione per cambiare vita, di rifare la stessa strada correggendola, come dicono gli ebrei e come ha fatto il figliol prodigo, il parroco mi ha detto che 'sacramento' per lui è una parola troppo difficile, astratta credo volesse dire (ma non l'ha detto), e io invece ho detto che per me sacramento è una cosa molto importante, ma ormai era già passato a un altro genitore.
 non vado bene neanche al catechismo, ormai.

domenica 8 novembre 2015

ancora una cosa


quando ho scritto il post sulla pietà, la tenerezza e la misericordia, il papa e il Che volevo dire un'altra cosa, che poi ho preso un'altra strada e mi son dimenticata di finire il discorso, volevo dire che quello che a me non mi convince in tutta questa misericordia del papa e di tutto questo entusiasmo che lui e i suoi discorsi suscitano in tutti, soprattutto quelli che non frequentano tanto la chiesa, e non che questa cosa mi dispiaccia, sia chiaro, ma è che mi sembra tanto che tutti dal papa in giù si affannino a distribuire a tutti tante belle pacche sulle spalle, certo fa piacere, una bella pacca sulla spalla, vai così che vai bene, naturalmente riguardo a quelle cose, peccati le chiamo io, che riguardano la condotta sessuale, quello che uno fa in camera da letto e che notoriamente non deve interessare a nessuno, o le cose che riguardano la pratica della fede, per esempio la messa, la comunione, i sacramenti. ma sì, dai che vai bene. tranquillo. basta che non rubi, che fai una vita da povero. che aiuti gli altri.
ma questa è una logica che manco vetero testamentaria, è la logica dei buoni sentimenti, dei
volémose ben, dell'io non faccio del male a nessuno. non che sia un male, voglio dire, ma resta sempre la questione centrale: il male c'è, il male è tra noi, è dentro di noi. c'è il male, c'è il dolore, anche quello in nessun modo spiegabile dei bambini, c'è la morte, non tanto quella, sorella, che arriva alla fine di una vita carica di giorni, ma quella di una mamma che lascia figli orfani, di bambini che lasciano madri disperate, di giovani vite spezzate dalla sorte o da una sofferenza infinita, c'è l'ingiustizia senza condanna, c'è la violenza lasciata impunita. c'è lo sfruttamento, c'è la tortura, c'è la prevaricazione fisica e morale, che spezzano vite e spesso non trovano neanche riconoscimento, se non risarcimento...
il gesù in cui credo ha dato una risposta a tutto questo. altro che pacche sulle spalle.
quello che non ho scritto ieri è che gesù non ha mai detto a nessuno di quei peccatori che sono diventati suoi amici: vai così che vai bene. continua pure così, tranquillo. nè loro hanno chiesto il patentino di buon cristiano che tanti oggi pretenderebbero dalla chiesa. come se la chiesa potesse darlo, poi.
a me dispiace tanto, ho tanti amici che vivono la condizione di divorziati, risposati, conviventi e compagnia bella, e che vorrebbero sentirsi dare una bella pacca sulla spalla.
anch'io, per altri motivi, avrei tanto bisogno di una pacca sulla spalla. come tutti.
di sentirmi dire: ma no, tranquilla, continua pure così.
e invece lui se ne sta lì, zitto, appeso a una croce, crocifisso nelle infinite sofferenze di questo mondo, e a me basta guardarlo un attimo per vedere tutte le mie miserie e a ringraziare di avere un altro giorno per provare a fare qualcosa di meglio.

venerdì 6 novembre 2015

pietà e tenerezza


che guevara morto. l'hanno trasportato legato ai pattini di un elicottero e il vento gli ha aperto gli occhi.
sta per cominciare o è già cominciato non lo so un nuovo programma su radio 3 e fanno la pubblicità alla radio usando uno slogan che io non lo sapevo come mai ma mi faceva venire in mente che guevara, e lo slogan è 'senza pietà, senza mai perdere la tenerezza', che più lo sento e meno mi convince.
insomma oggi finalmente trovo il tempo di fare una ricerchina su internet e scopro che praticamente è una citazione del che, in particolare la seconda parte, senza perdere la tenerezza, che è anche il titolo di una famosa oltre che corposa (700 pagine) biografia del che scritta da taibo paco  ignacio II.
resto sempre impressionata quando affiorano alla coscienza frammenti di quel magma informe che le scorre sotto. quanta roba che c'è là sotto che manco me la immagino.
comunque, ecco, volevo dire che secondo me la frase giusta è 'con giustizia, senza mai perdere la pietà'. certo, lo capisco benissimo, fa molto meno effetto che senza pietà, senza mai perdere la tenerezza'.
è un po' come il discorso della misericordia. che non è la sospensione del giudizio.
mi pare sempre più evidente che per papa francesco come per tutti del resto ci sono delle cose, dei peccati, li chiamo io, che meritano sempre e comunque la misericordia. altre, in particolare quelli che centrano coi soldi e tutto quello che gli va dietro, no. chi sono io per giudicare vale solo per qualcuno.
invece deve valere per tutti.
gesù non giudica la prostituta che i benpensanti e i dottori della legge volevano lapidare, ma non giudica neanche il truffatore ladro estorsore brutto e basso zaccheo.
l'incontro con gesù per tutti quelli che l'hanno incontrato davvero è stato un cambiamento radicale di vita. la prostituta, zaccheo, la samaritana, il lebbroso tornato a ringraziarlo dei dieci guariti.
ho trovato qui nella biblioteca della canonica in cui vivo un libretto delle edizioni paoline che in fondo, come appendice, ha poche pagine titolate 'catechetica in briciole' di albino luciani, alias giovanni paolo I, che è ormai passato alle cronache come un cattoprogressista, vittima di un complotto di tradizionalisti, spie della cia e chi più ne ha più ne metta. al secondo capitolo, leggo:

Senza dire di tanta altra gente, che frequenta la Chiesa e si crede pia e invece manca completamente di idee religiose; crede di aver fede ed ha solo del tenerume; cerca nella pietà non il volere di Dio, ma impressioni, sentimenti e vaghe ebbrezze; ignora la vera devozione e pratica un mucchio di devozioni legate a certe formule, a certi numeri, metà cabala, metà superstizioni; svuota la testa e il cuore e carica unicamente il sistema nervoso.

albino luciani, catechetica in briciole, ed. paoline, p. 125








mercoledì 28 ottobre 2015

che strano

oggi piove.
pensavo proprio l'altro giorno, che era una di quelle incredibili giornate di sole autunnali, che tutti i colori sono più carichi, anche l'azzurro, è più azzurro, più intenso, le scie degli aerei, tutto, tutto è di più, e pensavo andando a scuola che bisognerebbe riempirsi di questo azzurro, di questo cielo, di questa luce incredibile per poterci aggrappare poi a questo ricordo, almeno, quando, senza ragione alcuna, il giorno dopo, come oggi, ti alzi e tutto non c'è più, non ha più colore il cielo, e piove. ma è difficile, ricordarsi il sole di ieri. quello dell'altro ieri poi, sarà quasi impossibile. che roba strana.

domenica 18 ottobre 2015

inside out


c'era la festa del cinema, la settimana scorsa, che tutti i film li pagavi 3 euro, e ho portato i bambini a vedere inside out, che quelli di holliwood party continuavano a dire che è un film meraviglioso, che bisogna andarlo a vedere, e tutti a dire che bellissimo che meraviglioso che è, che io, beh, devo dire che a me, tutto sto entusiasmo, sarà che quando si semplifica troppo si finisce sempre col banalizzare, ok, ok, è un film per bambini, ma ci sono delle incongruenze, sul piano logico, che a me mi fanno venire un prurito, non so, ho letto anche che questi che hanno fatto il film ci hanno messo dentro le ultime ricerche, i neuroni specchio, eccetera, ma ste cinque emozioni e basta, va be', sono piccoli, ma aveva dodici anni, o undici, sì insomma, mica cinque, e poi proprio per questo, non si possono fare certi salti impliciti, così, con questa nonchalance, certe cose sono molto belle, d'accordo, ma tante altre, boh...
a me big hero 6, per dire, che non l'avrei mai detto, ma per tante robe, un lutto vero da rielaborare, sete di vendetta da superare, una sceneggiatura che non perde un colpo, battute stratosferiche, beh, a me mi è piaciuto di più, ecco.

