mercoledì 31 dicembre 2014

rimborso spese, car sharing e altri scambi

alla radio si stanno chiedendo come mai ci sono tanti donatori di spermatozoi mentre mancano le donatrici di ovociti. mah. chissà come mai.
la dottoressa dell'azienda non so quale, che ha attivato un numero per chiamare se vuoi essere donatore barra donatrice, lamenta che hanno telefonato tanti donatori, mentre ci sono pochissime donne disponibili a sottoporsi a uno screening accurato, svariati esami, trattamento farmacologico (traduzione: bombardamento ormonale) e  successivo intervento invasivo per prelevare gli ovociti.
la dottoressa sostiene che se ci fosse un contributo di solidarietà, altrimenti detto un rimborso spese, tipo pagare le giornate che le donatrici perdono per fare i suddetti trattamenti, magari ci sarebbero più donne disponibili. perché il nostro paese, ha detto, è culturalmente poco disponibile al dono. ha detto così.
in parallelo, poi, ci dovrebbe essere l'egg sharing, che riprende l'ormai noto 'car sharing', ovvero quel servizio per cui tu, invece di possedere una macchina, usi la macchina quando ti serve, prendendola da un parcheggio e riportandocela quando hai finito. il che, mi pare, non c'entra niente con il farsi prelevare gli ovociti, congelarli e darne un a parte a chi non ne ha. la differenza con chi si congela gli ovuli per gli affari suoi è che se accetti di dare gli ovuli a chi non ne ha li puoi congelare gratis. conoscevo uno che siccome gli hanno fatto una radio terapia massiva, che oltre al sistema immunitario gli ha distrutto anche quello riproduttivo, gli hanno fatto congelare gli spermatozoi, che gli costava una cifra all'anno, mantenere quelli che lui chiamava i suoi figli.
alla radio hanno detto anche che apple consiglia alle sue dipendenti di congelare gli ovociti per rimandare la maternità a dopo la carriera. in realtà, sono andata a vedere, facebook e apple hanno deciso di pagare il trattamento e il costo di mantenimento degli ovuli, perché il congelamento (devi congelarti almeno 20 ovuli, dicono) e la conservazione hanno costi molto elevati. facebook ha già iniziato il finanziamento, apple comincerà a gennaio. pensano che sia un sostegno alle donne e alla maternità. potrebbe costare circa 20 mila dollari a donna.

lunedì 29 dicembre 2014

la mamma più meravigliosa

ieri ho salutato i miei nipotini che stanno lontano e tornavano a casa, e abbracciandoli ho detto loro : ti voglio tanto bene! Solo Ginevra mi ha detto: anch'io! e l'ho detto a sua madre, mia sorella.
al che lei mi fa: perché ti stupisci? non ti dicono mai, i tuoi figli, mamma, sei la mamma più meravigliosa del mondo?
macchè, ho detto. e allora leigliel'ha chiesto, ai miei figli: qual è la mamma più meravigliosa del mondo? mentre io pensavo: ma no, dai, lascia perdere. che la risposta la sapevo già, io: non lo so.

lunedì 15 dicembre 2014

problemi

e poi una domenica mattina ti dice che ha un problema, il tuo regalo di natale, e ti viene da piangere, e lo sai anche tu che è una cazzata, ma ti metti a piangere, e fai finta che non ti ho detto niente, ok? ma tu non ci riesci, a smettere di piangere, e allora viene fuori che eh sì, hai proprio qualche problema, tu, laura.

bioritmi

c'è stato un tempo che ne parlavano tutti, dei bioritmi. erano come l'oroscopo.
è che io, adesso, che è mezzanotte e 38, andrei avanti un paio d'ore, a lavorare, ma poi domani mi suona la sveglia alle 6 e venti, e allora devo andare a letto, che devo ancora preparare i vestiti ai bambini, e cercare i dischetti di cotone per fare il bigliettino domattina.

venerdì 12 dicembre 2014

PLURALE MAIESTATIS

Io, il plurale maiestatis non lo sopporto. non l'ho mai sopportato. è ridicolo, è incongruente.
perché non è che il papa lo usasse per parlare a nome dei cristiani cattolici, che allora magari lo potevo anche capire. no, lo usava per la sua persona e basta. al plurale.
un po' come passera, che chissà cosa credeva di aver pensato, a scrivere come titolo del suo programma politico 'io siamo'.
il professore quando bisogna fare qualcosa dice: dobbiamo fare, e io gli dico sempre di smetterla, con 'sto plurale maiestatis, di parlare per lui e basta, ma in realtà non c'entra niente, quello del professore non è plurale maiestatis.
beh, insomma, a me pare che ognuno è meglio se parla per sè.
per cui ho trovato fastidioso, e anche violento, devo dire, che il papa, a istambul, abbia detto: NOI MUSULMANI E CRISTIANI, che già io, che sono cristiana, a sentirlo mi dà fastidio, ma se fossi musulmana, mi sa anche di più, mi darebbe fastidio, ma parla per te, ma accontentati di essere quello che sei, cosa ne vuoi sapere tu di quello che voglio io, come quelli che dicono: siamo tutti... qualcosa, siamo tutti ebrei, siamo tutti palestinesi, siamo tutti omosessuali...
ma cerca di essere quello che sei, se puoi, e basta.

domenica 30 novembre 2014

italiacano 12


VISITA FOGNATRICA.
motivo: DISFONIA.

c'è scritto nella mia ricetta rossa, me ne sono accorta solo stasera.

martedì 25 novembre 2014

donne e nutrie

qualche giorno fa, su facebook, ho scritto un commentino a un post di un mio amico, che commentava a sua volta con un 'che schifo' l'ultima copertina di internazionale in edicola, in questa settimana in cui cade la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. la copertina era questa:



i commenti alla suddetta copertina erano piuttosto uniformi: quelli degli uomini, tutti di area destrorsa, oltre allo schifo, che pare sia il sentimento più comune che suscita l'aborto, e alle critiche scontate alla linea del giornale, si appuntavano poi sulle caratteristiche poco femminee della ragazza in copertina, definita aborto essa stessa, donna mancata, senza vagina eccetera. mentre le donne, sostanzialmente, ribadivano il diritto di abortire.
ma la gravidanza evento comune, perfino normale nella vita riprouttiva della donna?? evento normale, vita riproduttiva. abortire come partorire, perdere un figlio come averlo???
avevo cominciato a scriverne nel commento, ma ho preferito lasciar perdere, quando mi sono accorta che la questione era troppo grossa, ma anche che, evidentemente, lo era solo per me, perché quello che mi aveva colpito allo stomaco a me non aveva sollevato manco un'obiezione. le leggi naturali non esistono, me lo dice sempre anche il professore. non esistono per l'omosessualità, non esistono per la famiglia, per l'essere uomo, o donna.
ma se si tratta dell'aborto, allora la donna diventa un organismo come tanti altri, un animale. libera di non fare niente, secondo la linea di pensiero sottesa a queste affermazioni, assoggettata alle leggi naturali di nascita, crescita e morte, e basta.
una mucca, una mucca ha una vita riproduttiva. un batterio, anche.
un figlio un avvenimento comune, mi sono chiesta di che cazzo di idea di 'evento comune' stesse parlando questa, di che cazzo di vita riproduttiva stava cianciando, che continuano tutti a dire che la normalità non esiste, che non si può neanche dire, è normale, non è normale, tra un po' non è più normale neanche dire che un figlio nasce da un uomo e da una donna, però per l'aborto sì, quello è normale, e io mi sono vista davanti tutte ste donne che si sottopongono a trattamenti terrificanti, bombardamenti di ormoni, intrusioni di tutti i tipi nel loro corpo e nella loro anima pur di avere sto cazzo di figlio che non riescono ad avere, perché non glielo vai a dire a quelle, che normale che è, avere un figlio,  o a quelle che non vogliono averlo e poi quando non possono più averlo allora lo vorrebbero, o a quelle che un figlio, purtroppo, lo perdono prima di perdere la loro vita, ed è una cosa di una pena incredibile, mi sembra impossibile che una donna non lo capisca, che non abbia mai conosciuto, che non abbia mai parlato con una donna che ha perso un figlio.
quando ero incinta di agostino, i primi giorni, ho avuto un distacco molto grosso, che nessuno dei ginecologi dell'ospedale di rieti pensava che si sarebbe riattaccato, e mi tenevano lì, ferma immobile, venti giorni ci sono stata, più che altro ad aspettare che avessi l'aborto.
una ragazza, un'avvocata, si era fatta anche portare il lavoro in ospedale, che, volevo dirle, ma lascia perdere, ma mettiti calma, il bambino l'ha perso. era in camera con me. era un paio di giorni che il feto era morto. è stata una cosa terribile, perché, io non lo sapevo, ma quando abortisci, dipende da quando ti succede, ma in quel momento lì, tre mesi, ti inducono le contrazioni come per il parto, hai quel dolore orrendo che io ancora non lo sapevo quanto fosse dolore, solo che ce l'hai sapendo già che non servirà a niente. una cosa terribile, il dolore del parto senza il parto. tre, giorni, ha pianto, quella. era la seconda volta che le capitava, ma l'altra volta le era successo prima, e non era stato così orrendo. una cosa normale, comune, certo, come no, ma che cazzo stai dicendo.
ecco, oggi ho sentito alla radio un articolo, questo,
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/ma-la-donna-non-e-una-nutria.aspx
che dice un po' quello che ho pensato, confusamente, dolorosamente io, e lo ricopio nel caso venga cancellato, prima o poi, dal web, ringraziando l'autore, Luigi Ballerini, e il mio giornale, Avvenire, per averlo scritto e pubblicato
«Interrompere una gravidanza dovrebbe essere considerato un evento comune, perfino normale, nella vita riproduttiva di una donna. Proprio come avere un figlio». Questa frase della scrittrice statunitense Katha Pollitt campeggia sulla copertina del numero 1.078 dell’ "Internazionale" accanto alla foto di una donna, dal volto di ragazza. La giovane indossa sopra i jeans una maglietta nera con una scritta bianca: «I had an abortion» (ho abortito).

