mercoledì 30 dicembre 2020

Infinito presente 3 - dire la verità

 


All'università stavo in collegio dalla suore.
Dopo l'esame di maturità, un'esperienza che non auguro a nessuno, mi ero iscritta a scienze forestali. i corsi scientifici erano semestrali, per cui cominciavano a ottobre, e io dovevo trovarmi in fretta un posto in cui stare. così mi sono trovata per caso in un collegio per ragazze di buona famiglia piuttosto snob, unica matricola in quel particolare momento dell'anno accademico in cui solo quelle poche iscritte a facoltà scientifiche si erano già trasferite in collegio, costituendo una sorellanza nella sorellanza, di cui io io cercavo faticosamente di capire le regole non scritte, ma che erano evidentemente ben conosciute dalle altre.

la vita sociale del college consisteva nel ritrovarsi nel cucinino del piano dentro a improbabili pigiamoni in pile, mangiando scatolette di tonno e fagioli, minestrine knorr, bevendo tè o caffè a seconda della metà del mondo a cui appartenevi, chi divorando cioccolata, biscotti, cioccolatini lindor, chi carote scondite e mousse dietetiche e collose, e impiegando il tempo che restava tra lezioni e studio in camera in sfide memorabili a briscola ciacolona, risoluzione collettiva del cruciverba più ostico della settimana enigmistica con l'ausilio dei manuali delle rispettive materie di studio, dizionari, anche etimologici, garzantine e bignami vari e naturalmente disquisendo dei massimi e dei minimi sistemi.
una sera l'argomento erano i nomi assurdi che ci sono in tutte le famiglie. mio padre, per esempio, ha una sorella che si chiama ettorina solo perché era morto il nonno ettore. poi è arrivato mio padre, e l'hanno chiamato ettore, ma era morto anche clemente. allora si è chiamato ettore clemente. e poi è arrivato anche clemente.
c'erano anche storie più inverosimili di questa, come tutte le storie vere. ridevamo parecchio e io chiedo alla mia amica, che allora non era ancora mia amica, in realtà, era solo una delle ragazze che occupava una delle stanze del 4 piano, come si chiamasse suo padre. lei fa finta di non sentire. siccome io sono una mente semplice, pensavo che non avesse sentito veramente, e rifaccio la domanda. Niente, andavano tutte avanti a parlare come se io non avessi parlato, anzi: come se non ci fossi proprio.
In un secondo momento, stesso posto, stesse persone a parte f., una delle altre mi fa: oh, se vuoi evitarti un'altra figura di merda, non chiedere più niente a f di suo padre.
io ho pensato che non mi ero fatta nessuna figura di merda, capisco che la mia amica possa avere dei problemi nel rielaborare il suo lutto, ma cosa c'entra la figura di merda?
ecco, io questo formalismo, queste pensare che imbastire un teatrino di apparenze cambi la realtà, non lo riesco a capire neanche adesso. meglio: capisco, ma non mi appartiene. o di preferire di non sapere. far finta che non succedano le cose. ignorare le domande. come se le risposte non fossero già tutte lì ad aspettarci.
io, quando scrivo delle storie, in genere parto da fatti e persone reali, ma io le chiamo fiction, perché nel momento in cui le racchiudo nelle mie parole, gli dò la forma che voglio io, diventano altro, potrei anche averle inventate, anzi: in genere sembra proprio che le abbia inventate, e forse è così, perché le ho inventate, cioè trovate, io, in effetti, gli ho dato io quella forma lì senza la quale sarebbero cronaca, pettegolezzi o storielle da bar, magari, o forse non sarebbero niente.
perché io, quando scrivo, cerco sempre di fare quello che mi ha insegnato ernest: 
non preoccuparti. hai sempre scritto e scriverai ancora. devi solo scrivere una frase sincera. scrivi solo la frase più sincera che sai.
ecco. io non pretendo di dire, di scrivere anzi, la verità con la V maiuscola. Io cerco solo di dire la MIA verità, che poi credo sia l'unica cosa che possiamo, che dobbiamo, forse, provare a fare.
e mi dispiace se a qualcuno non piace, ma non è che allora cambio versione. o chiedo il permesso.
mi dispiace tantissimo che quella della figura di merda, che considero una delle persone più creative e intelligenti che io conosca, una donna stupefacente che potrebbe benissimo essere il Ceo di un'azienda a livello mondiale, o la prima ministra di qualsiasi stato del mondo,  e invece no, se la sia presa per una storia che ho raccontato, e se potessi la farei togliere dal libretto in cui appare, perché penso che nessuna storia, neanche la migliore, valga la pena di ferire i sentimenti di qualcuno.
ma continuo a pensare che sia una storia bellissima, che vale la pena di essere raccontata, e non chiederò mai il permesso di raccontare una storia sincera, e vera.
 