spazio vitale

una delle foto che si trovano sul sito houzz.com

non me lo cava dalla testa nessuno, a me, che se le case fossero più larghe, la gente si separerebbe meno. magari gli verrebbe anche meno da spaccare la testa alla moglie, o al marito, magari.
stamattina alla radio ha telefonato uno che gli sta sulle balle che uno abbia la casa di 500 metri quadrati, e che se vuole la casa da 500 metri, ha detto, se la deve permettere. nel senso che ci deve pagare sopra la sua bella tassa di lusso. come se questo ripagasse la sua invidia.
io, prima di sposarmi, vivevo in una casa molto grande, non so se arriva a 500 metri, ma era grande, è grande anche adesso, solo che era grande perché eravamo in sette, con mia nonna, la quale aveva un appartamento che dentro c'era anche una stanza per due di noi fratelli, e noi, che eravamo quattro fratelli e poi ne è arrivato un altro, avevamo per dormire eccetera due stanze, mica una a testa, io dormivo con mia nonna, poi mi sono messa a dormire nella stanza guardaroba dove c'era un letto, perché volevo stare da sola, e poi è diventata la mia camera, poi mia nonna è morta, e piano piano ci siamo fatti ognuno la sua tana, ma comunque, a me non mi pare un lusso, lo spazio per vivere, certo, purtroppo molte persone non ce l'hanno, ma non vuol dire che va bene così, che in fondo, se quel signore ci pensasse un po', 500 metri in sette vorrebbe dire 70 metri quadri a testa, e c'è molta gente da sola che vive in 70 metri quadri, e su quella lui non ha niente da dire, penso, non so a quanti metri comincia a avere da dire, ma se uno si ritrova una casa che era grande perché era abitata da più persone, e ci deve abitare da solo, cosa dovrebbe fare, venderne un pezzo? o venderla tutta, che tanto non la vuole nessuno, per comprarne una più piccola che allora non hai più il lusso?
no io lo capisco, uno che è invidioso di uno che ha la casa grande. è perché lo spazio vitale è importante. ma non è che se tutti i poveracci hanno la casa piccola, sono più contenti, mi pare. non so, io questa storia del mal comune mezzo gaudio, non mi ha mai convinto, e sì che ci ho pensato tanto.
io, quando mi sono sposata, e stavo in una casa piccola e senza riscaldamento, non era brutta, ma era umida, e piccola, e non avevo il divano, e si è allagato l'interrato, dopo che l'abbiamo fatto, e c'erano i miei libri che galleggiavano sull'acqua, e io allora l'ho capito, cosa vuol dire invidiare una casa, che prima non l'avevo mica capito. ma non è che ho mai pensato: allora è meglio che tutti abbiano la mia piccola casa piena di umidità e senza riscaldamento.
mi ero iscritta a un sito americano che si chiama houzz, e ogni settimana mi arrivavano delle foto meravigliose di stratosferiche case americane altro che 500 metri quadri, il patio sarà stato di 500 metri quadri, cucine che solo l'isola in mezzo è più grande della mia intera, bagni col salotto dentro, aggettati sull'oceano, o dentro la foresta, pareti di finestre sui boschi rossi d'autunno, camere per bambini con quattro letti a castello che sembrano case di legno sull'albero, cose incredibili. adesso hanno fatto la versione italiana e, senza manco chiedermelo, hanno sostituito le mie meravigliose case americane con studioli in soffitta, giardinetti, bagnetti e via ettizzando. ma cosa vuoi che me ne faccia, io, di sti sognetti qua? manco sognare, in grande, ti lasciano più.
eh no, te lo devi permettere, come ha detto quel poveraccio stamattina.

no, tanto per capire di cosa stiamo parlando


mercoledì 30 settembre 2015

onde del destino

aldo palazzeschi, non lo so come mai, ma a me, come poeta, non mi è mai piaciuto più di tanto, e devo dire che anche le sorelle materassi, che sì, è un grande romanzo, di un'ironia feroce, ma io, non so, non sono mica riuscita a sopportarlo, neanche quando lo sentivo alla radio.  e invece a diego gli piace così tanto che al figlio, di secondo nome, gli ha messo aldo, che effettivamente, aldo, non è che sia un gran nome, abbiamo convenuto. me l'ha detto oggi al supermercato, l'ho speronato nella corsia delle acque minerali,  devo prendere i pannolini e non so cosa, mi ha detto, alla cassa aveva tre scatoloni che mi ha riempito il carrello per portarli fuori. credo che a parte la passione per la letteratura e vasco rossi, di cui ho trovato poco tempo fa una delle cassette che mi aveva prestato e che non gli ho più restituito, ci sia veramente poco che ci unisce, eppure, non so come mai, saranno stati non so quanti anni, che non ci vedevamo, ma è sempre come se fosse stato ieri, che parlavamo, scherzando, di libri, di amori, delle cose importanti della vita, come se l'importante fosse altro, e a noi non interessasse per niente.
poi sono salita in macchina, e quando ho girato la chiave è partita la radio, e stavano suonando la terza sinfonia di brahms, che è la mia preferita, solo che stavano facendo il quarto movimento, e il mio preferito è il terzo, comunque sia, ho pensato, che musica incredibile, queste sì che sono le onde del destino, altro che lars von trier.

martedì 8 settembre 2015

partito nazionale

sempre della serie delle cose che mi fanno impressione solo a me, io quando ho sentito la prima volta sta storia del partito nazionale, che il nostro presidente del consiglio  che è anche segretario di un partito, lui vorrebbe che il suo partito diventasse il partito nazionale, ha detto, e a me, la prima cosa che mi è venuta in mente, a sentir parlare di partito nazionale, è stato il partito nazional-socialista, che poi per far prima l'han chiamato nazista. che mi pare che sta idea qua, di pensare che basta uno, a pensarla nel modo giusto, e che dice agli altri come devono fare, un partito solo, un sindacato solo, non so, a me mi pare di averla già sentita, ma mi pare che son solo io, non so.

una

oggi siamo andati a una sagra che ci andiamo ogni anno, è un bel posto, di mezza montagna anche se non c'è l'odore della montagna, ma fa sempre un po' freddo che senti l'autunno che arriva, e mentre guidavo e facevo i tornanti a una curva vedo una donna coi capelli grigi e un golf rosso appoggiata alla rete coi gomiti che guardava le macchine che passavano, e ho pensato che aveva la faccia come le pietre della casa che aveva alle spalle, e quando siamo tornati giù, dopo un paio d'ore, stava ancora lì, appoggiata alla rete, a guardare.

martedì 1 settembre 2015

selvatichezza



Rende selvatici la scrittura. Si torna a una selvatichezza di prima della vita. E la si riconosce subito, è quella delle foreste, quell antica come il tempo. Quella della paura di tutto, distinta e inseparabile dalla vita. Ci si accanisce. Non si può scrivere senza l'energia del corpo. Bisogna essere più forti di se stessi per affrontare la scrittura, bisogna essere più forti di ciò che si scrive. è una cosa strana, non è solo la scrittura, lo scritto, è il grido degli animali della notte, quello di tutti, quello di voi e di me, quello dei cani. è la volgarità greve, disperante, della società. Il dolore, è anche Cristo e Mosè e i faraoni e tutti gli ebrei e tutti i bambini ebrei, ed è anche la felicità più violenta. Questo io credo, sempre.