A prima vista potrebbe avere tutte le carte in regola per sembrare un manifesto pro-aborto. Ma non lo è. È piuttosto il manifesto di una riduzione. La riduzione del corpo a organismo, la riduzione della donna alla sua componente biologica. Vita riproduttiva, ecco il termine centrale e determinante. La donna sarebbe quindi un organismo che nasce, cresce, si riproduce (o non si riproduce) e muore, un organismo per cui sarebbe uguale far nascere un figlio oppure eliminarlo.

Esattamente come una gatta, una mucca o una nutria per le quali immaginiamo che nascita o aborto non siano eventi accompagnati da particolari affetti, ma solo dalle contrazioni ritmiche dei muscoli, l’accelerazione del battito cardiaco e l’aumento della frequenza respiratoria. Ecco la donna ricacciata in una presunta animalità, privata del suo pensiero, ossia della sua anima, del suo spirito, buona per un documentario del National Geographic.

Questo processo di normalizzazione – in realtà di banalizzazione – riduce ciò che invece può costituirsi come evento nella vita della donna. Non solo non è "normale" abortire, non è affatto "normale" nemmeno avere un figlio. Non c’è assolutamente nulla di scontato. Avere un figlio rappresenta un evento eccezionale, che può accadere o no sia per volontà della donna sia per condizioni naturali, un evento tuttavia che si accompagna sempre a riflessioni e affetti intensi, a paure e desideri, a speranze e angosce. Altro che "comune" e "normale".

Le donne non hanno una vita riproduttiva, hanno una vita e basta. A volte difficile, ma sempre intensa, mai banale. In essa si danno accadimenti diversi che riguardano il loro corpo, un corpo vivificato e umanizzato dal pensiero capace di provare a realizzare i desideri, identificare i problemi e cercare delle soluzioni.

Katha si sbaglia. Una donna non è mai una nutria, qualunque cosa faccia. Una donna è un soggetto che pensa e che vive accordando il suo moto, secondo la forma di questo pensiero, in modo da stare bene ed essere felice assieme alle persone che incontra, che sceglie e che ama. Questa, se vogliamo, la possiamo chiamare normalità.
© riproduzione riservata

mercoledì 12 novembre 2014

il giovane favoloso



stasera grazie alla mia mamma ho potuto andare a vedere un film. quando sono partita pensavo che avrei visto 'pasolini', ma poi quando sono arrivata al cinema, fuori dal quale ho trovato la mitica rosalina, la mia prof di italiano del liceo di cui ho scritto qualche tempo fa, ho scoperto che alla stessa ora, ma in un'altra sala, facevano il giovane favoloso, il film di mario martone su giacomo leopardi, non so quanti minuti di applausi all'ultima mostra di venezia. naturalmente, giacomo batte pierpaolo 3 a 0, e ho preso il biglietto. in sala, si è seduta vicino a me la mia maestra di prima elementare. la mia storia scolastica in pochi sedili del cinema.
alla fine del primo tempo ho scritto un sms al professore, dicendogli che sinceramente pensavo meglio. lui mi ha risposto con la famosa, per quelli della mia età, battuta della pubblicità delle lavatrici candy: ma lei è incontentabile! come con tuo marito.
e io gli ho scritto: è leopardi che è incontenibile.
come mi ha detto la rosalina all'uscita: mi è sembrato un leopardi un po' vittima dell'ambiente che lo circondava, ma comunque c'è da rifletterci su, c'erano anche della parti molto belle. sì, ho pensato io, c'erano, erano quelle di leopardi.

una petizione che ho firmato


le vittime dell'agguato di via fani

ieri alla radio ho sentito un regista che non conoscevo, ulderico pesce, che parlava del suo ultimo lavoro, ora in scena a trieste, sulla storia del rapimento e uccisione di aldo moro. si intitola moro, i 55 giorni che cambiarono l'italia, un lavoro scritto dallo stesso pesce con la collaborazione del giudice imposimato, che condusse le prime indagini sulla vicenda.
 le solite cose che ormai mi vado ripetendo anch'io come tanti da anni: chi c'era in via fani, che ci faceva quello dei servizi segreti, e soprattutto: chi ha davvero ucciso moro? pesce ha lanciato una raccolta di firme, a cui si può aderire nel suo sito a questo indirizzo:
http://www.uldericopesce.it/index.php?option=com_petitions&view=petition&id=47 per chiedere la desecretazione di tutti i documenti sull'assassinio di moro e della sua scorta.
ma sono scoppiata a piangere quando pesce ha denunciato il fatto che la lapide in via fani, dove sono stati assassinati alle ore 09:00 del 16 marzo 1978, l'autista di moro, appuntato dei carabinieri Domenico Ricci, 42 anni, il responsabile della sicurezza, maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, 52 anni, e gli agenti della scorta di moro: la guardia di Pubblica sicurezza Giulio Rivera, 24 anni, il vicebrigadiere di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi, 30 anni, e la guardia di Pubblica sicurezza Raffaele Iozzino, 23 anni, la lapide che ricorda questi servitori dello stato, che andavano volontariamente incontro alla morte ogni giorno perché non avevano macchine blindate, e lo sapevano, questa lapide sta a livello del marciapiede, e i cani ci pisciano sopra. la petizione chiede anche questo, che la lapide venga alzata, insieme alla memoria di queste persone, il cui omicidio è rimasto impunito.
tutti i brigatisti ritenuti responsabili per questi fatti sono liberi o, come gallinari, sono morti a casa loro da uomini liberi. uno ha un ristorante in nicaragua.

la targa che ricorda la strage in via fani

un grande maestro, un grandissimo allievo





"al mondo non c'è niente di più bello che capire"
g. c. argan




giulio carlo argan, lo storico dell'arte che generazioni di liceali hanno odiato per via del suo manuale verde di storia dell'arte, che il problema era che non era un manuale, ma noi dovevamo usarlo come se lo fosse, e io, in particolare, oltre a capirci poco, non sapevo che farmene, cosa dire, dopo aver letto tutti quei bei discorsi sull'arte greca, che mi ricordo soprattutto quelli, argan, dicevo, aveva iniziato come tanti bravi studenti figli di buona famiglia, a studiare giurisprudenza. un giorno è entrato nell'aula dell'università dove insegnava lionello venturi, e resta folgorato dalla sua lezione su monet.

passa così a quegli studi, e un giorno il professore assegna un approfondimento per casa. argan glielo consegna e il prof gli fa: ne parliamo venerdì prossimo. il venerdì il prof neanche lo chiama, e passa allo studente successivo nell'elenco. pensando che non gli fosse piaciuto, alla fine argan gli chiede timidamente come mai non gli avesse detto nulla, e lui gli fa: è già in tipografia, lo pubblichiamo sull'ultimo numero di non so che rivista.
 a 27 anni argan, già funzionario statale (una specie di soprintendente alle belle arti di adesso) viene chiamato come ispettore centrale a roma, al ministero dell'educazione, dove da lì a pochissimo diventerà consigliere del ministro luigi bottai.
quando mussolini chiede di cambiare il nome di piazza cordusio a milano, argan, di suo pugno, scrive a mussolini che la cosa non si deve fare, perché cordusio significa 'cors ducis, cuore del duce. mussolini, immediatamente approva, e la piazza conserva il suo nome. in realtà cordusio significa corte del duca.


mercoledì 5 novembre 2014

divorzio

oggi alla radio hanno detto che forse si potrà divorziare davanti al sindaco, e mi è venuto in mente che qualche giorno fa ero in coda alla posta e uno ha chiesto allo sportello se era vero che si poteva fare domanda di divorzio alle poste, o era una balla, quella della posta gli ha detto che lei, per quello che sapeva lei, non ne sapeva niente, non avete dei moduli, ha chiesto quello, no no, niente del genere, per il momento niente, ha risposto l'impiegata.