e. hemingway, festa mobile

 





venerdì 30 ottobre 2020

infinito presente 2 - inginocchiarsi

Brittany runs a marathon, 2019

l'altra sera i miei figli erano dai nonni, e io e mauro abbiamo guardato un film che atante volte avevo proposto di guardare ai ragazzi durante la quarantena.
tratto da una storia vera, parla di una ragazza che riesce a riprendere in mano la sua vita, fino a quel punto un disastro totale, mettendosi a correre e riuscendo, finalmente, a partecipare  alla maratona di NY.
per fortuna che i miei figli non ne hanno voluto sapere, della mia proposta. pensa se mi chiedevano: perché quello le ha dato dei tovagliolini di carta per inginocchiarsi???? (nel cesso del locale dove l'ha invitata ad andare per farsi fare un pompino gratis).
non riesco a togliermi dalla testa quella scena disgustosa. e lei ci va.
e quando lei incontra un uomo normale, in un sito di incontri, e lui la invita a casa sua, lei, come un riflesso condizionato, si mette a slacciargli i pantaloni. e quando lui la ferma e le propone, invece, di andare a letto, lei scappa.
inginocchiarsi per fare un pompino in un lurido bar di merda a uno che hai conosciuto da cinque minuti.
io, inginocchiarmi mi inginocchio davanti al Santissimo Sacramento.
ma adesso, nella mia parrocchia,  non si può più. perchè quello nel banco davanti, davanti al santissimo sacramento, non si vuole inginocchiare. e quindi tu ti avvicini troppo alle sue terga, diciamo.
e non sia mai che, attraverso la mascherina, che tevi tenere addosso nonostante la distanza che mantieni, che penso che in chiesa sia l'unico posto dove si mantengono le distanze, ormai,  a scuola ci hanno detto che basta un metro da bocca a bocca, praticamente è tutto come prima, solo che ognuno sta nel suo banchetto e io ho dovuto comprarmi un amplificatore vocale perché sono già senza voce, a parlare attraverso la mascherina, ecco, in chiesa, se ti inginocchi, rischia che gli attacchi il covid nel didietro a quello davanti che non si vuole inginocchiare, davanti al santissimo sacramento, e quindi devi stare in piedi anche tu. ma perché?
ma qualcuno si è mai inginocchiato, davanti a te?
quando il vostro moroso si inginocchierà davanti a voi, dico alle mie alunne al  catechismo, capirete che gesto meraviglioso è, che qualcuno si inginocchi davanti a te.
è  sperimentare come un gesto di resa, di sottomissione per eccellenza si trasformi, per amore, in una dichiarazione di fiducia totale. Sono qui, ai tuoi piedi, puoi fare di me quello che vuoi, e sono sicuro che non lo farai.
inginocchiarsi per chiedere perdono, inginocchiarsi per giocarsi l'ultima carta: mettersi nelle mani dell'altro, confidare nel suo amore, nella sua misericordia.
Credere che la mia debolezza è la mia forza. quando suona il campanello, alla consacrazione, inginocchiarsi è corrispondere al sommo sacrificio di Cristo come posso.
perché non lo fanno, non lo riesco a capire.




amica mia...

 

The tears, Man Ray
 

l'amarezza che danno gli amori non corrisposti, amica, è il prezzo da pagare per  il tesoro del tuo cuore.
lo so, come ti senti. come quando ti rovini per un regalo che volevi fosse unico, come l'affetto per quella persona, e va a finire nel mucchio dei pacchi che valgono solo il tempo di una canzone d'auguri.
per tutti gli altri, ci sono le tue frasi tranchant e gli sguardi di fuoco, di donna guerriera. ma non per gli affetti e gli amici più cari. non riesci neanche a reagire, non capisci, ti senti sbagliata.
no, amica, non sei sbagliata, ma neanche gli altri lo sono. miserie ne abbiamo tutti, tante.
è che un cuore grande come il tuo, amica mia, grande come il cielo dei tuoi occhi, non ci sta, in tanti posti.
ognuno fa quello che può, ognuno raccoglie e dà quello che può.
lascia andare.
niente va sprecato, niente. neanche una lacrima, neanche una parola.
tutto tornerà, al tempo giusto.



venerdì 21 agosto 2020

ognuno riconosce i suoi 35 - la cosa migliore



Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male.

Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri?

Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.

PHILIPH ROTH, Pastorale americana (Torino, Einaudi1997)



N.B. ho trovato questa cosa sul sito libri antichi online. GRAZIE!!!


INFINITO PRESENTE 1 - Avere ragione

ragióne 

Vocabolario on line - Enciclopedia Treccani

ragióne s. f. [lat. ratio -onis (der. di ratus, part. pass. di reri «fissare, stabilire»), col sign. originario di «conto, conteggio»]

1. a. La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi, ecc.; può equivalere a giudiziodiscernimentologica, ma ha sign. più ampio e generico e intonazione più familiareil possesso della rdistingue l’uomo dagli animali, o, semplicem., la r.; essere nell’età della r., avere superato l’infanzia (anche ironicam., a chi dimostra di farne poco uso). In contrapposizioni: la fede arriva dove non può arrivare la r.; làsciati guidare dalla re non dall’istintoi peccator carnaliChe la ragion sommettono al talento (Dante); Cauta in me parla la ragionma il coreRicco di vizj e di virtùdelira (Foscolo). 
b. Nel linguaggio filosofico, il termine, provenendo dal lat. ratio come traduzione (Cicerone, Lucrezio) del greco lògos (v.), ne mantiene il duplice significato di ragione e discorso, determinandosi in vario modo come la facoltà di conoscere attraverso la parola e il discorso piuttosto che mediante l’intuizione;
2. a. ant. Discorso condotto secondo ragione; ragionamento, esposizione ragionata
b. Argomentazione o dimostrazione, prova o argomento, di cui ci si vale in un ragionamento per persuadere, difendersi o difendere, confutarelascia che dica le mie re ti persuaderaiprima di decideredevi ascoltare le sue r.; le rche porta non sono convincentiprima con vere rdifender la fama mia e poi con fatti (Boccaccio); 
3. a. Il fondamento oggettivo e intelligibile di qualche cosa, ciò per cui una cosa è o per cui una cosa si fa; e quindi causa, motivo legittimo, che spiega o giustifica un fatto; più esplicitamente, le rultime delle cose, le cause prime, i principî originarî; ultima r. (cfr. lat. ultima ratio), anche nel senso di ultima soluzione, estrema risorsa
b. In alcune locuz. significa, più particolarm., giusto motivo, giusta causa
4. a. Diritto (soggettivo), in senso generico e non tecnicofar valere le proprie r., obbligare altri a riconoscere i nostri diritti, con la persuasione, con la forza, o ricorrendo alla giustizia: farò valere le mie rin tribunale. In alcuni casi, ha sign. più vicino a esigenza
b. In contrapp. a torto, il buon diritto, cioè il giusto nell’agire, il vero o il giusto nel pensare, nell’affermare, nel discutere, nel giudicarela re il torto non si possono dividere con un taglio nettoessere dalla parte della r., o, più com., aver r. (contrapposti a essere dalla parte del tortoaver torto), essere nel proprio buon diritto, o, secondo i casi, dire il vero o il giusto, agire giustamente, comportarsi secondo le regole, ecc.
c. Nel linguaggio giur. ant., diritto, nel senso oggettivo di complesso di norme giuridiche5. ant. Calcolo, conto. 
6. a. In matematica, il termine è usato soprattutto nelle espressioni rdi una progressione aritmetica e rdi una progressione geometrica, numero esprimente la differenza e, rispettivamente, il rapporto costante tra ciascun termine e il precedente. 
7. ant. a. Specie, qualità: Quivi vivande è di molte ragioni (Pulci).  
8. Rsociale (dal fr. raison sociale), il nome commerciale sotto il quale agisce una società in accomandita semplice o in nome collettivo
ho copiato la definizione di "ragione" dal dizionario Treccani, tagliando tutti gli esempi, che se uno vuole li può leggere QUI,  e, come si può vedere, non c'è una definizione di 'ragione' che si possa definire negativa.
eppure, cercando una foto a questo post, ho trovato solo cose della serie: è meglio avere pace che ragione, vuoi avere ragione o essere felice?, lascia chi vuole avere ragione nella sua ignoranza eccetera, messaggi in cui si assimila il voler avere ragione all'arroganza, alla mancanza di rispetto, all'ignoranza, e lo si contrappone, oltre che alla pace e alla felicità (ma se, mettiamo in una causa, hai ragione e ti danno torto, stai meglio o peggio? mah), alla liberalità, al lasciar perdere, all'essere tolleranti e anche, diciamolo: più intelligenti (il che, mi pare, ma forse come al solito pare solo a me, è una contraddizione in termini).
va molto di moda anche a questo proposito citare l'effetto Dunning-Kruger. questi due hanno fatto un esperimento, chiedendo a delle persone di auto-stimare il loro livello di competenze in grammatica, ironia e logica, e poi hanno fatto delle prove. quelli che avevano i risultati più bassi erano quelli che si erano dati i voti più alti. si chiama superiorità illusoria. 
io in ironia e soprattutto logica non lo so, ma in grammatica è difficile battermi. ho fatto anche l'esame all'università, e ho preso uno dei miei soliti 29. comunque.
il fatto è che ogni conversazione col professore che non riguardi cosa mangiamo oggi (argomento in testa alla top ten) o che tempo farà domani, ovvero che superi le tre battute, finisce inevitabilmente con lui che se ne va, accusandomi di voler avere sempre ragione.
perché, scusa, non ho capito: dovrei volere avere torto????
no, è che tu sei convinta che le tue idee siano giuste.
perché tu invece sei convinto che le tue idee siano sbagliate, immagino.
è che io non so argomentare, mi dice.
ah ecco. 