Marguerite Duras, Scrivere

sabato 29 agosto 2015

cose crudeli



ieri mattina, o l'altro ieri, non so, ho sentito alla radio una signora iraniana tutta scandalizzata dal fatto che mentre nel '49, mi pare, quando lei è venuta in italia per studiare a santa cecilia (ma quanti anni avrà, sta signora, novanta? che mia madre è del '44 e ha 71 anni, io ho dei problemi con le date, mi baso su quelle poche che so per farmi un'idea) in iran si poteva divorziare in un attimo bastava andare dal notaio, solo la donna a risposarsi doveva aspettare tre mesi perché se era incinta si vedeva chiaramente il padre chi era (?), e invece noi trogloditi, in italia, dove lei dall'iran è venuta per studiare all'accademia di santa cecilia, ci siamo inventati quella cosa crudele che è la separazione, e adesso chissà cosa ci crediamo di avere inventato, il divorzio breve che ci vogliono 12 mesi, ma dai.
la cosa che mi ha sorpreso, e irritato anche, è che il giornalista del momento, michele fusco, non si sia sognato di fare alla signora regista iraniana nessuna delle mille domande che a me sono sorte spontanee, lui che continua a dire ai radioascoltatori 'stia in linea, la prego', e ingaggia con certuni delle battaglie inutili ed estenuanti, domande, che ne so, su come mai da questo paese così moderno una ragazza venisse a studiare in italia, sul regime dittatoriale dei Palhavi, che ha imposto un'occidentalizzazione forzata del paese, e vero, ma si è fatto invadere dagli anglo-sovietici per finire in esilio. questo fino agli anni '50. perché poi c'è stato quello che io da bambina vedevo in televisione, lo scià di persia, reza palhavi, che tornato dall'esilio, ha continuato l'occidentalizzazione del paese, e per sua iniziativa, neanche tanto amata dai persiani, ha voluto che la persia si chiamasse iran, e ha fatto una rivoluzione, chiamata rivoluzione bianca, che prevedeva tutta una serie di riforme di politica industriale ed economica e anche una maggior libertà e rispetto dei diritti delle donne, solo che ha ripudiato due mogli, lui, perché non gli davano dei figli, almeno quello, fusco, glielo poteva chiedere, alla signora regista, no? di spiegarci come mai in un paese così progredito il sovrano si è sentito in obbligo di ripudiare la sua amata seconda moglie perché era sterile anche lei, come la prima...
o almeno fare qualche domanda in generale su quella cosa (quella sì) crudele, come la signora ha definito la separazione in italia, che si chiama ripudiare la moglie. chiederle, almeno, che fine fanno i figli, visto che per i musulmani sono proprietà del padre.
domande sul fatto che in iran farsi una foto e pubblicarla su fb senza il velo è un gesto di coraggio e di ribellione, come testimonia la campagna My stealthy freedom, che seguo su fb (ne ho parlato qui).
domande sul fatto che la donna in iran vale, per legge, metà dell'uomo. o sul fatto che un marito ha diritto, se la trova in flagranza di adulterio, di uccidere lei e l'amante.
cercando delle notizie su questa grandissima civiltà del divorzio che emergeva dalle parole della signora alla radio, ho trovato queste ed altre notizie interessanti. tipo quella che gli iraniani fanno degli accordi prematrimoniali, accordi che servono, alle donne, ad evitare di essere scaricate per una cazzata, una specie di clausola cautelare volta a dissuadere il marito a mollarle come e quando gli gira (il diritto al divorzio, per l'uomo, è illimitato) o, anche, ad ottenere di essere ripudiate, sai che conquista, perché siccome il divorzio la donna può chiederlo solo per motivi gravi (ovvio, no?) allora fanno così: dicono: rinuncio al mehrieh, cioè a quello che avevano pattuito, e tu mi ripudi, e mi lasci libera. da notare che oltretutto, per legge, in caso di divorzio, la donna deve regalare tutto quello che ha al marito.

sto mehrieh era
 'originariamente inteso come il prezzo che lo sposo deve versare alla suocera per ringraziarla di avere mantenuto la ragazza vergine fino al matrimonio.
Il “mehrieh”, sorta di pegno da pagare al momento del matrimonio in vista di un eventuale divorzio, è iscritto nel certificato di matrimonio ed ha un valore giuridico pari a una cambiale. Chi non paga, in base alle leggi attuali della Repubblica Islamica, potrebbe finire in carcere esattamente come chi emette assegni protestati' 
(l'ho letto qui).
'a teheran ormai tutte le spose stabiliscono nel contratto di matrimonio questa penale, la cui entità dipende – in ordine di importanza – dalla sua famiglia, dalla bellezza e dal livello di istruzione'. (sempre qui)
ovvero, capisco io, se sei figlia di contadini, brutta e magari ti sei fatta un mazzo tanto a scuola, hai diritto a poco o niente. ringrazia che qualcuno ti ha presa su. naturalmente, la signora in questione che nel '49 è venuta in italia a studiare, problemi di questo genere non ne aveva.
il risvolto divertente della cosa è che alcune donne iraniane hanno messo come mehrieh delle cose assurde, tipo 8100 libri di poesia  di tre autori famosi (per carità, io adoro la poesia, ma ottomila e passa volumi, vabbè che gli iraniani sono dei grandissimi poeti, ma insomma, sono quasi tremila libri a poeta, saranno tutti doppioni, che te ne farai...) oppure 124.000 (centoventiquattromila) rose rosse, che dicevamo ieri sera con delle amiche, sai che puzza di marcio, sai i sacchi dell'umido che devi riempire, ma dai, ma che idea è???

martedì 25 agosto 2015

punti di non ritorno

una cosa che non so fare, io, sono i punti di non ritorno.
ho letto un post di paolo nori sul fatto che ci sono delle cose, come bere il caffè senza zucchero, che
è uno di quei cambiamenti irreversibili, come passare dal pc al mac, se uno attraversa il confine, arrivederci, non si torna indietro
ecco io, invece, indietro ci torno sempre, è da un po' che bevo il tè senza zucchero, la mattina, ma l'altro giorno che sono andata a campogrosso che è in montagna e faceva freddo, abbiamo preso tutte un tè e io, lo zucchero, ce l'ho messo, senza neanche accorgermene, quasi,  oppure il mac, io lo uso da sempre, il mac, da poco dopo che è venuto fuori il primo mac, ma se mi capita di usare il pc, lo uso, lo uso tranquillamente, ci sono delle cose che quasi vado meglio col pc, è che al mac ci sono affezionata, è come casa mia, come l'A112, ma sta storia del confine, non so, ecco, io non ce la faccio mica, a non tornare indietro più, c'è un passo del vangelo che mi mette in crisi, su questo, che dice che chi mette mano all'aratro e si volta indietro non è adatto, al regno dei cieli, ecco, io continuo a voltarmi indietro, non sono adatta, io, al regno dei cieli, non si sta mica bene, a saperlo, non so chiudere le porte, non so passare il confine e basta, e per dirlo sulla mia tesina dell'anno di prova avevo scritto una citazione di montale, 'noi, della razza di chi rimane a terra', e la preside si è incazzata, ma chi si crede di essere mi ha detto, e io non sapevo come spiegarglielo, e infatti mica gliel'ho spiegato, del resto, se uno scrive noi, vuol dire che c'è anche lui in mezzo, invece lei pensava che noi stessimo a guardare me da terra, me che mi butto senza paura tra le braccia aperte che mi afferrano nell'acqua...
lo dico sempre io, la grammatica, ragazzi, la grammatica, quando non capisci niente, attaccati alla grammatica, vedi come ti sembra tutto più chiaro...

giallo e blu

un'altra cosa che sembra che nessuno ci fa caso è quella stupidissima cosa delle borse dell'ikea: ti piace la borsa gialla? comprane una blu. ma scusa, se mi piace quella gialla, perché cavolo dovrei comprarne una blu?
evidentemente le borse blu non vanno poi così tanto, perché adesso le devi comprare al posto di quelle di carta, che non ci sono più.
in compenso, se ti piace il carrellino giallo, ne puoi comprare uno indovina di che colore?

giovedì 20 agosto 2015

confort

ehi, ciao! mi fa la negra davanti al mercatino dell'usato dove ero andata a riprendermi il portafoglio che avevo dimenticato lì ieri sera. mi aveva aspettato un po', alessandro, quello del mercatino, vedrai che si accorge e torna, ha pensato, ma poi ha lasciato perdere, nel database ci sei, mi ha detto, ma non ho il numero, ah, gli ho detto, tanto il telefono è scarico, non so neanche dove sia, e adesso che è scarico, non so come fare a trovarlo, mi ha trovato su FB e mi ha mandato un messaggio, vedi che serve a qualcosa, FB, del resto lo sapevo già da un pezzo, da quando bruno mi ha chiuso dentro la stanza dove stiro e se n'è andato, non avevo il telefono, mauro era appena uscito, poi siccome non riusciva più ad aprire e mi ha detto che era stanco, se n'è andato, ho trovato su FB una mia ex alunna, sua madre, le ho detto se poteva chiamare mauro, l'ha fatto, per fortuna, c'era solo lei, a quell'ora, su fb, beh, insomma, la negra pensavo che mi chiedesse dei soldi, invece dove vai, mi ha chiesto, dove abiti, ecco, ho capito, vuoi un passaggio, con quel catafalco di fasciatoio di plastica che non so chi le ha regalato per sua bambina, vado a cornedo, le ho detto, io devo andare a valdagno, mi fa, e intanto provo ad abbassare i sedili, carichiamo il fasciatoio, sai dove sono le scuole borne, poi non era le scuole borne, ha 5 figli, Confort,  un maschio solo e quattro femmine, io tre maschi, le dico, adesso basta? mi fa lei, ma sei giovanissima, macchè, ho 47 anni, le dico, e tu? 54, il fasciatoio è per sua nipote, non so quanti ne abbia, tanti, ha detto, il maschio ha 26 anni, ha fatto amore a scuola, lei ha bambino e vai ancora a scuola, è dificile, mi fa, io arabiata ma cosa devo fare, e sorride, confort, che io quando sento sta parola mi viene in mente il comfort food, ecco, via figigola, sai dov'è, eccome no, sapessi quante volte l'ho fatta, sta strada, penso, la scarico davanti casa, mi dà la mano, dì una preghiera, le ho chiesto, poi passo dalla mia amica che sta lì attaccata, ma non c'è, allora torno a casa, che devo fare le valigie ai bambini.