lunedì 20 ottobre 2014

italia mia, benché il parlar sia indarno 4 - politiche famigliari

 la prima volta che andai in francia, avevo un'amica con nonna a parigi, ci sono stata tre settimane di un luglio molto caldo, ricordo, ho visto praticamente tutto il vedibile, di parigi, conoscevo la metro a memoria, e dopo qualche mese ci sono anche tornata in gita con la scuola, beh, insomma, quella volta, la prima cosa che ho visto e che mi è rimasta impressa è che dappertutto, per le strade, c'erano dei manifesti enormi che facevano la pubblicità ai bambini. sì, quelle cose che vengono fuori dalle pance delle donne, per il momento almeno, dopo quasi dieci mesi. praticamente ste pubblicità erano perché le donne francesi facessero più bambini. la francia ha sempre avuto, con ogni colore politico, una grande attenzione alle politiche famigliari. in termini di agevolazioni fiscali, aiuti diretti e indiretti, politiche scolastiche eccetera. una scuola di musica, in francia, costa 50 euro all'anno. a scuola ti danno tutto, anche penne e quaderni. se hai tre figli, le agevolazioni sono tali che è più conveniente, per la madre, stare a casa invece che andare a lavorare. ci sono agevolazioni per asili e baby sitter anche se la madre non lavora.
oggi sento al tg3 che la francia investe il 4% del Pil per la famiglia. Il regno unito, che ha attualmente una percentuale di quasi due figli per coppia, più alta della media europea, che si attesta sull'1,6 figli per donna, spende il 4,2% del Pil.
L'italia, che ha la media figli per donna più bassa del mondo, investe l' 1,58% del Pil.
l'intervistato, un ricercatore demografo della fondazione agnelli, ha detto che queste politiche funzionano se vengono percepite come stabili nel tempo. Ma dai, sai che non l'avrei mai detto, che in italia credono tutti che basti sganciare un centone così, una tantum, per il corredino, che ci fai la spesa una settimana, o il buono pannolini, che il latte te lo danno a gratis, o la borsa di studio a turno, se hai l'ISEE da fame, che se l'anno dopo tua madre trova un lavoro in regola, tu devi stare a casa, dall'università, perché sfori.
che il professore, l'altra sera, mi fa: io mica lo so come facciamo, a mantenerne tre all'università. ah, gli ho detto, semplice, come vuoi che facciamo, ci separiamo.

giovedì 16 ottobre 2014

è che quando gli ho scritto che l'abbiamo avuto già tutti e due, il nostro amore a metà, volevo dirgli che sarebbe ora che ci dessimo da fare per averne uno intero, e invece mi sono venute altre cose, e così stiamo ancora lì a pensare a come poteva essere, e intanto la nostra possibilità di essere felici, l'unica, si rinsecchisce come il basilico sul mio davanzale, che basterebbe così poco, a volte, basterebbe smetterla.

giovedì 9 ottobre 2014

norite cronica - un fiammifero


oggi a fahrenheit, la trasmissione di radiotre che parla di libri, il libro del giorno è siamo buoni se siamo buoni di paolo nori. se vuoi vincere il libro del giorno devi telefonare e dire la parola che manca di una frase tratta dal libro.
io odio telefonare a gente che non conosco. io odio in generale parlare con gente che non conosco, ma il telefono è peggio, perché non posso neanche stare zitta.
così mi metto ad ascoltare la radio mentre aspetto i bambini che stanno al minivolley, e sento la frase: sono entrato in tabaccheria e ho chiesto un ........., ma il tabaccaio mi ha detto che li aveva finiti tutti.
un fiammifero. voleva un fiammifero. cose che non le vendono più. a me è successo, che sono entrata in tabaccheria perché volevo dei fiammiferi, quelle cartine di cartone piegato a metà coi fiammiferi tutti attaccati,due file, perché dentro al cartoncino c'è un piccolo soffietto, ma chi l'avrà pensata una genialata del genere, che ne staccavi uno e ne stringevi la testa tra le due metà della cartina dove c'era la carta vetrata, lo tiravi in fuori e si accendeva. non le fanno più, mi ha detto, solo i fiammiferi da cucina, solo quelli aveva.
fiammifero, devo telefonare e dire fiammifero. almeno devo provare, so quello che devo dire, nome, paese, fiammifero. ma il numero di fahrenheit, quello di telefono fisso non c'è da nessuna parte. il cellulare per i messaggi, ne mando almeno uno al giorno, tra le varie trasmissioni.
ma il fisso... quando lo trovo, che è un numero verde che tanto adesso non so cosa farmene perché figurati se vado a telefonare un'altra volta, e poi solo stavolta ero sicura che fosse la parola giusta, e solo stavolta mi interessava avere il libro del mese, beh, mi interessava anche quello di ieri che era di doninelli, ma ormai anche ieri è passato. 
fiammifero. continuo a telefonare e per fortuna è sempre occupato. perché io odio telefonare a chi non conosco, mi si seccano le fauci, non so cosa dire, figuriamoci poi se mi fanno parlare in radio, però stavolta, il fiammifero, e poi dire cosa, mi verrebbe sicuramente fuori una schifezza, tipo sì, sono una fan di paolo nori, no, fan non lo posso dire, non sono mai stata fan di nessuno neanche quando avevo 15 anni, mai capito quelle che si tenevano i poster in camera, le figurine nel diario coi cuoricini intorno, no, un ammiratrice, che cazzo di parola: ammiratrice, va bene per de carlo, una lettrice, potevo dire, magari dicevo che sono innamorata di paolo nori, ma che cazzata, insomma il telefono a un certo punto è libero, è libero, ma non risponde nessuno, è libero perché hanno già indovinato, e almeno ditelo, lascia perdere, abbiamo già fatto, grazie, invece continua a suonare, io lì terrorizzata che spero che non risponda nessuno, e non risponde nessuno, comunque poi si sentono gli ascoltatori che dicono cose che non c'entrano niente tipo il sigaro, lo svuotapipe, e una fa: francobollo, e io ho pensato: ovvio laura, era il francobollo, scema, e infatti era il francobollo.
ho scoperto che si chiamano 'minerva'


sabato 13 settembre 2014

una parentesi

ieri incontro di aggiornamento sull'ennesimo acronimo della scuola italiana, i BES, ovvero gli alunni con bisogni educativi speciali, che sarebbero poi tutti, secondo me, invece sono quelli che non hanno una certificazione legge 104, sulla disabilità, né legge 70, ovvero i DSA (disturbi specifici dell'apprendimento, che sarebbero  dislessici, disgrafici, dis-qualcosa), che io già quando comincio a sentire ste sigle mi viene l'orticaria, comunque in pratica sarebbero persone che hanno vari casini non certificati perché il disagio è transitorio, o comunque modificabile, per esempio alunni stranieri che non conoscono la lingua, alunni che hanno avuto un lutto famigliare, alunni in situazione socio-economica svantaggiata...
la dottoressa la fa un po' troppo facile, a mio parere.
intanto, siccome lei è dello sportello autismo, ci parla dell'autismo. il che, con rispetto parlando, mi fa anche piacere parlare dell'autismo, soprattutto quello ad alto funzionamento, ça va sans dir, ma gli autistici secondo me non sono BES, visto che sono certificati (orrendo modo usato a scuola per identificare gli alunni che hanno una certificazione per la loro dis-qualcosa).
la dottoressa a un certo punto ci dice che bisogna usare il cooperative learning, che bisogna mettere quello bravo insieme a quello debole, che lei non l'ha detto, ma è la famosa legge veneta: 'on alto e on basso i fa on gualivo', e io ho detto alla mia collega: ecco, la solita storia, e quelli che hanno l'alto potenziale, non hanno diritto anche loro, non hanno anche loro  dei BES, non hanno diritto a trovar qualcuno con cui confrontarsi, invece che doversi sempre abbassare, e la mia collega mi fa: ne hai sofferto anche tu di questa cosa, a scuola, vero? e io le ho detto di istinto sì, eh, l'avevo capito, mi fa, e io in realtà volevo dirle sì, grazie che mi hai capita, perché non è che a me scocciasse, cioè, mi scocciava, che alle medie avevo una classe che una volta l'avrebbero detta differenziale, e mi mettevano sempre in banco coi peggiori, ma è che mi sentivo sola, mi sentivo diversa, io adoravo andare a scuola, ma non stare lì, in quella classe, in quella scuola lì no, non mi piaceva, mi scocciava che io fossi considerata per quello che sapevo fare, cioè, voglio dire, ero usata, soprattutto la mia professoressa di italiano, le stava sulle balle che io fossi brava, mi metteva in banco con una che mi menava, mi rompeva le penne, oltre ad avere dei problemi di ritardo, poi mi ha messo con uno che era stato bocciato, poi con quella che è diventata la mia amica morena, che anche lei, poveraccia, faceva fatica, ma almeno mi faceva ridere. poi è diventata ragioniera.
sì, in effetti ne ho sofferto, pensandoci, ma più che altro del fatto che anche quello che faceva le sfide con me, che era lui che voleva farle, sai a me che me ne fregava, anche quello prendeva sempre distinto, non ce la faceva quasi mai a prendere ottimo come me, non avevo nessuno meglio di me, e comunque dicevo, più che altro la cosa brutta è che non c'era nessuno a cui imparare interessasse come interessava a me. ecco, questo sì, è stato brutto. che io me lo ricordo che l'ho anche scritto in un tema, che io, a pensarci, non lo sapevo che lavoro avrei fatto da grande, perché io di lavoro avrei voluto studiare tutta la vita.
a quella di italiano le avevo anche scritto che secondo me l'unica soluzione per la guerra fredda era che uno decidesse di disarmarsi per primo, il disarmo unilaterale, l'hanno chiamato dopo, e lei mi ha guardato con un sorriso di compatimento, e deve avermi anche scritto che era un'utopia.




non so

ci provo, ci devo provare, ma non so se ci riesco ancora, a scrivere un post.
perché quest'anno il professore deve lavorare a borgo valsugana, e resta là dal lunedì al sabato, abbiamo trovato un monolocale, una stanza piena di finestre e luce e silenzio, un posto dove vorrei stare io, e io invece devo stare qui, a sbattermi dalla mattina alla sera, e lunedì comincia la scuola, e io sono già stanca. e sei invidiosa, mi ha detto oggi, certo, gli ho detto, che sono invidiosa, vorrei vedere.

venerdì 29 agosto 2014

italiacano 11





la realtà supera sempre l'immaginazione 5 - buchenwald comunista

Nel marzo del 1992, quarantasette anni dopo, Jorge Semprùn torna per la prima volta a Buchenwald.