invece è che a me piace discutere, ma io non ce l'ho con le persone. non penso che uno sia stupido, non sia all'altezza. io ce l'ho con le idee. certo, magari mi trovo davanti una persona con limitate capacità di ragionamento, o per cui vincere la partita della discussione, in quel momento, è più importante magari anche della nostra amicizia, e magari decido di lasciar perdere.
ma io sono convinta che ognuno abbia le sue ragioni. la frase che cito continuamente, e che non ha ancora finito di stupirmi nella sua verità, di Jean Renoir, secondogenito del pittore August e grande regista,

Quel che è più terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni 


La Règle du jeu (La regola del gioco, 1939) 


questa frase, dicevo, è stato il leitmotiv della mia quarantena. e non solo. 
e a me interessa capirle, queste ragioni. non è compassione, è che proprio mi interessa.
davvero.
mi interessa capire perché. io me lo chiedo continuamente: perché?
ecco, io, quando discuto, cerco qualcuno che mi dia delle ragioni più forti delle mie.
tutto qua.






mercoledì 29 aprile 2020

fin che la barca va...



una volta, avrò avuto diciassette o diciott'anni, nella mia parrocchia si è fatta una 'missione'. le missioni, che adesso non si fanno più, consistono nel chiamare un predicatore, di solito un francescano di qualche tipo, o anche più di uno, che per una settimana fa delle catechesi ai parrocchiani, a volte anche nelle piazze, o andando casa per casa. La sera che toccava al gruppo giovani, io ci sono andata ed era appena morto un ragazzo, nella nostra scuola. era uno di quelli che sembra che non debbano morire mai. io non lo conoscevo, anche se aveva la mia età, se non di vista. ma al sabato era a scuola, e al lunedì era morto. meningite fulminante. la cosa mi aveva sconvolto.
chiedo al frate: ma com'è che Dio permette questo? 
e lui mi fa: cos'è che ha ucciso il tuo amico? il microbo. non è mica Dio che ha ucciso il tuo amico, è stato il microbo!
ora, io non lo so se il frate ci credesse veramente, spero di no per lui. io, comunque non ci ho creduto per niente. poi uno mi ha detto che questa domanda è una domanda ingenua. sarà.
però se mi succedesse adesso, saprei cosa dirgli, al frate: ma lei non crede in Dio, Padre ONNIPOTENTE???? o dice il Credo così, per abitudine?
perché delle due l'una: o crede in Dio ONNIPOTENTE, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose, visibili e, UDITE UDITE, invisibili, oppure no.
io ci penso anche quando stramaledico le zanzare, si figuri. e concludo  che sono creature demoniache, non nel senso che le ha create il demonio, che non potrebbe creare un bel niente, ma che le ha assoggettate al suo dominio, trasformandole in quegli esseri abominevoli che sono.
ecco. 
il frate, secondo me, avrebbe dovuto dirmi: cara laura, il male esiste, è qui, in mezzo a noi, è anche dentro di te, nel tuo cuore. il demonio esiste, e come leone ruggente si aggira tra noi, cercando chi sbranare. ma Gesù tornerà e sconfiggerà tutto questo, e l'ultimo male, il più grande, a essere sconfitto sarà la morte. lui ha già cominciato, e noi, che abbiamo la grazia di essere diventati suoi discepoli e fratelli adottivi per mezzo della croce che patì per noi, dobbiamo continuare come possiamo l'opera di redenzione dell'umanità. come, vuoi sapere? convertendo la nostra vita, ognuno la sua.
prendendo la nostra croce, ognuno la sua.