mercoledì 19 agosto 2015

esortazioni

ci sono delle cose che nessuno ci fa caso e io sì. tipo le infermiere che chiamano il primario 'Primario!' che per me è come se marchionne le sue segretarie lo chiamassero 'amministratore!'o 'AD!'
oppure una mia ex alunna che mi ha scritto un messaggio piccato ESORTANDOMI  a dirle quali sono i motivi per cui ce l'ho con lei. che non ce l'ho affatto con lei. comunque: mi esorta. ma dove cavolo gliel'avranno insegnata, sta parola? ti esorto. manco il papa, ormi, fa più le esortazioni apostoliche. forse l'ha imparata al corso per avvocati. ecco, sarà un' avvocata fantastica: 'ti esorto, anzi, a dirmi qui i motivi che ti spingono ad AFFANNARTI contro di me con quei commenti...' e che 'affannarti' mi era sfuggito.
eh sì, nikla, sei davvero una grande, l'ho sempre pensato.
peccato per il sense of humor, ma non si può essere perfetti.

giovedì 6 agosto 2015

la realtà supera sempre l'immaginazione - nullo


oggi ho guardato la classifica dei libri più richiesti di sempre nelle biblioteche del sistema bibliotecario provinciale e io ne ho letto solo uno, quello dell'eleganza del riccio.
ho notato che ce ne sono una marea di sveva casati modignani, per la precisione sei, sei libri tra i cinquanta più letti di sempre. questa qua la devo leggere, faccio al professore. ma chi è? mi fa lui.
guardo su wikipedia e viene fuori che è uno pseudonimo che usavano i coniugi bice cairati e nullo cantaroni.
cioè, questo povero disgraziato si chiamava NULLO. amor ch'a nullo amato amar perdona, forse l'avevano sentito lì, ma come si fa dico io a mettere nome a uno nullo????
però: può esistere un nome più perfetto di nullo per un ghost writer? direi proprio di no.
i due sono andati dal nuovo editore che aveva da poco fondato la sperling&kupfer con una storia, anna dai capelli verdi, e lui capì subito che sarebbe diventato un grande successo. così la coppia, sotto sto nomigliolo altisonante di sveva casati modignani, ha cominciato a scrivere libri che, mi è parso di capire, hanno sempre al centro una donna, una grande storia d'amore e un problema della società al femminile, che ne so, il figlio omosessuale, le famiglie allargate, la conciliazione lavoro-famiglia eccetera vendendo da subito migliaia di copie (siamo a dieci milioni nel mondo).
non è un caso che l'unica foto che sono riuscita a trovare di nullo e bice sia quella, in bianco e nero neanche questo a caso, che vedete qui. bice si è identificata subito in sveva, e quando nullo è morto, nel 2004, l'identificazione bice/sveva si è compiuta, e lei ha continuato con nonchalance a sfornare i suoi ambitissimi bestsellers.

giovedì 23 luglio 2015

paradossi 2


Ecco il paradosso fondamentale di Berry, a proposito, nel caso volessi un esempio del perché i logici con un'incredibile potenza di fuoco possono dedicarsi una vita intera a risolvere certe cose eppure finiscono con lo sbattere la testa contro il muro. Nella fattispecie questo ha a che fare con i grandi numeri - intendo grandi per davvero, oltre il bilione, oltre dieci alla bilionesima alla bilionesima, sempre più su. Quando arrivi lassù, ci vuole un po' anche solo per descrivere numeri così grandi a parole. La quantità «un bilione, quattrocento miliardi alla bilionesima » richiede ventisei sillabe per descriverla, ad esempio. Tanto per darti un'idea. Ora, anche più in alto fra questi numeri immensi, su scala cosmica, immagina ora il numero più piccolo che tu non possa descrivere con meno di ventisette sillabe. Il paradosso è questo: il numero pià piccolo che non puoi descrivere con meno di ventisette sillabe, che naturalmente è una descrizione di questo numero, solo che ne ha ventisei, che naturalmente è meno di ventisette sillabe. E adesso come la mettiamo?

David Foster Wallace, Caro vecchio neon, in: Oblio. , Einaudi pag. 200
 

paradossi


Magari ti trovi nel mezzo di una riunione creativa al lavoro o roba del genere e per la testa ti passa tanto di quel materiale in quei brevi istanti di silenzio in cui i partecipanti scorrono i propri appunti in attesa della presentazione successiva che ci vorrebbe un tempo esponenzialmente più lungo dell'intera riunione soltanto per tradurre in parole il flusso dei pensieri sorti nel silenzio di quei pochi secondi.
Ecco un altro paradosso: nella vita di una persona la maggior parte dei pensieri e delle impressioni più importanti attraversano la mente così rapidi che rapidi non è nemmeno la parola giusta, sembrano totalmente diversi o estranei al cronometro che scandisce regolarmente la nostra vita, e hanno così pochi legami con quella lingua lineare, fatta di tante parole messe in fila, necessaria a comunicare fra di noi, che dire per esteso pensieri e collegamenti contenuti nel lampo di una frazione di secondo richiederebbe come minimo una vita intera, ecc. - eppure sembra che andiamo tutti in giro cercando di usare la lingua (quale che sia, a seconda del paese d'origine) per cercare di comunicare agli altri quello che pensiamo e per scoprire quello che pensano loro, quando in fondo lo sanno tutti che in realtà si tratta di una messinscena e che si limitano a fare finta. Quello che avviene dentro è troppo veloce, immenso e interconnesso e alle parole non rimane che limitarsi a tratteggiarne ogni istante a grandi linee al massimo una piccolissima parte. La velocità mentale interna o quello che è di queste idee o ricordi, percezioni o emozioni e via dicendo è perfino più veloce - esponenzialmente, inimmaginabilmente più veloce - in punto di morte, cioè durante quel nanosecondo così minuscolo e sul punto di sparire che separa il momento in cui si muore tecnicamente da ciò che avviene subito dopo, perciò in realtà il cliché sull'intera esistenza che scorre in un lampo davanti agli occhi di chi è in punto di morte non è poi così peregrina - anche se in questo caso intera esistenza non  non vuol dire una sequela ininterrotta dove prima nasci e poi sei nella culla e poi sei al piatto nella squadra dell'American Legion ecc., che in fondo è quello che pensano un po' tutti quando dicono «la mia intera esistenza» riferendosi a una serie cronologica, discontinua, di momenti che mettono in fila e chiamano vita. Non è affatto così. Non mi viene in mente un modo migliore per dirlo se non che succede tutto a un tratto, ma questo a un tratto non significa certo un momento finito di tempo all'interno di una sequela ininterrotta nei termini in cui consideriamo il tempo quando siamo vivi, e poi quello che risulta essere il significato dell'espressisone la mia vita non si avvicina neanche lontanamente a quello che che crediamo di dire quando diciamo «la mia vita». Le parole e il tempo cronologico creano tutti questi equivoci assoluti su quello che succede per davvero a livello elementare. Eppure al tempo stesso la lingua è tutto ciò che abbiamo per cercare di capirlo e cercare di instaurare qualcosa di pùà vasto o di più significativo e vero con gli altri, il che è un paradosso.
...
E naturalmente a questo punto avrai notato quello che ha tutta l'aria di essere il paradosso centrale, che abbraccia tutto, e cioè che questa cosa dove io dico che le parole non bastano e il tempo in realtà non procede in linea retta è una cosa che tu senti a parole e per capirla devi cominciare ad ascoltare la prima parola e poi mettere tutte le altre in fila in ordine cronologico, perciò se dico che le parole e il tempo cronologico non hanno nulla  a che farci tu ti chiederai perché siamo seduti in questa macchina usando le parole e consumando il tuo tempo sempre più prezioso, nel senso che non è che mi starò contraddicendo sul piano logico fin dall'inizio.
...
Se ci pensi bene è interessante quanto sembri goffo e improbo comunicare anche la cosa insignificante. Secondo te finora quanto tempo è passato?

David Foster Wallace, Caro vecchio neon, in: Oblio. , Einaudi pagg.180-182


again

La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. 
Tutto verrà negato. 
Tutto diventerà un credo… 
Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. 
Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. 
Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: 
questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. 
Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. 
Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. 
Saremo tra coloro che hanno visto 
eppure hanno creduto.