Una cosa mi aveva colpito, dopo aver sentito il brusio multicolore degli uccelliche avevano fatto ritorno sull'Ettersberg.
Cioè che, ai piedi del versante, non si vedeva più l'area del Campo Piccolo di quarantena. Che le baracche fossero state rase al suolo, come nel resto del recinto, non mi stupiva. Ma lo spazio vuoto non era stato conservato: la foresta era ricresciuta al posto del Campo Piccolo.
Esa ricopriva oramai il blocco 56, in cui avevo visto morire Halbwachs e Maspero. E si stendeva fino al blocco 62, in cui ero approdato il 29 gennaio 1944, e in cui avevo imparato a decifrare i misteri di Buchenwald. A scoprire i segreti della fratellanza. A guardare in faccia l'orrore irradiante del Male assoluto. La foresta ricopriva lo spazio in cui era sorto l'edificio delle latrine collettive, luogo di tanta libertà nel più remoto cerchio dell'inferno.
Solo più tardi avevo avuto la spiegazione di quel fatto.
Nel '45, solo qualche mese dopo la chiusura del campo nazista - gli ultimi deportati, degli jugoslavi, avevano lasciato quei luoghi, pare, nel giugno -, Buchenwald era stato riaperto dalle autorità di occupazione sovietiche. Sotto il comando del KGB, Buchenvald era ritornato ad essere un campo di concentramento.
Lo sapevo già, ero già a conoscenza di quel fatto.
...
Ignoravo, invece, il fatto che nei cinque anni in cui il campo stalinista ha funzionato - è stao smantellato nel 1950, all'epoca della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, sotto la quale fu fatto costruire quell'ignobile monumento commemorativo di cui ho parlato - migliaia di morti sono stati sepolti nelle fosse comuni, ai piedi dell'Ettersberg. La nuova foresta non copriva soltanto il vecchio campo di quarantena: copriva e nascondeva i cadaveri delle migliaia di morti, delle migliaia di vittime dello stalinismo.
Da un lato, quindi, su uno dei versanti della collina, un monumento di marmo maestoso e mostruoso doveva ricordare alla brava gente l'ingannevole, perché puramente simbolico, attaccamento del regime comunista al passato delle lotte antifasciste europee. Dall'altro, una nuova foresta lambiva le frontiere del comunismo per cancellarne la traccia nella memoria umile e tenace del paesaggio, se non proprio in quella degli uomini.

Jorge Semprùn, La scrittura o la vita, pagg. 278-280

venerdì 22 agosto 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 4

oggi purtroppo avevo lo smartphone scarico, che ho uno smartphone nella borsa che lo uso come macchinetta fotografica, ma purtroppo era scarico, volevo fare una foto a Furore, di Steinbeck, che sopra aveva una mega etichetta con scritto 5 euro, pensavo fosse in offerta a 5 euro, invece l'etichetta era questa:


cioè tu compri i libri e loro ti danno il buono benzina.


martedì 19 agosto 2014

italiacano 10 - a borgo valsugana

a borgo valsugana, dove il professore starà l'anno prossimo, perché lo hanno trasferito a trento e a trento, a trento non sono mica come tutti, come diceva mia nonna, che per dire che uno era handicappato, o insomma aveva qualcosa che non andava diceva così, 'no l'è mìa come tuti', a trento non gli interessa se tu sei un lavoratore padre o una lavoratrice madre con figli sotto gli otto anni, nel resto d'italia ti concedono di avvicinarti al coniuge per un anno, ma loro, a trento, loro no, loro vogliono che stai lì cinque anni, e il professore intanto per quest'anno sta lì, che è la sede provvisoria, anche se son dieci anni che è di ruolo, per loro è provvisorio, decidono loro.
beh, insomma, lì, a borgo valsugana, c'è un bar che sull'insegna c'è scritto PRIMERIA, che non l'aveva capito neanche il professore, ma io sì, purtroppo, che vuol dire che fanno i primi piatti.
in piccolo, ma c'è scritto PRIMERIA.

come mi sento

non lo so come tu ti senta... mi scrive un'amica che sta vivendo la dolorosa esperienza della separazione.
come mi sento, bella domanda, le faccio.
sai come mi sento? le ho risposto. mi sento una grossa, grassa cretina.
mi sento come tante altre volte.
mi sento sempre ferma lì.
non riesco neanche più a scrivere. cosa, poi. ma cosa scrivo a fare.
stanno suonando il jazz, a radio tre. una tromba pazzesca, chissà chi è.
ho il libro di semprùn, di sopra, in camera, da leggere. chissà se conosceva simon weil, che ne pensava.
ho la lavatrice da stendere.
è tutto il giorno che piove.
ho da dormire, chissà se stanotte ci riesco.


venerdì 8 agosto 2014

italiacano 9 - negozi

ACQUARIOLOGIA TERRARIOFILIA - su un'insegna di un negozio per animali a ostia
corNOTTEria - bar pasticceria notturna di ostia

lunedì 21 luglio 2014

i consigli di donna moderna

se vuoi ritrovare OGNI STANZA A POSTO, 
suggerisce donna moderna del 22 luglio a pag. 109,
ricordati di...

Passare i tappeti con l'aspirapolvere
Se riesci, lasciali anche qualche ora stesi all'aperto.
Poi spruzzali con lo spray antitarme, avvolgili con dei fogli di giornale nel mezzo e sistemali dietro a un divano.

domenica 20 luglio 2014

il mondo visto dai bambini 2 - bambini e matrimonio

bruno: eh, ma prima si devono sposare! eh, ma se non sono sposati come fanno a nascere i bambini?
sofia: ma mica bisogna essere sposati!
bruno è molto perplesso.
io: basta che ci sia un papà, bruno.
sofia: e gli insetti, allora? come fanno gli insetti?, mica si sposano gli insetti eh!

mercoledì 16 luglio 2014

cicciobello

lo chiamavano cicciobello per via dell'assonanza col suo cognome, il fatto che era un po' sovrappeso, con i due denti davanti un po' da coniglio, e per via della crudeltà umana, che, si sa, nel periodo della scuola media raggiunge vette che pochi, in seguito, sapranno superare.
a me piaceva.
forse anche io a lui, o forse era solo che almeno io non lo chiamavo cicciobello.
i maschi di quella classe delle medie, beh, per me è stato veramente un trauma.
ignoranti come zappe, fissati col sesso, e orrendi, per giunta.
giovanni mi sembrava più mite, più simpatico, col suo sorriso da timido che scopriva quei due dentoni.
e poi anch'io, con lo sviluppo, ero diventata una ciccia bomba. in vacanza mi chiamavano la balena filomena. che stronzi.
prima la mia amica mi ha detto che noi sbagliamo, a rimproverarli sempre, i figli, i figli bisogna sempre far risaltare il meglio, pomparli, renderli soprattutto sicuri di sé. sì, sì, sarà vero. che mia madre continua a chiedersi, con me, come abbia fatto a fare dei figli falliti.
ma dipende anche, ho detto alla mia amica, da qual è il tuo obiettivo. certo, l'autostima è fondamentale. ma a me, le ho detto,  interessa soprattutto che i miei figli siano delle brave persone. non l'ho neanche detta tutta: a me interesserebbe che diventassero uomini buoni. è stata la prima cosa che gli ho detto, io, a i miei figli, quando sono nati. che dovevano diventare buoni.
uomini che, per esempio, non chiamino cicciobello un compagno in sovrappeso.
comunque, giovanni l'avevo rivisto in giro, qualche anno dopo le superiori. alto, magro. forse non aveva neanche più quei dentoni da coniglio.
una mia amica, ho scoperto oggi pomeriggio, era una sua grande amica. di cicciobello non aveva neanche mai sentito parlare. cinico, sportivissimo, fattone, che non voleva legami. me l'ha descritto così.
a un certo punto gli hanno trovato un qualcosa nel cervello, un grumo di sangue, ho una bomba in testa, le ha detto.
ora sta in sedia a rotelle, non riesce quasi neanche a parlare.
l'ha visto un giorno sulla pista ciclabile, che lo spingeva la sorella.

lunedì 7 luglio 2014

think pink 6 - il vento tra i capelli

a me, mettermi controvento, gli occhi chiusi, l'aria che ti tiene indietro tutti i capelli, la faccia sgombra,  non so, il vento, a me è sempre piaciuto. certi, tanti non lo sopportano. quasi tutte, anzi. perché il vento ti scompiglia i capelli. in effetti, a me non piace solo quando mi butta i capelli in faccia e mi vanno in bocca, sugli occhi, dentro il naso, perfino, e non ti puoi girare e non sai come fare a toglierti i capelli dalla faccia. ecco. per il resto, stare seduta sull'erba, col vento tra i capelli, per me, è una sensazione bellissima, una di quelle cose che ti fanno pensare: sì, è bella, la vita.
e c'è gente che questa sensazione bellissima non l'ha mai provata.
come la giornalista iraniana Masih Alinejad, che da quanto bello e strano le pareva, il vento tra i capelli, ha postato una sua foto senza velo, fatta a londra, nel suo profilo fb. e tante donne, iraniane, come lei, le hanno scritto che non doveva mettere quelle foto, che loro non potevano, era una mancanza di rispetto nei loro confronti.
da questa storia è nata la pagina fb My stealthy freedom, la mia libertà clandestina, segreta, potremmo tradurre,

in cui Masih Alinejad ha postato una foto di lei a teheran che, in macchina, guidava senza velo, invitando altre donne iraniane, sfidandole, diciamo, a mettere anche loro le foto del loro attimo di libertà, di ribellione all'imposizione dello hijab da parte delle autorità iraniane.
la pagina ha avuto un imprevisto, enorme successo, e centinaia di donne hanno mandato e mandano il loro 'selfie' (mi ero ripromessa di non usare questa parola, la odio), normalissime,  bellissime foto di donne con i capelli al vento.
contemporaneamente, c'è la storia della rinoplastica.