questo avrebbe dovuto dirmi il frate, e questo avrebbe dovuto dirci papa francesco, l'altra sera nella piazza san pietro deserta. altro che siamo tutti nella stessa barca. remiamo insieme, dai.
ma verso dove?????? verso la riva? ma quale riva? verso la salvezza?? ma quale salvezza???
speriamo, siamo solidali, siamo CREATIVI!!!
ma soprattutto: RESTIAMO A CASA. nei nostri divani, lo faccio anch'io, eh, sia chiaro, impoltronati come il papa davanti al corpo di Gesù.
se Dio, l'Onnipotente, avesse fatto quello che poteva fare benissimo, l'altra sera, squarciare i cieli e fermare il diluvio, rendere la notte giorno, sanare le ferite, perfino resuscitare quei morti portati via coi camion dell'esercito, che già mandano cattivo odore, come ha detto Marta a Gesù nel vangelo di oggi, ma credete che qualcuno avrebbe creduto? che avrebbe cambiato la sua vita?
ieri pomeriggio la mia chiesa, come ogni sabato, era aperta per la preghiera per un paio d'ore. sono entrata e ho letto il vangelo di oggi, Gv 11, 1-45 e mi sono fermata alle prime righe:
'QUESTA MALATTIA NON E' PER LA MORTE, MA PER LA GLORIA DI DIO, 
PERCHE' PER ESSA IL FIGLIO DI DIO VENGA GLORIFICATO'
ecco. se il frate mi avesse detto sta roba qua, quella volta, secondo me il padreterno sarebbe stato più contento, che metterlo sotto a dei microbi che neanche si vedono. magari l'adolescente incazzata con Dio che ero non avrebbe accettato questa spiegazione, ma almeno poi avrei saputo che vera. sarebbe stato più contento, il padreterno, che il papa dicesse preghiamo, convertiamoci, cambiamo il nostro cuore. questa malattia, questo dolore non è disperazione, non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché Lui, il salvatore tornerà, nella gloria, e la nostra gioia sarà piena, gioia senza fine alla sua presenza!!! salvaci, Signore, perché senza di te siamo niente!!! Avrebbe dovuto dire: uniamo le nostre sofferenze, il nostro dolore, anche le nostre morti, alle sofferenze, ai dolori, alla morte di Gesù crocefisso perchè con Lui anche possiamo risorgere!
altro che remare, ma cosa volete remare!!!!!!




martedì 31 marzo 2020

la vita, la morte, un prete



Il 2 ottobre 1968 a Città del Messico, l’esercito spara con le mitragliatrici su una manifestazione studentesca. I morti sono oltre cento, passerà alla storia come il massacro di Tlatelolco. 
Oriana Fallaci, arrivata dal Vietnam in Messico alla vigilia delle Olimpiadi, si trovava sulla terrazza di un grattacielo sovrastante la piazza per controllare al meglio le azioni fra manifestanti e forze dell’ordine. Da un elicottero piombarono su lei e gli altri giornalisti dei militari, parte in divisa parte in borghese, sparando all'impazzata. 

Ferita gravemente, fu creduta morta e portata in obitorio, dove un prete si rese conto che era ancora viva. 

La giornalista riportò tre ferite d’arma da fuoco ma si offrì di testimoniare quanto accaduto direttamente dal suo letto d’ospedale.


QUI il servizio dalle teche Rai

domenica 22 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 34 - un dieci


 Che cosa sono diventate, le due fate? Sicuramente, si saranno sposate. E' un atto così grave, quello di passare dalla condizione di fanciulla  quella di donna. Che cosa fanno, in una casa nuova? Che ne è stato, dei loro rapporti con le erbe elvatiche e con i serpenti? Erano coinvolte in qualcosa di universale.

