martedì 6 giugno 2017

italiacano 18 - nuove professioni

Ieri sera sono tornata a padova, che città fantastica, sopratttto adesso, la tarda primavera, e ci siamo trovati, con alcuni che vorremmo fare un gruppo di scrittura, in una piazza dove hanno fatto un orto urbano dentro a cassette, vecchi copetoni, piccole aiuole di cemento, e lì ho scoperto che adesso quelli che fanno l'orto si chiamano ORTISTI.

venerdì 2 giugno 2017

il re è nudo 3 - sbarramenti


Come ho già scritto, 'il re è nudo' sono dei post in cui condivido articoli in cui gente molto più importante di me dice cose che penso anch'io, ma meglio.
questo articolo di Asor Rosa, uscito su Repubblica il 17/5/17, riguarda la decisione, per il momento sospesa, di mettere il numero chiuso anche alla facoltà di filosofia della statale di milano.
siamo il paese in cui ci sono meno laureati, siamo nella metà più alta per le tasse universitarie in europa, senza contare il tasso di abbandono.
aggiungo solo che sono da sempre contraria al numero chiuso. non capisco perché non mettano degli sbarramenti, che so, al secondo anno. se non fai tot esami sei fuori. molto meglio del numero chiuso, per cui un sacco di bravi e volenterosi ragazzi passano uno o due anni parcheggiati in altre facoltà sperando di passare il test l'anno dopo. chissà che esame bisogna fare, poi, mi chiedo, per entrare a filosofia, che non so se ci siete mai stati, ma è un'esperienza da fare, una volta nella vita, andare a una lezione di filosofia.

IL NUMERO CHIUSO? LA MORTE DELL'UNIVERSITA', intervista ad Alberto Asor Rosa
«Il numero chiuso? La morte dell’università ». Anzi: «Un’idea mostruosa per nascondere le inefficienze dei nostri atenei, dove non ci sono più né docenti né aule per accogliere gli studenti». Alberto Asor Rosa, una vita in cattedra alla “Sapienza” di Roma, critico, docente, oggi scrittore, le aule affollate dei corsi umanistici le conosce bene. Ma la risposta, dice chiaro, non può essere quella di «selezionare gli studenti».
Professore, perché il numero chiuso sarebbe la morte dell’università?
«Perché invece di accogliere più giovani, invece di formare più laureati, noi sbarriamo l’accesso. E non con una selezione vera, ma con test d’ingresso abnormi, assurdi, che non premiano certo i migliori. Invece più è larga la platea che frequenta le università, più grandi sono le potenzialità che vengono fuori».
In certi casi però è questione di sopravvivenza. Aule piccole, pochi docenti.
«Ma è questo lo scandalo. Per coprire la mancanza di risorse i rettori si inventano il numero chiuso, facendolo passare per meritocrazia. La realtà è che le università sono senza soldi, non hanno più professori, non hanno aule né strutture. E le facoltà più penalizzate sono proprio quelle umanistiche. Come è accaduto ad esempio a Roma, nel dipartimento di Letteratura italiana: c’erano 20 docenti e oggi ce ne sono soltanto 2. E allora qual è la risposta? Invece di fare nuovi concorsi tagliano il numero degli studenti».
Con il risultato di avere assai meno laureati rispetto al resto d’Europa.
«Siamo prigionieri di una contraddizione. Da una parte si dice che abbiamo pochi laureati, dall’altra però ogni giorno si fa il conto di quanti laureati fuggono dal nostro paese perché per loro non c’è lavoro. Siamo di fronte ad un problema gigantesco. Quasi una catastrofe, figlia delle politiche suicide degli ultimi anni».
Dunque è sopratutto un problema di risorse?
«Certo. Le porte dell’università devono essere aperte a tutti, garantendo però il livello dell’insegnamento. Bisogna assumere docenti, rilanciare la ricerca, non fare il numero chiuso sulla base di test assurdi. E soprattutto investire sulle facoltà umanistiche, le più penalizzate dai tagli e dall’abbandono ».