No agli attori “ritoccati”. La direzione di Tehran Channel ha deciso di non favorire un modello di bellezza frutto della chirurgia estetica e ha cominciato a impedire ai suoi dipendenti, passati per il bisturi, di apparire in video.
“Bisogna evitare che la chirurgia estetica si diffonda in modo contagioso tra attori e attrici”, ha dichiarato Ali Akbar Mahmudi-Mahrizi, capo della programmazione delle serie televisive del canale, il cui segnale è diffuso a Tehran e dintorni.  

(dalla puntata del 4 luglio di radiotre mondo)

la rinoplastica, hanno detto alla radio, è ormai diventata una forma di ribellione delle donne nei confronti della politica sessista delle autorità, nonché una sorta di status symbol, per cui i cerotti al naso si ostentano come segno di disponibilità economica. 







venerdì 4 luglio 2014

not in my courtyard, please

ieri in macchina stavo parlando al professore del libro di semprun sulla tortura, e gli dicevo che non riesco a concepire come un uomo, nel senso di essere umano, possa fare qualcosa del genere a un altro uomo.
oggi ho letto in un articolo dell'Independent che il 36% degli inglesi giustifica la tortura per ottenere informazioni utili a proteggere il pubblico, e il 44% è contrario alla messa al bando della tortura.
l'articolo dice che pare che questi risultati del sondaggio siano da imputare anche a serie tv tipo "24".
amnesty international ha fatto un sondaggio tra 21.000 persone in 21 paesi, e il 44 per cento della popolazione mondiale teme  di essere a rischio di tortura se preso in custodia nel proprio paese. gli inglesi, invece, sono i più tranquilli di tutti: l'83 per cento è sicuro che non subirà alcuna tortura dalla polizia del proprio paese. tortura sì, but not in my courtyard, please.

sordità volontaria


Hai notato il suo berretto? -  mi domanda Otto qualche istante dopo.
- Sì, un berretto dell'NKVD! Nikolaj è molto orgoglioso di indossarlo. Un berretto da ufficiale delle unità speciali della polizia...
- Così, - mi interrompe Otto, - senza cambiare il berretto potrebbe cambiare la situazione: invece di essere deportato in un campo nazista potrebbe essere guardiano in un campo di concentramento sovietico.
Sento un freddo glaciale circondarmi le spalle.
- Che vuoi dire, Otto?
- Quello che dico: ci sonlo campi di concentramento in URSS...
Mi rivolgo a lui.
- Lo so... Ci sono scrittori che ne hanno parlato...
Gork'kij ne parlò a proposito della costruzione del canale del Mar Bianco. Lì mandano persone comuni a lavorare, a lavorare per rendersi utili, invece di marcire stupidamente in galera. Campi di rieducazione per mezzo del lavoro...
Mi rendo conto di avere appena pronunciato una parola fatidica del vocabolario nazista: Umschulungslager, campo di rieducazione.
Otto sorride.
- Proprio così...Unschulung. E' la mania delle dittature, la rieducazione! Ma non voglio discutere con te: hai deciso di non volermi capire. Posso presentarti un deportato russo, un tipo in gamba. Un raskol'nik davvero, un «vecchio credente». Un testimone, non solo di Cristo... Lui ti racconterà cosa succede in Siberia.
- La conosco già la Siberia - gli dico rabbioso. - Ho letto Tolstoj, Dostoevskij...
 - Quelli erano i penitenziari zaristi. Il mio raskol'nik ti parlerà dei penitenziari sovietici.
- Senti, - gli dico, - ho un appuntamento importante,a desso. La prossima volta mi racconti tutto.
(...)
(Otto) la domenica successiva mi aspetta accanto al pagliericcio di Maurice Halbwachs.
 - Lui non ti vuole vedere - mi dice dopo una lunga esitazione.
 . Non vuole parlare con un comunista . dice rapidamente.
(...)
Mi sentivo sconcertato, e pure indignato.
. Non gli hai detto che si sbagliava? Non l'hai tranquillizzato? Cosa gli hai detto?
Scuote la testa e mi posa una mano sulla spalla.
- Che probabilmente tu non gli crederesti. Ma di tenertelo per te, di non parlarne con nessuno. (...)
Mi ha pregato di dirti che non è una questione di coraggio. Ma che è inutile parlare con chi non vuole ascoltare, nemmeno sentire. Verrà il giorno in cui ci vedrai chiaro, lui ne è sicuro.
Siamo in piedi, ora silenziosi, appoggiati alla branda di Maurice Halbwachs.
W' vero che non avrei voluto sentire il raskol'nik, che non avrei voluto ascoltarlo. Per essere del tutto sincero, credo in qualche modo di essermi sentito sollevato davanti al rifiuto del vecchio credente. Il suo silenzio mi avrebbe permesso di rimanere comodamente nella mia sordità volontaria.

Jorge Semprun, Vivrò col suo nome, morirà con il mio, pp. 109-111

giovedì 3 luglio 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 3


In bocca a Tancrède, nel suo esaustivo inventario, manganello era una parola al tempo stesso chiara e indistinta: eravamo ancora nell'ambito dell'idealismo oggettivo!
In seguito, ad Auxerre, nella città della Gestapo, parole e cose divennero più concrete. Imparai presto a  distinguere la realtà materiale dei differenti modelli di manganello.
(...) 
Senza dubbio è sempre meglio sapere che cosa ci aspetta, a che cosa si va incontro. Senza dubbio è meglio sapere, non farsi illusioni. Ma non è questo il punto, perché il corpo, il corpo non sa. Il corpo non può conoscere a priori, prevenire l'esperienza della tortura. Neanche il corpo che ha conosciuto la fame e la miseria ha quest'esperienza, è in grado di anticipare carnalmente quest'esperienza: la tortura è imprevedibile, imponderabile nei suoi effetti, nelle sue devastazioni, nelle conseguenze che lascia sull'identità corporea.
Non c'è modo di prevedere, né di premunirsi contro una possibile rivolta del corpo, che sotto tortura pretende ottusamente -  bestialmente - dalla vostra anima, dalla vostra volontà, dal vostro ideale del Sé una capitolazione incondizionata: vergognosa ma umana, troppo umana.
Di inumano, di sovrumano c'è invece l'imporre al proprio corpo una resistenza senza fine alla sofferenza infinita. L'imporre al proprio corpo, il quale aspira soltanto alla vita, fors'anche svalutata, miserevole, trafitta da ricordi umilianti, la prospettiva liscia e glaciale della morte.
La resistenza alla tortura, anche se alla fin fine è sconfitta - e, a prescindere dal calcolo del tempo, si tratta di ore, giorni o settimane -, è nel suo complesso satura di una volontà inumana, o meglio sovrumana, di superamento, di trascendenza. Perché abbia un senso, una fecondità, nella solitudine abominevole del supplizio bisogna postulare un al di là dell'ideale del Noi, una storia comune da proseguire, ricostruire, reinventare senza interruzione. La continuità storica della specie, in quel che contiene di umanità possibile, sulla base della fraternità: né più né meno.
Perciò quando Tancrède smise di parlare, io sapevo quasi tutto sui metodi della Gestapo, sapevo quale prova mi attendeva, ma non potevo ancora immaginare in quale misura questa esperienza potesse toccarmi, fors'anche cambiarmi. O distruggermi.
Non lo si può sapere prima.