Ma viene il giorno in cui nella fanciulla si sveglia la donna. Si sogna di assegnare, finalmente, un ≪dieci≫. C'è un ≪dieci≫ che pesa in fondo al cuore. Allora si presenta un imbecille. Per la prima volta quegli occhi così acuti s'ingannano, e lo illuminano di seducenti colori. Se quell'imbecille dice dei versi, lo si crede poeta. Si crede che egli capisca i pavimenti rotti, che ami le manguste. Si crede che lo lusinghi la confidenza a proposito di una vipera che se la dondola sotto la tavola, tra le gambe. Gli si dà il cuore, ch'è un giardino selvatico, a lui che ama solo i parchi ravviati. E l'imbecille s porta via la principessa, in schiavitù.

sabato 21 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 33 - il vero lusso




La grandezza d'un mestiere sta forse, in primo luogo, nel vincolo che esso crea fra gli uomini: un solo lusso vero esiste, ed è quello dei rapporti umani.
Lavorando unicamente per  i beni materiali ci costruiamo da soli la nostra prigione. Ci rinchiudiamo, solitari, con la nostra moneta di cenere che non procura nulla di ciò che vale la pena d'essere vissuto.

domenica 8 marzo 2020

manie






tra le varie manie di cui come tutti sono afflitta, tipo buttare l'ultimo goccio di tè o caffè perché odio le bricioline dei biscotti spappolati, o tenere aperte duemila schede del browser perché  poi ci torno, mi potrebbe servire, devo scrivere una mail, e qua, e là, fino a quando non mi tocca spegnere il computer perché si è incriccato tutto e devo ripartire da zero, e in realtà non succede niente di grave, ho scoperto che ho anche sta mania qua: la clinomania.
non è che mi piaccia dormire. a me piace proprio stare a letto, ad ascoltare la musica o la radio, leggere, guardare le notizie o le chat, anche lavorare al computer. 
adesso ho scoperto che è una malattia, quindi che ci volete fare, è una malattia.

sabato 7 marzo 2020

SCRITTURE 2 - RESTARE

Risultato immagini per stay


E anche stasera ho perso 120mila euro, disse sorridendo mentre mescolava il risotto.
Le piaceva guardare il gioco a premi preserale, perché era un gioco di parole, e lei, con le parole, era brava.
Trovare la parola che lega, per libere associazioni, altre cinque.
Sasso, piedi, senza, fuori, male.
Facile, stavolta. La sua tecnica era prendere le due parole più lontane e stabilire un nesso tra quelle. Nella maggior parte dei casi funzionava, era quella la parola giusta.
E Stavolta era 'restare'.
Era la parola della sua vita.
Andava sempre via per ultima, alle feste.
E’ che non sopportava che le cose finissero.
Al corso di storia del cinema c’era la monografia su Truffaut, il prof era un coglione ma le era grata per sempre per averle fatto vedere quei film, e averle fatto conoscere lui, Truffaut, che non sempre è così, o forse è sempre così, i grandi sono grandi, un genio è un genio, e la bontà, come aveva detto Truffaut, forse è il segreto del genio, e forse era vero, aveva pensato lei, perché cazzo vuoi che gliene freghi, al genio, di essere cattivo, il genio è preso dalla sua genialità, comunque era solo per ricordarsi della frase che Truffaut fa dire al suo attore feticcio Jean Pierre Leaud: non mi piacciono (o non sopporto?) le cose che finiscono. Come i film.
Lei, uguale. Non finiva mai niente. L’università, per esempio.
Più che altro, non voleva essere lei, la causa della fine.
Aspettare, quella era la sua specialità.
Quando andava in vacanza, una stanza qualsiasi, vuota, coi soliti quadri assurdi che mettono nelle stanze d’albergo, quella diventava da subito la sua casa. Raramente le capitava di tornare nello stesso posto, che bello sarebbe stato avere una casa per le vacanze. Non li capiva, quelli che dovevano cambiare per forza. Le faceva fatica. Si ricreava ovunque, da subito, il suo piccolo mondo. E ogni volta che doveva fare le valigie era come se il mondo finisse.
Si immaginava la sua vita intera in quel posto lì, perché era il suo modo di sopravvivere: doveva capire qual era il suo posto. Era per superare la sensazione di essere sempre dall’altra parte.
Di non essere mai, davvero, al suo posto.
Così restava. Restava fino alla fine, quando bisogna pulire. Quando la spiaggia si svuota.
Quando vanno via tutti, e restano gli avanzi.
Tornava a casa col suo cartoccetto, due fette di torta, i tramezzini.
Il pane non mangiato.
La sciarpa abbandonata.
L'ombrellone rotto sulla sabbia, tra le canne.
Il campo del campeggio con gli stampi marroni delle tende.   
Quell’infinita malinconia delle cose che ci sopravvivono.
I fiori marci il giorno dopo del funerale.
Non riusciva ad andare avanti.
Cioè sì, ma per inerzia.
Cominciare, quello le piaceva. Finire, no.
Forse è per quello che non riusciva a lasciarlo.
Leggeva libri di autoconsapevolezza, autostima, autotutto. Nell’ultimo aveva letto un esercizio, cosa ti rende felice, quand’è stata l’ultima volta che sei stata felice, come vedi la tua vita, come ti vedi fra una settimana, e fra un anno?
L’aveva chiuso.
Non ci voleva pensare. La sua vita, le sue emozioni.  Felicità, che parola.
La vita che sognava forse era silenzio, un bosco in montagna, il camino, la neve, la pioggia, anche, perché sì, in montagna anche l’odiata pioggia le piaceva. L’odore del legno di pino, e i pini bagnati, quell’odore di muschio e di foglie secche che stanno diventando terra.
Sei come quest’ombrello rosso, le aveva scritto un’amica nel biglietto allegato al regalo. Stai lì, aspetti che venga il tuo momento di essere aperto e usato. Eh, spero di essere meglio, aveva pensato lei, che dopo due volte aveva dovuto pregare qualcuno che glielo sistemasse, perché non voleva buttarlo via.
Restare, restare.
Restare calma, impossibile. Ferma, quello sì, le veniva facile. Soprattutto se aveva un libro in mano, o una tv piena di serie americane.
Anche incinta, le veniva bene. Aveva partorito tre volte in 24 mesi.
Ma soprattutto, lei ci restava male.
Non poteva farci niente.
Ci restava male per cose stupide, per una parola, anche.
E restava impassibile, come una stronza, come una scema.
O restava a casa, a riempire lavastoviglie e stirare, a girare risotti, a perdere migliaia di euro davanti alla tv.