 Gilbert K. Chesterton
 

martedì 21 luglio 2015

il buio della ragione genera mostri

ho sentito adesso alla radio, lettura dei giornali, che all'anagrafe, per cambiare sesso, non serve l'operazione.
decidi tu, del resto, chi altri? è un tuo diritto decidere di che sesso sei, ci mancherebbe.
son qua che aspetto il momento in cui uno pretenderà, come suo innegabile e sacrosanto diritto, di riprodursi senza l'intevento di nessun altro. il diritto di auroclonarsi, per vivere una vita migliore, magari, con il genitore ideale: se stesso. come mi ha detto la psicologa, quella volta: devi diventare tu madre e padre di te stessa. o per avere delle parti di ricambio nel caso che, molto più prosaicamente.
il DNA è mio, e me lo gestisco io, ma quanto credete che ci vorrà?
anzi, secondo me da qualche parte lo fanno già. la realtà supera sempre l'immaginazione.

mercoledì 8 luglio 2015

sedicenti

sedicenti erano le brigate rosse negli anni settanta.
siccome volevano fare il compromesso storico, siccome i comunisti erano metà dell'italia, siccome c'era la guerra fredda, siccome in italia c'era il più forte partito comunista d'europa, siccome i partigiani erano tutti comunsiti, siccome dopo la liberazione fascisti, in italia, non ne trovavi più uno neanche a pagarlo, eccetera eccetera, allora al telegiornale dicevano che quelli che sparavano alla gente, che facevano le rapine a mano armata per finanziarsi, che volantinavano davanti alle fabbriche e lasciavano messaggi nelle redazioni dei giornali firmandosi brigate comuniste, rosse, non erano veri comunisti, rossi, no: erano sedicenti comunisti. lo dicevano loro, che erano comunisti, ma non era mica vero. erano, appunto, 'sedicenti'.
se l'erano inventata loro, l'idea della rivoluzione armata. la lotta armata eccetera eccetera.
adesso, hanno ricominciato con la stessa solfa: il sedicente stato islamico, eccetera eccetera. quelli non sono veri musulmani eccetera eccetera. perché non c'è scritto da nessuna parte, nel corano, ha detto uno ieri alla tv, che ci dev'essere uno stato islamico. maometto e ghandi, cosa vuoi, siamo lì. ognuno a modo suo, sì, come no.

martedì 7 luglio 2015

ma l'amore che cos'è 10 - parla con lei



eccolo lì, dov'era finito, ce lo deve aver messo la donna che viene a farmi le pulizie il sabato, in questa stanza che non è neanche nostra, dove mi sono messa adesso perché è più fresca delle altre, dietro a un mobiletto che lo tiene su, col vetro rotto, e i bordi mezzi rovinati, pensare quanto ci ero stata dietro, il nostro primo film, non esiste il caso, il nostro primo film era parla con lei, qualcosa vorrà pur dire, no?, e ho fatto la posta alla locandina un metro per settanta per settimane, al noleggio videocassette, finché me l'ha data, ma chi volete che lo volesse, parla con lei, in quel noleggio, chi vuoi che l'abbia preso, a  noleggio, giusto perché almodovar andava ancora abbastanza di moda, forse, ma se ne sono viste di meglio di locandine, se è per fare arredamento, infatti non gliel'ha chiesta nessuno, e a me mi pareva di non aver mai fatto un regalo così bello, così personalizzato, così significativo, ne ero fierissima, poi è rimasto arrotolato fin quando non so, forse dopo il matrimonio, ho dovuto comprare io, il vetro, e poi quando siamo stati qui si è rotto, quando si è rotto è stato molto triste, per me, lo ricompro subito, mi ha detto, quando ho un attimo di tempo lo ricompro.

la solitudine dello scrittore



Soli, lo si è in una casa. Non fuori, ma dentro di essa. Nel parco ci sono gli uccellini, i gatti e una volta anche uno scoiattolo, un furetto. Non si è soli in un parco. Invece in casa si è tanto soli da sentirsi a volte smarriti. (...)
Ho capito di essere una persona sola con la mia scrittura, sola lontanissima da tutto.

p.9

 La solitudine dei primi libri l'ho mantenuta, l'ho portata con me. La mia scrittura l'ho sempre portata con me, dovunque andassi, a Parigi, a Trouville o a New York.

La solitudine della scrittura è una solitudine senza la quale lo scritto non si realizza o si sbriciola esangue nel cercare cosa scrivere ancora. Si dissangua, l'autore non lo riconosce più.

p.10

Ci vuole sempre una separazione dagli altri intorno a chi scrive libri. (...) la solitudine reale del corpo diventa quella, inviolabile, dello scritto. Non parlavo di questo con nessuno. In quel periodo della mia prima solitudine avevo già scoperto che per me scrivere era una necessità, me l'aveva confermato Raymond Queneau. Il solo giudizi di Raymond Queneau, questa frase: '' Non faccia niente altro, scriva''.

p.10

Scrivere era l'unica cosa che popolava la mia vita e che la incantava. L'ho fatto. La scrittura non mi ha mai abbandonato.

p.11

trovarsi in un buco, in fondo al buco, in una solitudine quasi totale e scoprire che soltanto la scrittura ci salverà. Essere senza alcun argomento, senza alcuna idea di libro significa trovarsi, ritrovarsi, davanti a un libro. Un'immensità vuota, un libro eventuale. Davanti a niente. Davanti a una scrittura viva e spoglia, in un certo senso terribile, terribile da sormontare. Credo che la persona che scrive non abbia nessuna idea di libro, ha le mani vuote, la testa vuota e conosce dell'avventura del, libro soltanto la scrittura asciutta e nuda, senza futuro, senza eco, remota, con le sue regole auree elementari: ortografia, senso.

p. 15

C'è questo nel libro: la solitudine del mondo intero. Essa è ovunque, ha invaso tutto. Continuo a credere a quest'invasione, come fanno tutti. La solitudine è una cosa senza la quale non si fa niente, senza la quale non si guarda più niente. E' un modo di pensare, di ragionare, ma con il solo pensiero quotidiano.

p. 24

Marguerite Duras, Scrivere, Feltrinelli


venerdì 3 luglio 2015

ognuno riconosce i suoi 17 - bella pugnalata



sempre perché il caso non esiste, ho ordinato in biblioteca il primo e al momento unico romanzo di alessandra saugo, che io non lo so, ma una biblioteca di provincia, secondo me, dovrebbe avere almeno un fondo di autori locali, visto che hanno dimesso i libri di morselli, che ne avevano un sacco e adesso manco uno, e ho scoperto anche l'opera omnia, che c'era, del teologo balthazar, che si intitola gloria, e non posso neanche chiederla in prestito dall'unica biblioteca della provincia che ce l'ha, perché non è ammessa al prestito, essendo una serie di volumi belli grossi, che stavano nella sala centrale, quella che adesso è dei bambini, e non oso neanche guardare ma sicuramente l'hanno scartata anche quella, l'opera omnia di benedetto croce, visto che nella stanza dove era, il magazzino, adesso c'è la stanza dei viaggi, della cultura locale e dietro la parete di poesia e letteratura, che io ci ero andata solo perché conoscevo il bibliotecario e c'era poco personale e allora mi faceva andare da sola in magazzino, perché era in magazzino, l'opera omnia di benedetto croce edita da laterza, vecchi libri giallini che uno, avevo scoperto, l'avevano fregato e avevano fregato anche il cartellino dal catalogo, avevo scoperto, ma non gliene fregava niente a nessuno già allora, è che tu non capisci che la differenza tra una biblioteca di divulgazione e una di conservazione, mi dice il professore, eh lo so, sono scema, ho fatto due concorsi da assistente bibliotecario ma non la so, io, la differenza, per quello che mi incazzo ogni volta che penso che avevano eliminato la stampa, il terzo quotidiano italiano, perché, mi ha detto la direttrice che è anche un po' mia amica, lo trovavamo sempre intonso, ma adesso che c'è il suo vicedirettore gramellini che ha molto successo forse la ricompriamo, e intanto hanno comprato libero e la gazzetta dello sport, che uno non so quante decine di lettori abbia, con tutto che ci scrive anche paolo nori e a me fa anche piacere che ci sia, ma quanti vuoi che lo leggano, e la gazzetta dello sport, che c'è in tutti i bar, e con tutti i bar che ci sono, a valdagno, voglio dire, ma vai al bar a leggertela, la gazzetta, no?  e infatti dopo che ho scritto la lettera che non era mica possibile che non ci fosse la stampa in biblioteca, e che mi ha risposto così, poi dopo un po' mi è arrivato un messaggio che l'avevano ricomprata, è sempre perché non capisci la differenza tra biblioteca di divulgazione e biblioteca di conservazione, mi ha detto il professore, e io allora, che credevo di aver capito, ho pensato che il libro di un valdagnese che faceva il prof di ginnastica e ha scritto un libro che si intitola 'sono un ladro' e che è morto in circostanze un po' strane un mese fa, nella biblioteca di valdagno, ci fosse, e invece no, c'è solo nella biblioteca nazionale di roma e firenze, ma almeno, ho pensato, ci sarà il romanzo di alessandra saugo, che, ho scoperto adesso che mi è arrivato, ha una presentazione di antonio moresco, sempre perché il caso non esiste, che io fino all'altro giorno non sapevo manco che esistesse, antonio moresco, fino a quando per sbaglio ho ordinato il suo libro gli increati (ne ho scritto qui), comunque un po' mi sono sentita male, lo confesso, quando ho letto il suo nome, perché se scrive così anche lei, mi sono detta, non so mica se ce la faccio, a leggerlo, con tutto che io, la sandra, da quando la conosco perché è stata per un bel po' la morosa di mio fratello, l'ho sempre stimata, anche se è tanto distante, da me, distante anche nel senso di più in alto, in una certa direzione, lei è sofisticata, ecco, la parola con cui potrei descriverla, quanto io sono elementare, che mi ricordo che leggeva della roba che io, non so, roland barth, per esempio, non sono mai riuscita a capirlo, ma lei mi è sempre piaciuta, come persona, come mi piacciono le persone diverse da me, lontane, eppure per tante cose così vicine.
per fortuna che il libro sì, è strano, ma sono riuscita a leggerlo, mi è anche piaciuto, devo dire, soprattutto alcune cose, altre un po' meno, comunque a me piacciono i libri dove la gente parla della sua vita, che poi, secondo me, forse mi sbaglio ma non credo, uno alla fin fine, cosa vuoi che dica, parla della sua vita, o, almeno, quelli che mi piacciono a me che scrivono, fanno sempre e solo quello, che poi a un certo punto non sai se parlano di loro o di te, e questi sono decisamente i migliori.