Jorge Semprun, Esercizi di sopravvivenza, pp.24-26

domenica 29 giugno 2014

perché 6



e perché ogni volta che sento pochi accordi alla radio e penso sì, è lui, questo è johannes brahms, poi è sempre brahms?
ho cercato di capirlo anche chiedendo a dei musicisti, che cos'è quella specie di lametta, quelle noticine che ti si insinuano dentro, tra fibra e fibra, quella malinconia sempre piena di speranza, quell'onda leggera che si ingrossa come una marea di lacrime e travolge tutto, e poi si ritira e ti lascia lì, a riva, non si sa come, più viva di prima, ho chiesto, di spiegarmelo, ma ancora non me l'ha spiegato nessuno.

venerdì 27 giugno 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 2

al tosano, che è un mega supermercato qua vicino, ho visto che nel reparto 'robe per fare i dolci' vendono una bottiglia da mezzo litro in vetro marrone  con dentro un liquido trasparente, e sopra c'è scritto AROMA DI BURRO.

giovedì 26 giugno 2014

think pink 5 - fiorella mannoia

l'altro giorno ascoltando la trasmissione radiofonica di cinema 'holliwood party', ho scoperto che fiorella mannoia di professione faceva la cascatrice. la stunt girl, praticamente.
e mica in filmetti del cavolo: si è presa lei gli sberloni di sordi al posto di monica vitti nel film amore mio aiutami, era la sua controfigura fissa, e si è sostituita a molte altre attrici famose.
era la numero uno, in europa, e la sua specialità erano le cadute da cavallo.
chi l'avrebbe detto. io no di sicuro. una grande, davvero.

la foto l'ho trovata QUI

perché 5


il funerale di jan patocka


 mi ero portata il libro di semprún al collegio docenti, che è piccolo, si può tenere in grembo senza che nessuno se ne accorga, basta essere qualche fila dietro, solo che quando sono arrivata a leggere questa roba qua l'ho dovuto chiudere, perché tanto per cambiare mi è venuto da piangere. che io, quando leggo ste robe, non capisco, non capisco perché, ma perché, mi chiedo, e mi chiedo anche perché tanta gente, dopo che sono successe cose come questa, non ha saputo dire basta, non gli è venuto da dire: no, io con questa roba qua non c'entro niente.

Ciò che Lenoir non poteva dirmi, perché lo ignorava, o almeno non lo ricordava nel caso l'avesse saputo, è che il giovane filosofo che organizzò quell'incontro in cui intervenne Edmund Husserl si chiamava Jan Patočka.
 Molto più tardi, vari decenni più tardi, convertito in portavoce della Carta 77, Jan Patočka morì a Praga per un attacco di cuore dopo un interrogatorio della polizia del regime comunista. Interrogatorio senz'altro troppo forte, troppo energico, troppo brutale. Il giorno del funerale di questo grande filosofo, scandalosamente poco conosciuto, la polizia politica ceca ordinò la chiusura di tutti i negozi di fiori di Praga, per evitare che le mani fedeli degli uomini e delle donne libere portassero alla tomba di Patočka montagne di fiori.
Jorge Semprún, Vivrò col suo nome, morirà col mio, p. 88


per fortuna glieli hanno portati lo stesso, i fiori. trovare questa foto è stata un po' dura, ho dovuto cercare come si dice funerale in ceco, e l'ho trovata, e sono stata molto contenta.


ognuno riconosce i suoi 11 - vivrò col suo nome, morirà col mio





un passato che si nutre continuamente di presente, un  irrompere ricorrente di volti, versi, brandelli di lingue - il tedesco, la lingua del campo, il francese, la lingua della patria adottiva, lo spagnolo, la lingua dell'infanzia, del mito, della poesia - il puzzo di merda e morte delle latrine del campo piccolo che quasi lo senti venir su dalla carta, il tutto cucito assieme con un montaggio frenetico, che non porta da nessuna parte, perché siamo sempre lì, a buchenwald, nel '44, ma anche a praga, nel '69, a parigi nel '41o nel '43, a monaco nel '99...
questo e molto altro è 'vivrò col suo nome, morirà col mio', di jorge semprún, che prende il titolo, secondo me straordinario, dalla vicenda realmente accaduta che costituisce l'argomento del libro: a seguito a una richiesta di informazioni che veniva da berlino, i capi dell'organizzazione comunista clandestina decidono di scambiare l'identità di semprún con quella di un un moribondo, temendo che la richiesta di informazioni portasse, come già per molti altri, all'interrogatorio delle SS cui spesso seguiva la fucilazione del prigioniero.

la poesia salva la vita 1


Davanti a noi, davanti al nostro sguardo che era diventato indifferente, si allineava la lunga fila dei deportati, accovacciati, a defecare. Assorti nel dolore lacerante della defecazione. Poco lontano, alla nostra sinistra, un gruppo di vecchi litigava per un mozzicone che di sicuro non circolava equamente. (...)
Non potei far altro che recitare a voce alta il poema in prosa di Rimbaud a cui avevo già pensato altre volte, da quando conoscevo le latrine del Campo Piccolo.
« Betsaida, la piscina dei cinque portici, era un ritrovo di noia. Sembrava un lavoro sinistro, sempre oppresso dalla pioggia ed ammuffito... »
Lanciò una specie di grido rauco, come se d'un tratto si risvegliasse dal suo letargo cachettico.
Io continuai a recitare:
« e, sui gradini interni illividiti da bagliori di tempesta forieri dei lampi dell'inferno, i mendicanti s'agitavano...»
Poi, una lacuna nella memoria: il resto del poema era svanito.
Fu lui che continuò a recitare. La sua voce non aveva più quella specie di gracchio metallico, la risonanza ventriloqua del primo giorno in cui gli sentii pronunciare due parole.
Senza interruzione, tutto d'un fiato, come se recuperasse a un tempo la voce e la memoria - il suo stesso essere - recitò la continuazione.
« ... scherzando sui loro ciechi occhi blu, e sulle fasce bianche o azzurre dei loro moncherini. O lavanderia militare, o bagno popolare... »
Piangeva a forza di ridere, la conversazione stava diventando possibile.

Jorge Semprùn, Vivrò col suo nome, morirà con il mio, pp. 38-39

domenica 22 giugno 2014

perché 4

e perché non riesco più a mangiare la carne senza pensare che prima era una bestia viva, calda, e che qualcuno l'ha uccisa al posto mio?

perché 3

Tutti noi abbiamo avuto, i più sfortunati per qualche mese, o anche per un giorno solo di grazia in cui l'odiato era assente, i più fortunati per l'intero ciclo di studi, tutti abbiamo avuto almeno un insegnante che ci ha fatto sognare. qualcuno che ci ha aperto davanti oceani, abissi, mondi lontani. qualcuno che ha condiviso con te la sua vita, i suoi gusti, i suoi sentimenti.
qualcuno che ha fatto un pezzo di strada con te non perché deve portare a casa uno stipendio, ma perché ama quello che fa e in qualche modo diventa uno specchio, un pezzo di finestra, una strada possibile.
io mi considero tra i fortunati, perché ne ho avuti tanti, nella mia storia scolastica, di insegnanti che mi hanno aperto gli occhi, che mi hanno suggerito strade impervie di montagna, dove pochi arrivano, mi hanno dischiuso davanti scenari impensati e meravigliosi, mi hanno donato non solo quello che sapevano, e anche il modo, in cui sapevano quelle cose, che anche la mia prof di scienze, che odiava le donne e me in particolare, ne ho già parlato, io l'ho ammirata, e amata, anche, per le cose incredibili che ci faceva fare, senza alcun obbligo se non la sete di conoscenza, l'amore per la scienza, che arrivavamo in laboratorio la mattina alle 8 e c'erano le squille pronte da sezionare, l'occhio di bue, che ci ha fatto fare il vetriolo, che ci faceva usare ogni settimana quel laboratorio scientifico coi suoi becchi bunsen, che si dovrebbero chiamare becchi di bunsen,sempre accesi, che adesso con la storia della sicurezza non li farebbe usare più nessuno, credo, e invece noi li usavamo, e come con noi l'aveva fatto per decenni, decenni di distillazione del legno, squille, trote, seppie, occhi di bue, e per noi che era la prima volta era davvero la prima volta e lei lo faceva con la stessa passione della prima volta.
e anche il mio prof di greco, che lui faceva solo greco, poi gli hanno fatto fare anche latino ed è stato un disastro, per noi, ma il greco lo adorava, sapeva tutto, anche della musica greca antica, ci ha fatto mettere in scena l'alcesti di euripide, ci faceva delle lezioni sulla metrica e sulla lingua che all'università poi era uguale, mi ha prestato un libro sulla cabala in inglese che era una cazzata ma che è stata la porta a questo mondo che ancora mi attira e mi incuriosisce, e grazie a lui ho comprato i libri di de martino. e la mia prof di inglese, che aveva la bocca amara e voleva fare la hostess e era l'unica che non mi rompeva le balle che dovevo impegnarmi di più eccetera anche perché in inglese, io, andavo benissimo senza tanto rompermi le balle, e insegna ancora ed è collega di mio marito.
e poi c'era lei, rosalina.
il mio mito, quello che io non avrei mai potuto diventare, con il suo eloquio fluviale, inarrestabile e velocissimo, col suo leggero tic di stropicciare gli occhi, forse per via delle lenti a contatto, verdi, il trucco che si faceva sulla sua 126 rossa mentre veniva a scuola, il suo look sofisticato e le sue scarpe, che non mi piacevano mai, ma sempre di gran classe, i libri di cui ci parlava, per ore, i suoi temi, frasi che erano citazioni, indicazioni di preferenze, spunti di riflessione. la domenica, io, una volta al mese, ero libera e felice, al liceo, che al lunedì avevo tre ore di italiano e c'era il tema, che io, anzi, non vedevo l'ora,  era la mia occasione: di pensare, di scrivere, di ordinare il pensiero.
ne ricordo in particolare due, uno era di pavese, che sintetizzato era un questo: In genere è segno di debolezza tutto ciò che ci toglie coscienza. La massima debolezza è morire. (nel giudizio mi mise un'altra citazione, che chiosò con: l'ha pur detto il tuo, il nostro, pavese) e uno erano i famosi versi di fortini di 'traducendo brecht': 

 ...
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

li avevo scritti, da qualche parte, in un quaderno in cui poi ho aggiunto i miei, per quando facevo i corsi estivi del comune o qualche ripetizione. ma soprattutto per me.