mercoledì 4 marzo 2020

MASSA BON... (troppo buono...) - UN ALTRO PIPPONE CATTOLICO



da un po' di tempo, qualche anno, ormai, io mi sento molto a disagio, nella chiesa cattolica. non che non sia un bene, eh, fa benissimo sentirsi a disagio, a me, almeno, che poi, a disagio, mi ci sento sempre un po' dappertutto, sei l'unica, mi dicono i miei figli, quando gli dico di fare o non fare delle cose, o come la penso un po' su tutto. sono abituata da tanto tempo, a trovarmi  in mezzo a svariate situazioni in cui mi pare, e in genere è effettivamente così, di essere l'unica. come quella volta alle elementari, che  a scuola imparavamo bella ciao e tutte quelle belle storie sui partigiani e io non dicevo niente, solo alla mia amica paola avevo detto che mio nonno l'avevano ammazzzato i partigiani, e lei mi ha detto che sicuramente mi sbagliavo, perché i partigiani sono quelli buoni.
no, non è essere l'unica, che mi dà fastidio.  e non è neanche che ci provi gusto: le manie di originalità le ho perse da un bel po'.
ma adesso, da un po' di tempo, il disagio è diverso.
mi sento dentro a un brutto film, un film incubo, non horror, un film di quelli che ti destabilizzano, in cui niente è quello che sembra, che non vedi l'ora di svegliarti ma non puoi.
è un film in cui non capisci perché fino a ieri eri sì l'unica, ma sentivi tutto sommato che, nonostante tutto, la fatica, gli sbagli, le disperazioni, sentivi che andavi bene per quella strada lì. da quella parte lì. adesso, non so come dire, adesso ti dicono che no, non va più bene, così, ma non a tutti gli altri, che a quello ci ero abituata, no. ti dicono che non vai più bene al padreterno. e te lo dicono uomini e donne di chiesa, unitissimi, inspiegabilmente, a quelli che, del padreterno, non gliene potrebbe fregare di meno. il vangelo dice così, mica cosà! eh, sempre in chiesa, ma dopo... molto meglio quelli che non vanno in chiesa, ma poi si comportano da veri  cristiani! e basta, con tutti sti divieti, ste fisse, ma l'amore dove lo metti? e la misericordia??? e chi sei tu, come ti permetti di dire che una cosa è giusta o sbagliata??
eccoli lì. io non mi devo permettere.
gli dà fastidio, che uno gli dica: guarda che questo è sbagliato.
non c'è più niente di sbagliato. non ci sono più i peccati, ci sono le fragilità. non parliamo dei castighi, che il povero padre Livio di radioMaria è stato costretto a una penosissima rettifica perché gli è sfuggita sta parola, castigo di Dio, manco fosse na bestemmia, lo diciamo tutti i giorni nella preghiera delle lodi e dei vespri, ma in pubblico, così, alla radio, addirittura, eddai padre Livio, Dio non castiga, Dio è buono, è misericordioso!! che qualcuno non si spaventi, non si senta giudicato, per carità, che delle volte non si ravveda, e cambi strada!!!
come ci permettiamo noi, luridi porci cattolici, con tutti quei preti pedofili solo perché non gli procuriamo delle mogli per sfogarsi (no, ma voglio dire, possibile che non ci si renda conto dell'infima considerazione della donna che è sottesa a questa idea del matrimonio dei preti?), noi, gli ipocriti per eccellenza, che ti devi guardare da tre cose, ha detto in dialetto un padre alla riunione dei genitori dei bambini delle prima comunione, dal culo dei mussi (muli), dai denti del can e da chi che tien el rosario in man! come ci permettiamo, noi, di dire agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato???