Scrivevo tutte le mattine, ma senza un orario, mai, se non per cucinare. Sapevo quando dovevo intervenire perché il cibo bollisse o perché non si bruciasse. E anche per i libri lo sapevo. Lo giuro. Tutto, lo giuro, non ho mai mentito in un libro. E neppure nella vita. Eccetto agli uomini. Mai.
M. Duras, Scrivere, Feltrinelli 1994, p. 26
(insieme al libro della sandra, finalmente mi è arrivato questo libretto della duras che parla di scrittura e solitudine e morte, e vita)

o, per dirla con flannery o'connor,
In realtà, chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia, possiede informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni. Se non riuscite a cavare qualcosa da un’esperienza ridotta, probabilmente non vi riuscirà da un’esperienza più vasta. Il dovere dello scrittore è contemplare l’esistenza, non dissolversi in essa.
F. O'Connor, Nel territorio del diavolo. Sul mistero di scrivere, Theoria 1993 pag. 54

giovedì 2 luglio 2015

gli increati

Giocarsi la pelle
Giochi di potere
il corpo del reato
Sei tornato, papà?
la femmina della specie
Tutta colpa della neve
Cairo Automobile Club
Identità rubate
Il sangue degli innocenti
Professione Lolita
Il sole è una donna
Alberi senza radici
L'anno del diluvio
L'ombra del vento
Area 7
L'incidente

questi sono i titoli dei libri appena restituiti, che si presume siano stati letti, nella mia biblioteca. ho copiato i titoli dallo scaffale che c'è vicino al banco prestiti, mentre aspettavo il mio turno. a parte tom clancy, l'autore di giochi di potere, non ho mai sentito nessuno di questi titoli né i loro autori. è incredibile, e sconfortante, vedere quanti libri esistano che non ho mai neanche sentito nominare, e che tutti li leggono, tranne me.
io stavo aspettando un libro che quando l'ho visto ho fatto un colpo, per fortuna che mi ero portata una borsa di plastica, saranno più di mille pagine, ho pensato quando l'ho visto, un mattone enorme, e infatti sono 1013, senza l'indice, è l'ultima fatica, il libro definitivo, hanno scritto così, di antonio moresco, che anche questo, sì, l'avevo sentito, ma così, per sbaglio, cioè, pensavo fosse un altro, ecco.
si intitola gli increati, che come titolo, devo dire, non mi piace per niente. è che avevo letto una presentazione, che poi ho scoperto essere la seconda di copertina, che anche questo, se lo sapevo, magari non ci credevo mica così tanto, a quello che ho letto, perché il libro l'ho richiesto dopo che avevo letto da qualche parte che
"Gli increati è un romanzo vertiginoso, che coinvolge e cattura con la sua spinta narrativa travolgente, un testo autonomo e, nello stesso tempo, il culmine di un unico progetto cominciato più di trent'anni fa con Gli esordi e proseguito con Canti del caos. E' un'opera che taglia e oltrepassa i nostri giacimenti narrativi, poetici, mitici, religiosi, i saperi scientifici, economici, storici, filosofici, il nostro sentimento del mondo, il nostro pensiero e le nostre conoscenze. Che ci trasporta in una dimensione dove non eravamo mai stati, in zone ritenute inaccessibili. Ci confronteremo con un'idea di letteratura a tutto campo, che prende di petto l'indicibile, ancora capace di portare sfida, rischio, avventura, sfondamento, invenzione, visione e passaggio, con un'opera che, mai come in questo caso, si pone non solo come mondo ma anche come ultramondo, abolendo le barriere di vita, morte, vita dopo la morte e immortalità."
comunque vabbè, l'ho preso, penso di essere la prima, a leggerlo, è nuovo di palla, un po' perché è appena uscito, ma un po' forse anche perché tutto il libro parla di com'è la vita, anzi la non vita, dei morti.
come al solito, evidentemente io non ci capisco niente, di letteratura, forse è per quello che non mi sono mai laureata, forse aveva proprio ragione silvio ramat, che quando gli ho presentato una bozza di analisi del testo che avevo fatto su delle poesie di alda merini, mi ha chiesto a bruciapelo, con quel suo tono sempre gentile, pacato, l'accento fiorentino che sono cinquant'anni che stai a padova ma continui ad aspirare la ci che solo per quello uno si sente una cacca, io col mio accento veneto che quando mi sento di rimando nel cellulare, che non so perché quando telefono a mio marito, solo con lui mi succede, mi sento l'eco e mi sembra così brutto, così sgradevole, una volta uno che mi telefonava non ci eravamo mai visti poi quando ci siamo conosciuti mi ha detto che lo sapeva, che non ero uno scorfano (l'antifrasi, era la sua figura retorica preferita) perché l'aveva capito dalla mia voce, a me fa schifo lo stesso, sentirmi, quando parlo, comunque silvio, dal profondo dei suoi occhietti azzurri, di ghiaccio, quella volta mi ha chiesto ma lei, un libro, l'ha mai letto un libro in vita sua? e l'ha detto come se non fosse una domanda retorica, che doveva sembrare una domanda vera, come se lo volesse sapere veramente, se io un libro l'avevo letto o no, nella mia vita, che se l'avesse detto con un tono strafottente, sarebbe stato meno brutto che così, ne sono sicura.
che io, sto libro che nel secondo capitolo la parola morti ricorre più di 40 volte, le avevo contate, l'altra volta che avevo cominciato a scrivere questo post, ma non so come, ogni tanto mi succede, il post si è cancellato, perché non scrivi su word, mi ha chiesto il professore, eh, è difficile da spiegare, gli ho detto, è che non riesco a scrivere, mi fa una fatica, non so perché, non lo so spiegare, ma mi sono accorta che funziona così, vado meglio se scrivo on-line, che se devo metterci dentro una foto gliela trovo subito, insomma adesso non ho tanta voglia di ricontarla, sta parola, comunque, adesso lo faccio, perché io ho questa condanna qua, che sono perfezionista, una casinista perfezionista, una cosa insopportabile, da essere, già è dura essere perfezionista, ma casinista, insomma ho contato, sono 43 volte che ricorre la parola morti, in 5 pagine, da pagina 13 a 17, no, non ce la faccio proprio a leggerlo, non dico che questo moresco non sia uno di questi
'scrittori che portano avanti un'idea originalmente italiana, viva nella lingua, potente, faticosa, lontana dalla gran parte della produzione contemporanea, che nel frattempo ha preso un'altra strada, parallela, costruita su modelli angloamericani con mattoncini di italiano standard, la cui origine è più nel cinema, nella televisione o nella letteratura tradotta, piuttosto che nella tradizione letteraria italiana', come ha scritto in un post andrea coccia  sul sito linkiesta.it, post che si intitola gli Increati, un romanzo per un'Italia che non c'è, che dal titolo si capisce benissimo cosa vuole dire, che questo libro è un libro per pochi, per pochissimi, nessuno, praticamente,
'il perché è piuttosto semplice: in Italia non c'è più un pubblico - o meglio: un pubblico in grado di poter essere definito mercato - capace di apprezzare questo tipo di letteratura. Anzi, peggio, in Italia sembra stia sparendo il pubblico che ha voglia di leggere e, conteporaneamente, sta fallendo tutto il comparto. Questo, principalmente, perché manca una politica reale per incoraggiare la lettura', dice sempre coccia.
ecco dai, almeno la colpa non è mia. è che manca una politica reale per incoraggiare la lettura. il che è vero, in generale, ma non in particolare, ovvero, non per me. perché a me leggere piace. anche senza nessuna politica,  che come ho scritto in quella abbastanza velleitaria campagna 'io leggo perché', io leggo perché non posso farne a meno.
beh, insomma, io, quello in cui non concordo col signor coccia, è che ci sia un'idea originalmente italiana, quella dei moresco, arbasino e, aggiungo io senza alcuna pretesa, dei gadda, e un'altra angloamericana, che si ispira al cinema, dei mattoncini di italiano standard, che io credo di aver capito cosa vuol dire, ma non so se sia vero che non è italiana anche quella, perché io, quando ho fatto il corso con mengaldo su calvino e primo levi, non credo che si possa dire che calvino facesse l'occhiolino al cinema, non parliamo di primo levi, e calvino, per dirla con mengaldo, è l'anti-gadda, oltre che l'anti-pasolini (che anche quello, il cinema, magari, ma la televisione, la letteratura tradotta... eh no eh). ecco, io, ma sai che novità, sono dall'altra parte, diciamola così, ma non è una questione di italianità, di livello, di gerarchia.
è che io, le parole, non so, è che le parole, per me, bisogna usarle con parsimonia, ecco.