 la poesia, in questo forse era il nostro comune sentire. che io, in realtà, con la rosalina, avevo poco in comune. io non sapevo parlare, non avevo niente della sua chiarezza intellettuale, e anche nostri interessi letterari, credo, erano molto diversi.
perché alla b.,  disse una volta consegnandomi un tema, interessa la sostanza.
dopo il liceo, quando poi sono passata a lettere, andavo spesso a trovarla, ero andata anche da lei perché mi desse una mano con l'esame di latino, la mia bestia nera.
mi ha raccontato anche cose, della sua vita, che non si dicono a tanti.
ci davamo del tu.
la settimana scorsa è andata in pensione, e ha fatto una mega festa al liceo, con alunni ed ex alunni.
eh, ha invitato questo mondo e quell'altro, mi ha detto la mia amica, moglie di un mio compagno di liceo, ieri, a una festina di compleanno in cui ci siamo trovate per caso per via dei figli. ogni volta che lo trovava per strada, il mio compagno, il mio amico, anzi, glielo ricordava: vieni eh, mi raccomando!
io non lo sapevo.
mi sono mancate le gambe.
non lo sapevi?
eh no, non lo sapevo.
avrei voluto andare via, stare da sola, e piangere, e sentirmi come ti senti quando un amico si dimentica di te. e invece sono rimasta lì, in mezzo a bambini urlanti che scoppiavano i palloncini, a finire quella conversazione facendo finta di niente, mentre i miei soliti perché mi rimpallavano in testa come palline di gomma, e tutto mi ronzava intorno, come una nuvola.



lunedì 16 giugno 2014

ognuno riconosce i suoi 10 - scrivere, vivere, morire



prima ho riportato in biblioteca questo libro qua, ho dovuto pagare la multa perché ero in ritardo, ma per questo libro la pago volentieri, ho detto alla bibliotecaria.
 peccato che sia morto prima di finirlo, perché era un progetto ambizioso, ma che sono sicura sarebbe riuscito. è una scrittura che se non sai da dove nasce, e, quando inizia, pensi che sia esercizio di stile, invece è distillato di vita, sudore, sangue, che è un libro che parla della tortura, del corpo, della vita e naturalmente della scrittura.
 l'ho preso per il titolo, lo spessore sottile e l'argomento, mi sembrava una cosa giusta da leggere dopo i fratelli karamazov, e infatti.

Mi trovavo nella penombra ovattata, discretamente propizia, del quasi deserto bar del Lutetia. Ma non era l'ora: intendo dire l'ora di essere a frotte, l'ora di essere attesi o di attendere qualcuno. D'altro canto, non aspettavo nessuno. Ero entrato per evocare comodamente qualche fantasma del passato: Fra cui il mio, con ogni probabilità: il giovane e socievole fantasma del vecchio scrittore che ero diventato.

mentre preparavo i libri da riportare in biblioteca, ho letto questo inizio al professore, e gli ho detto: questo è stato ministro della cultura in spagna fino al '91.
Eh, fa lui, noi abbiamo avuto moratti, fioroni, gelmini... eh no, faccio io, quelli sono ministri della pubblica istruzione. noi, in italia, della cultura non abbiamo neanche il ministero.




venerdì 13 giugno 2014

chiodi, borchie



l'altroieri, portando antonio a scuola, ho visto su uno di quei cartelli che mettono fuori dalle edicole, che passo sempre davanti a un'edicola vicino a un semaforo, che c'era scritto:

IPOTESI CHIODI 
ANTIBARBONI 
PER I MONUMENTI 
DI VICENZA

ero abbastanza sicura di non essermi sbagliata, a leggere, che poi oggi sull'Independent hanno pubblicato un articolo che Tesco, la famosa catena di supermercati, ha deciso di toglierli (che loro li hanno già messi), davanti ai loro negozi.
Ho controllato sul sito del giornale di vicenza, c'è, solo ch li chiamano 'borchie'.

mercoledì 11 giugno 2014

diritti


la corte di cassazione ha detto che tutti hanno il diritto di avere dei figli e quindi con questa sentenza ha ripristinato la possibilità di accedere alla fecondazione eterologa.
e ho pensato che bisogna abolirlo, questa costrutto, che le parole sono importanti, la grammatica di più, la grammatica è il pensiero: bisogna smetterla di dire che uno HA dei figli.
che le persone non si possono avere. non possono essere diritti degli altri, una persona non può essere un diritto per un'altra, perché, mi pare evidente, ma le cose che a me sembrano evidenti di solito sono evidenti solo a me, che se uno è un diritto di un altro vuol dire che è IN FUNZIONE dell'altro, diventa dell'altro. liberi e uguali, in spirito di fratellanza, come recita il primo articolo della dichiarazione dei diritti umani.
 che un giorno ho visto una trasmissione che c'erano due poveracci, mi hanno fatto una pena, due vite distrutte, lavorava solo lui, hanno dovuto fare l'eterologa all'estero, un paio di volte, credo, è andata male, si ritrovano pieni di debiti e senza il sospirato e pagato caro figlio.
non capisco, non posso capire, che io i figli non li ho mai voluti, nel senso di considerarli un completamento, una realizzazione, non sono un completamento, un'appendice, i figli sono altre persone, sono altre persone, altre persone, altre persone... e le altre persone sono altro da te, mangiano, puzzano, cagano, piangono, si ammalano, si cambiano i vestiti e li buttano per terra, non vogliono fare i compiti, ti raccontano balle, si spaccano le dita, la testa, le gambe, non fanno mai quello che vuoi tu, spesso non fanno neanche quello che sarebbe giusto fare anche se non è quello che vuoi tu, e da grandi, grandi si fa per dire, vanno alle feste e ti tornano indietro dentro un sacco nero, a volte.
a volte ti rendono felice, a volte ti abbracciano quando sei triste, a volte ti capiscono senza che parli, a volte ti scrivono dei bigliettini che ti fanno piangere, a volte.
ma essere felici, avere delle soddisfazioni, piangere di gioia o morire di crepacuore, no, non sono diritti questi. tanto meno lo sono quelli che ti rendono felice, ti fanno piangere o morire.
un bambino, un uomo, una bambina, una donna, non sono un diritto di nessuno.




martedì 10 giugno 2014

ritorno a padova



era da... quando? non lo ricordo neanche più, dieci anni, almeno.
andare per le vie di padova in questo periodo in cui, la sera,  fa buio tardi, l'aria calda è piacevole, dopo l'afa del giorno, il prato (la famosa piazza circolare, il prato della valle) magico, con le sue statue illuminate, la poca gente che ci passeggia intorno, santa giustina imponente e muta a chiuderlo, là in fondo, santa giustina con la sua facciata chiusa di muro di mattoncini, che non te l'aspetteresti mai, da fuori, quella luce, dentro, con quel crocifisso solo, là in mezzo all'enorme, unica navata, e le cupole, dietro, che non c'entrano per niente, così tonde, azzurrine, quasi di vetro.
e i ponti, di padova, i suoi portici, il ghetto, con i suoi ristorantini pieni di inglesi, le studentesse americane con le infradito ai piedi che si trascinano trolley e borse della spesa, le piazze, quelle delle erbe e quella delle frutta, che quando andavo all'università era completamente vuota, la sera, dopo il mercato della mattina, era surreale, attraversarla, con l'orologio che fa da porta a piazza capitaniato, coi numeri blu e oro, che meraviglia, ci passavo sotto ogni giorno,  adesso è piena di sedie e tavolini delle innumeri gelaterie e bar, uno dietro l'altra, che hanno preso il posto di boutique e antichi negozi di scarpe.
 il duomo, il cinema concordi, dove andavamo gratis l'8 febbraio festa della matricola, miseramente chiuso, coi suoi vetri ricoperti di scritte spray, il 23, mitico negozio di dischi, immarcescibile, con le sue vetrine ancora coperte di copertine di dischi col prezzo scritto col pennarello rosso, la sede di psicologia, anche quella piena di scritte, che adesso non si entra più, da quella parte lì, e negozi sostituiti da altri, l'esercizio dei ricordi.
quell'aria, quegli odori, che gli odori, pensavo l'altro giorno uscendo dalla biblioteca, gli odori è difficile che cambino, sono gli alberi e le case, che li danno, magari cambiano i negozi, i ristoranti, i bar, e laddove ti aspetti il profumo di caffè, magari ti trovi quello del kebab, ma di fondo, gli odori delle città restano gli stessi, e io, l'odore di questa città, l'odore dell'erba dei giardinetti appena tagliata che si alterna a a quello delle pizzerie, l'odore dei banchi della frutta e verdura che riempiono piazza delle erbe e che sa un po' di buono e un po' di marcio, l'odore di piscio degli angoli bui dei portici, l'odore delle botteghe della basilica, odore di antiche drogherie, di pesce sotto sale, crema da scarpe, verdura andata a male, plastica, carne fresca, io questo odore, questi odori qua lo so, come sono, mi basta pensarci e me li ricordo subito, e l'altra sera l'ho detto alle mie amiche di un tempo, con cui avrei passeggiato fino al mattino, e invece ho dovuto tornare a casa, a me, gli ho detto,  davanti al pedrocchi, a me mi viene da piangere, stasera, da quanto è bella, questa città qua.



mercoledì 4 giugno 2014

MOSE 2 - perchè mi piace vasco

che io quando sento  le solite cronache di ordinaria corruzione del nostro paese mi viene sempre da cantare, con vasco, eh, ci vuole quello che io non ho, ci vuole il pelo sullo stomaco....
sì, stupendooooo, mi viene il vomito, è più forte di meeeeeeeeee....