lunedì 29 giugno 2015

il Santo Sacramento del Matrimonio



O magari che anche solo la possibilità di esprimere questi patemi infantili a qualcuno sembrava impossibile se non nel contesto del mistero del vero matrimonio, inteso non semplicemente come una cerimonia e una fusione finanziaria bensì come una vera comunione di anime, e solo ultimamente Schmidt aveva l'impressione di cominciare a capire perché per tutta l'infanzia durante il catechismo aveva sentito la Chiesa definirlo il Santo Sacramento del Matrimonio, perché sembrava in tutto e per tutto miracoloso e transrazionale e lontano dalle possibilità fornite dalla vera vita vissuta almeno quanto la crocifissione, la resurrezione e la transustanziazione, vale a dire che non andava visto come un obiettivo che bisognasse aspettarsi di raggiungere davvero o di conquistare ma come una specie di stella di navigazione, come se fosse in cielo, una cosa alta e intoccabile e miracolosamente bella in quel modo distante che ti ricorda sempre quanto tu da parte tua sei comune e privo di bellezza e incapace di miracoli, che poi era un altro motivo per il quale Schmidt aveva smesso di guardare il cielo o di uscire la sera e invece si sedeva con il telecomando della tv via cavo nella mano sinistra e passava rapidamente da un canale all'altro per paura che all'improvviso trasmettessero qualcosa di meglio su un altro dei 220 canali in chiaro e criptati del satellite e che lui se lo perdesse, trascorrendo tre ore serali in quel modo prima che arrivasse il momento di fissare col cuore impazzito il telefono che a totale insaputa di Darlene Lilley aveva il suo numero di casa in memoria e ci sarebbe voluto solo un attimo di coraggio a rischio di sembrare lascivo o inquietante per usare un solo dito per premere un solo bottone grigio per invitarla a bere un solo cocktail o anche semplicemente un analcolico davanti al quale avrebbe potuto togliersi la maschera pubblica e aprirle il cuore prima di perdersi d'animo e rinviare la telefonata di un'altra sera e trascinarsi in bagno e/o nella camera crema e marroncino per tirare fuori la camicia fresca di bucato e la cravatta per il giorno successivo e recitare il suo rosario serale e poi masturbarsi fino ad addormentarsi un'altra volta.

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David Foster Wallace, Oblio. Mister Squishy, Einaudi Stile Libero, pp. 38-39

venerdì 26 giugno 2015

la mamma snaturata e il cinema 7 - the sleepers



torno a casa dopo aver lavorato al menù per il camposcuola con la mia amica monica e trovo i miei presissimi dalla visione di un film. chiedo cos'è? ah, troppo complicato, mi dice mia madre, spiegarti, guardo ed era la scena in cui lui e lei vanno dal prete interpretato da robert de niro, mi ci è voluto un nanosecondo per capire che film era, che film terribile, ho detto, bellissimo e terribile, il ragazzo deve convincere de niro a testimoniare il falso, e per convincerlo decide di raccontargli l'inferno che era stato quel riformatorio in cui erano finiti lui e gli altri per una cazzata, quel carretto dei gelati che, come la carrozzina nella corazzata potiemkin, era finito giù per le scale della fermata della metro, io me lo sogno di notte, sto film, ho detto a mia madre, figurati se non me lo ricordo, quello che faceva il catechista, eravamo alla fine, ormai, ma sono andata a letto, era un po' che non ci pensavo, a sta storia, e adesso ricomincerà a tormentarmi, quando lo vedi non te lo dimentichi più, lo sguardo determinato e tristissimo di brad pitt, la fine infelice di quei due finiti sotto processo, la determinazione di padre bobby nel giurare il falso, e quando ha tirato fuori i biglietti della partita, che segna il punto della vittoria ma non ne gode nessuno, e, sopra a tutto, il dolore che mi opprime ancora adesso il petto a pensare a quei poveri bambini seviziati per i sudici vizi di quattro porci maledetti, e sapere che esistono davvero, che la realtà supera sempre l'immaginazione, sapere che è impossibile resistere eppure tanti lo fanno, ma tanti non ce la fanno, no, non lo volevo vedere più, questo film, accidenti.

PS: e che non lo sapevo, che lorenzo 'shakes' calcaterra, quello che nel film fa il giornalista e la voce narrante, è l'autore del romanzo autobiografico omonimo.
PS2: era un carrettino degli hotdogs, non dei gelati, comunque

mercoledì 24 giugno 2015

ognuno riconosce i suoi 16 - l'iceberg


Ammesso che possa interessare a qualcuno, io quando scrivo cerco sempre di seguire il principio dell’iceberg: i sette ottavi di ogni parte visibile sono sott’acqua. Tutto quello che conosco lo posso eliminare, tenere sommerso, così il mio iceberg sarà più solido. Diventerà la parte nascosta. Se però lo scrittore omette qualcosa proprio perché non la conosce, allora si noterà un grande buco nella storia. Il vecchio e il mare avrebbe potuto essere lungo più di mille pagine, avrei potuto sviluppare la storia degli abitanti del villaggio, come si guadagnano il pane, come sono nati, se hanno studiato, avuto figli, ecc. Ma questa è una scelta narrativa che altri scrittori sanno concretizzare in modo eccellente: quando si scrive, il limite consiste in ciò che altri hanno fatto egregiamente. Perciò ho cercato di provare con qualcosa di diverso. Prima di tutto mi sono sforzato di eliminare il superfluo e trasmettere un’esperienza che il lettore potesse percepire come propria, al punto da credere che sia davvero accaduta. È un’operazione difficilissima alla quale ho lavorato molto. Comunque sia, tralasciando i dettagli tecnici,  in quel caso ho avuto grande fortuna e sono riuscito a comunicare in tutti i suoi aspetti un’esperienza che nessuno aveva mai raccontato prima. La mia fortuna era propria avere tra le mani un brav’uomo e un bravo ragazzo, quando negli ultimi tempi gli scrittori si erano dimenticati dell’esistenza di personaggi di questo tipo. E oltre agli uomini c’era l’oceano, di cui vale altrettanto la pena di scrivere, quindi sono stato fortunato di nuovo. Conoscevo il modo in cui i marlin si accoppiano, per cui ho lasciato perdere. In quello stesso lembo di mare avevo visto un branco d’una cinquantina di balene, e una volta avevo tentato di arpionarne una lunga quasi novanta metri, ma non ce l’avevo fatta.  E così anche questa storia l’avevo messa da parte. In pratica ho lasciato fuori tutti i racconti che sapevo sul villaggio dei pescatori. Cioè la parte sommersa dell’iceberg.

E. Hemingway, intervista al Paris Review, oggi raccolta nel volume “The Paris Review – Interviste”, volume 1, edito in Italia da “Fandango Libri”.

scrivere una sceneggiatura



come ho già detto, mi pare, io adesso mi sono messa in testa che voglio scrivere una sceneggiatura, e mi sono presa un paccone di libri sulla sceneggiatura che la maggior parte sono scaduti e devo riportarli prima ancora di averli letti, a parte uno che mi piace molto e si chiama manuale dello sceneggiatore, comunque ieri ho letto sul blog di paolo nori che è uscita la sceneggiatura dell'ultimo film di paolo sorrentino, youth, che io e mauro siccome avevo comprato dei biglietti su groupon e scadevano e adesso nelle multisale non fanno niente di bello, ci dovevamo andare coi bambini e non c'era niente a parte un film di un teddy bear che si chiama ted e io credevo che fosse per bambini invece è vietato ai minori di 14 anni, insomma era l'ultimo giorno e siamo andati fino a padova perché lì facevano youth, e quando siamo stati alla biglietteria mi hanno detto che quei biglietti lì erano già stati usati, avevo sbagliato a stampare i buoni, e alla fine siamo finiti al festival di radio sherwood, insomma non sono ancora riuscita a vederlo, sto film, adesso hanno pubblicato sta sceneggiatura, la giovinezza, che nella bandella di copertina, c'è scritto, ha detto paolo nori, che è una sceneggiatura che si legge come un romanzo, e ha fatto degli esempi, che per un nome ci sono due o tre aggettivi, che io, non so, ma come si fa a far vedere in un film  «le iridi chiare e acquose, addensate di malinconia e perspicacia» dietro agli occhiali con la montatura nera, oltretutto, perché questo aveva anche gli occhiali, oppure «Sporadiche e irregolari, implose e attutite, come se provenissero dal fondo remoto del mare o della coscienza, affiorano» «brevi note di chitarra»? e ce ne sono molti altri, di esempi tipo questo, di un uomo anziano «dagli occhi chiari, lucenti, onnivori e vitali».
io, che mi ricordo sempre che quando mi viene da usare un aggettivo, è meglio che cerchi di farne a meno, e provare a farla vedere, quella qualità espressa dall'aggettivo, invece di usare l'aggettivo, tipo, non so, invece di dire che uno è vecchio, si può dire che sembra che abbia ottant'anni, che ha la faccia piena di rughe, che non riesce più a stare dritto per l'artrosi, che è in pensione da una vita, che i suoi figli sono morti da un pezzo e lui è ancora vivo, che ha fatto la guerra, eccetera, che gli aggettivi, non è che non bisogna usarli, ma insomma se riesci a non usarli è meglio, che per me, una delle regole che mi sembrano funzionare meglio quando scrivo è quella che usava hemingway, di togliere tutto quello che si può, magari anche qualcosa di più, la teoria dell'iceberg, la chiamava, e ho pensato che forse non ho capito tanto bene, cosa vuol dire, scrivere una sceneggiatura.  adesso vado a riportare dei libri in biblioteca e vediamo se me li lasciano ancora un po', così magari mi schiarisco le idee.

martedì 16 giugno 2015

consolazioni



Chi non resta sbalordito dalla meccanica quantistica evidentemente non la capisce 
Niels Bohr  (1885-1962)



 Nessuno capisce la meccanica quantistica 
Richard Feynman  (1918-1988)

giovedì 11 giugno 2015

bisogna, ragazze!

in cortile parliamo di tacchi alti e la mia collega dice che lei non si sente molto a suo agio, perché è già alta, con i tacchi, e io le ho chiesto se suo marito non è alto, e lei mi ha risposto che sì sì, anzi, a lui piace che lei se li metta, che lei quando esce con lui deve sempre essere tutta in tiro, che lui è un tipo molto ambiziosetto, che spende una pacca di soldi di vestiti, e io ho pensato che bello, eh, avere la moglie figa con gli attacchi di panico, che deve prendere le pastigliette per essere sempre sorridente... del resto, fa lei con tono ammiccante, BISOGNA, RAGAZZE, bisogna, altrimenti finisce tutto!!

il bene funesto




ieri tornavo da scuola e ho sentito che alla radio stavano parlando della leggenda del grande inquisitore, che è un capitolo dei fratelli karamazov. mi sono a messa a sentire e ho scoperto che quello che parlava era niente po' po' di meno che gustavo zagebelsky, giurista,  che su questo capitolo ci gira intorno da vent'anni, ha detto, e adesso ci ha scritto su anche un libro, che si intitola liberi servi.
a un certo punto il professore ha detto che il solo bene è ugualmente funesto come il solo male. così, en passant. una cosa ovvia.
e io ho pensato no, scusa, cioè, in che senso, gli volevo chiedere, scusi, funesto, come fa il solo bene a essere funesto, perché stava dicendo anche delle cose interessanti, e anche dopo, ne ha dette, anche se a un certo punto avrebbe dovuto dire la parola anima, e non ce l'ha mica fatta, a usarla, sono sicurissima che la voleva dire, era l'unica da dire e ha esitato parecchio, stava dicendo che dostoevskij con l'inquisitore voleva denunciare una dittatura 'mite, che non fa uso della violenza, perché non mira a impadronirsi dei corpi, cioè dell'esteriorità dei comportamenti degli esseri umani, ma mira a penetrare nelle... nelle...nella loro... ... nelle menti, ecco:manipolare gli esseri umani attraverso la manipolazioni delle menti', e secondo me quando gli è venuto da dire anima si è un po' spaventato, non so, certo che se parli di dostoevskij, secondo me fedor lì avrebbe usato la parola anima, la dice continuamente, nel libro.
e poi a un certo punto ha detto:
'e poi, diciamoci, c'è anche una ragione letteraria, lei si immagina se il cristo avrebbe preso la parola per difendersi...'
e non sono più riuscita a seguire bene il discorso, perché io quando sento un professore che scambia un condizionale con un congiuntivo, entro in fissa, e mi sono messa a pensare se magari aveva ragione lui, ma adesso l'ho anche riascoltato in podcast, invece era proprio così, quasi mi pareva peggio questa che il bene funesto, ma in effetti, adesso che ci ripenso, il bene funesto è molto peggio.

sabato 30 maggio 2015

la scrittura è l'ignoto



La scrittura è l'ignoto. Prima di scrivere non si sa niente  di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
(...) Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe mai.
Sarebbe inutile.
Scrivere è tentar di sapere cosa si scriverebbe se si scrivesse. Lo sappiamo solo dopo. Prima, è la domanda più pericolosa che ci possiamo rivolgere. Ma è anche la più ricorrente.

Marguerite Duras, Scrivere, Milano Feltrinelli 1994
(citata da Ann Huet nel libretto La sceneggiatura)

giovedì 28 maggio 2015

convincerlo

ma come hai fatto, tu, a convincerlo a farne tre?? mi chiedono due colleghe in cortile che avrebbero voluto il secondo figlio, penso, visto che ne hanno uno solo a testa.
convincerlo? ma di cosa stanno parlando?, ho pensato. poi ho capito, anche perché sti discorsi non è la prima volta che li sento, che si stavano riferendo al marito.
io, volevo dirgli, mi sono sposata con uno che pensava che sposarsi significa anche avere dei figli, eventualmente.
era nell'economia delle cose, gli ho detto invece, che poi è la verità, è successo così, non è che io ho deciso adesso faccio un figlio, poi un altro, e un altro ancora, potevamo anche non averli, i figli, non sarebbe stato un problema, anzi certe volte penso che magari era meglio, non so, io li volevo prendere in affido da subito, li prenderei anche adesso, se le cose non fossero così difficili, tra noi, comunque convincerlo, ma che idea, come comprare un'altra macchina, ma no, dai.
che io, convincere la gente, figuriamoci, ma se il mio nome è cassandra, non mi fila mai nessuno, figurati se riesco a convincere uno, sono anni che l'ho capito, che convincere, non si convince mai nessuno che non si convinca già lui da solo.
e mi è venuta in mente subito quell'altra mia collega che siccome voleva il terzo figlio e lui no, falsificava le date sul calendario del ciclo, ma lui che era come lei le correggeva...
bisognerebbe tenerlo in astinenza per un bel po' e poi ubriacarlo, ma di brutto, hanno concluso loro.
e per una volta, lo devo proprio dire, ho pensato che stavolta, mi dispiace ma stavolta mi è andata meglio a me, ragazze.

la realtà supera sempre l'immaginazione - conversazione a distanza su un titolo




P.: Io, a vedere quel libro qua, ho pensato che vorrei proprio fare un’antologia che si chiamasse Il racconto disonesto. Non va bene, ho pensato poi dopo.

L.: comunque io, quando ho sentito l'altro giorno alla radio che avevano fatto un'antologia di racconti che mi pare che ognuno raccontasse la sua, di guerra,  avevo pensato che era un titolo orrendo, e che sarebbe stato molto meglio se lo chiamavano il racconto disonesto.

P.: Il racconto onesto è un bel titolo, secondo me.

L.: non mi sorprende. come al solito, ciò che è terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni.

P.:Volevo scrivere che il racconto disonesto, sarebbe stato un bel titolo, il racconto onesto non mi sembra abbia senso.

L.: come dicevo prima a una mia collega, la tecnologia è soprvvalutata. in questa nostra pseudo conversazione devo però dire che forse non lo è. fa un favore non rispondermi più niente che adesso mi pare che sia esattamente quello che penso io.