MOSE 1

Ho sentito alla radio degli arresti eccellenti per il MOSE, e una telefonata, in cui una di quelli che ha esaminato a suo tempo il progetto ha detto che il parere era stato negativo, e questa roba qua, che sono trent'anni che va avanti, non ha alcuna autorizzazione, e io come ogni volta che penso a venezia, mi sono ricantata questa canzone qui che mi ricordo che mi ero comprata una cassetta di quelle che vendevano al mercato del concerto di guccini e i nomadi, e mi veniva sempre da piangere, altro che canzone per un'amica, che c'era anche quella, proprio un album allegro, mi ricordo, c'era anche dio è morto, e auschwitz, per dire.

lunedì 2 giugno 2014

perché 2

ogni tanto salta fuori uno che dice che siamo in troppi, e ogni volta mi chiedo: ma perché non cominci tu, a levarti dalle palle?
no, sono sempre gli altri. che non devono fare figli, che bisogna dirgli di smettere, che bisogna dargli il preservativo, la pillola, prima, dopo, durante.
che hanno tutti paura di morire di fame.
e fanno le diete dimagranti.

domenica 1 giugno 2014

il tombino

La scorsa settimana alla rassegna stampa di radiotre c'era un giornalista, non mi ricordo il nome, comunque era uno importante, che diceva che non è vero che non ci sono certe notizie, ci sono, lui legge i giornali ogni mattina, le notizie ci sono, basta andarsele a cercare, probabilmente questo signore non lo sa che la gente normale non ha il tempo per leggersi tre o quattro giornali al giorno, passare un paio di ore online sulle agenzie, a cercare le notizie che vorrebbe, e che avere accesso a questa quantità immane di informazioni spesso equivale a non averlo affatto, perché il problema è la selezione delle priorità, questo è quello che dovrebbero fare i giornalisti, e anche secondo me, non è che lo fanno tanto.
Dopo che ho sentito sti discorsi, ieri sento al radiogiornale del 3, che poi è l'unico che ascolto, che durerà se dura tanto 5 minuti, dipende dall'edizione, quella delle 13 e 45 è un po' più lunga, mi pare, ma non ci giurerei, comunque in coda mettono spesso un servizio di tipo 'culturale', quello di eri era sul tombino. sì, quella cosa che tutti calpestiamo, un oggetto umile che però anche lui ha il suo design.
ora, a me non piace mancare di rispetto a nessuno, ma voglio dire, ma non avete proprio nienta altro, da parlare, che del tombino?
ma chiamatemi a me, se non sapete cosa dire, che vi direi, che so, le ragazze nigeriane rapite non sono ancora state rilasciate, neanche padre dall'oglio, chissà se è ancora vivo, e quella povera disgraziata che ha partorito in galera col figlio di due anni vicino, adesso forse la lapideranno perché ormai ha partorito, e in india c'è uno stupro ogni 22 minuti, queste robe qua, se anche le ripeti qualche volta, non è che fa poi male, no?
ma no, dai, quello l'abbiamo già detto ieri, oggi parliamo del tombino.

perché


stavo cercando di scrivere un post, questo, sul perché, quando ho aperto come quasi ogni giorno il blog di paolo nori e il nuovo post si intitolava appunto perché, e ho avuto un piccolo tuffo al cuore, ma poi era tutta un'altra cosa.
il mio era un problema mio, che non ci avevo mai fatto tanto caso, invece mi sono accorta che io non riesco a fare a meno di chiedermi perché, in continuazione.
la maggior parte dei miei perché sono cazzate, ma mi affollano il cervello, e non riesco a liberarmene, perché ormai me lo sono già chiesto, perché.
perché quella al supermercato si è messa quella gonna lunga nera che dietro è venti centimetri più corta, con le sneakers marroni, e alte, oltretutto? perché matteo renzi usa il plurale maiestatis? perché mio nipote che è un genio quando gli chiedo cosa vuole fare da grande mi risponde: non so, il commesso? perché una sacco di donne si compra quelle scarpe col tacco che è impossibile camminarci, e magari ci vanno a fare la spesa? perché uno intelligente come carlotto scrive libri inutili, perché la mia collega che apprezzo tantissimo e a cui voglio tanto bene ci racconta un sacco di balle? perché certa gente va a correre solo per stare bene quando non deve più correre, perché quello si è sposato con quella, perché una madre compra a sua figlia di terza elementare una maglietta con su scritto: stasera faccio la brava, perché le persone provano gusto nel vessare gli altri, perché un uomo può dire a una donna: non sei la donna che vorrei al mio fianco e una donna non lo dice mai, perché tutte, ma proprio tutte, quelle a cui ho detto 'faccio il we da single' mi hanno guardato con invidia, perché un uomo violenta una donna, perché 38 uomini violentano una ragazza di 15 anni, perché sono una donna, perché sto così bene da sola, perché non ho saputo stare da sola, perché penso sempre a mangiare, perché nessuno pensa all'anima sua, che magari muore domani, perché esistono le zanzare, e perché non riesco mai a farmi i cazzi miei????
tanto per dire, quello che mi viene in mente adesso.

sabato 31 maggio 2014

diritto all'oblio

Anche la Speme,
ultima Dea, fugge i sepolcri: e involve
tutte cose l'obblío nella sua notte

Foscolo, I Sepolcri 


io, non so, quando ho sentito questa storia del diritto all'oblio, ho pensato a ugo foscolo, e anche all'alzheimer, che la mamma di una mia amica ce l'ha, ed è una cosa terribile, l'hanno chiamato la lebbra del 21esimo secolo.
io, l'oblio, una volta ci dicevano che era una condanna: la condanna all'oblio, appunto, e per me, ecco, faccio fatica a chiamarlo diritto, una roba così.

martedì 27 maggio 2014

una verifica di scienze

parla degli animali erbivori.
No.
(oggi, seconda elementare)

lunedì 26 maggio 2014

Sorry day


Oggi è il national sorry day, in australia, ma anche in UK.
il primo sorry day è stato il 26 maggio del 1998, che quando l'ho sentito mi sono detta: ma io, dov'ero? com'è che non ne ho mai sentito parlare?
in questo giorno di maggio del '98 mezzo milione di persone si sono trovate in piazza, a sidney, a chieder scusa per la generazione rubata.
la manifestazione ha avuto luogo un anno esatto dalla pubblicazione del rapporto: Bring them home, riportiamoli a casa, in cui si dichiarava che quello operato nei confronti degli aborigeni, dei loro figli, meglio, è da considerarsi un vero e proprio genocidio.
dalla fine dell'ottocento, i bambini degli aborigeni venivano portati via dalle famiglie per essere educati, si fa per dire, in missioni e istituti.
con l'Aborigines Protection Act 1869, si dichiarava che gli aborigeni devono essere protetti, sì, ma da chi? ma da loro stessi, ovviamente.
la pratica di portar via i figli agli aborigeni divenne sistematica con i 'mezzosangue', ovvero quei bambini nati da madre aborigena e padre bianco, che nascevano nelle tribù e spesso venivano strappati alle loro famiglie al momento del parto, e che negli anni sono stati decine di migliaia.
singolarmente, il giornalista che ha fatto la puntata di oggi di wikiradio che parlava proprio di questo, non ha speso una parola per i padri di tutti quei bambini. perché a me, invece, la domanda mi è sorta spontanea, proprio. comunque.
dopo una conferenza statale del 1937, la politica dell'assimilazione, secondo cui appunto i meticci dovevano gradulamente assimilarsi ai bianchi, fu adottata in modo massiccio da tutti gli stati, ed è stata perseguita dai vari governi locali fino praticamente agli anni ottanta, finché non è stata istutuita una commissione d'inchiesta che ha pubblicato il suddetto rapporto del 1997. nonostante le conclusioni drammatiche a cui è giunto il rapporto, sintetizzate in 54 raccomandazioni molto precise, il ministro conservatore del momento, che non ricordo come si chiamasse, non ha voluto assolutamente chiedere scusa, intanto perché lui non può chiedere scusa per qualcun altro (ma chi te l'ha detto? e comunque tu sei il primo ministro di un paese) e poi perché sì, è vero, alcuni saranno stati presi ingiustamente, ma tanti altri sono stati presi per giusti motivi, per aiutarli, che erano abbandonati (alcuni sono stati presi con la scusa che correvano scalzi, o che i loro giardini non erano abbastanza curati, per esempio). si calcola che almeno un bambino su dieci (si arriva a dire uno su tre) siano stati rapiti alle loro famiglie e comunità.
Il rapporto del '97 dice che circa il 18 per cento delle bambine e l'8 per cento dei bambini hanno subito abusi sessuali. per non parlare delle percosse e tutto il resto.
c'è anche un film, generazione rubata, tratto da libro Barriera per conigli di Doris Pilkington, che racconta la storia vera di tre sorelle, fuggite da una missione dove erano state rinchiuse, che sono tornate a casa seguendo appunto la barriera per conigli del titolo.
l'aspettativa di vita degli aborigeni australiani (che sono lo zero virgola qualcosa degli australiani) oggi  è di 17 anni inferiore ai bianchi.