mi sento dentro alla parabola del figliol prodigo, solo che no, non sono io, la figliola prodiga, io sono la sorella fedele, ma la storia, qua, è un po' diversa.
mio fratello, il prodigo,  non si è pentito, è solo tornato a chiedere altri soldi, e siccome mio padre è troppo buono, e non è un pozzo senza fondo, e quello chiede, chiede, chiede, il padre cede e gli dà anche la mia parte. ora, io non ho niente in contrario che gli abbia dato la sua parte, certo non è una cosa comune, che un padre accetti di buon grado che un figlio voglia i suoi soldi ancor prima che muoia, ma se sta bene a lui, sta bene anche a me. lo capisco. ma che, per amore di uno, ci rimetta l'altro, no, questo no. questo io da genitore non lo accetto.
infatti, il padre della parabola di Gesù non si mette a correre dietro al figlio. non lo implora di restare, non lo insegue. rispetta fino in fondo la libertà del figlio, ma resta e lo aspetta là dov'è la sua casa.
quello che mi mette a disagio, molto a disagio, nella nuova chiesa, perchè la chiamano tutti così, la chiesa di Francesco, è che sto padre di cui tutti parlano, è solo buono, e un padre solo buono finisce con l'essere ingiusto.
c'è un detto veneto che recita: massa bon? cojon! e io, un padre cojon non lo voglio. non mi serve, ma a chi è che serve???? ma chi è che lo vorrebbe, scusate, un padre coglione?
il padre ti mantiene, va a lavorare per farti crescere, come diceva mia nonna, al cald, al net, al sut.
il padre ti guida. il padre cerca di tenerti lontano dai guai. il padre ti mette dei limiti. il padre vuole il meglio per te e agisce di conseguenza, che tu lo capisca o no. il padre ti insegna ad osare, ti tiene la bici e poi toglie le  rotelle. ti prende in braccio se cadi, ma non prima. questa è l'essenza del padre. per le coccole, c'è la mamma.
io non lo so tutti quelli che adorano papa francesco, ma io ho bisogno di giustizia, ho sete di giustizia, io non potrei vivere se sapessi che, se non in questo mondo, almeno nell'altro, ci sarà una giustizia, alfine.
non c'entra niente con la vendetta, non mi interessa niente la vendetta, male più grande del male, io parlo della sconfitta del male, della fine del male, parlo del regno di Dio, dove solo l'amore ha posto...  il sommo bene è anche sommamente giusto, giusto della giustizia vera, la giustizia dell'amore.
il padre è l'amore giusto, ecco cos'è.
quello che mi mette così a disagio è che io, di un padre  che dice sempre di sì, che gli va ben tutto, che giustifica sempre tutto e tutti perché lui è buono, non può fare altro, io di questo padre qua che piace tanto ai progressisti, ai liberal, agli atei, neanche tanto devoti, come a tanti cattolici che solo per il fatto che sono stati battezzati sembra che debbano scontare chissà quale pena, io, di questo padre qua, sinceramente, non so proprio cosa farmene.
e mi pare che sono l'unica.


martedì 3 marzo 2020

dove finisce la paura - un post di qualche anno fa



comincia così il titolo dell'articolo di stamattina (31 maggio 2016) su repubblica della filosofa e deputata pd michela marzano sul fatto atroce del rogo in cui è stata arsa viva sara di pietrantonio.
nessuno si è fermato.
del resto, scrive la marzano, io cosa avrei fatto?
certo, il fatto ci lascia tutti indignati, ma l'indignazione passa, e lascia il tempo che trova.
cita calvino e hannah arendt.
c'è una dose di auto-giustificazione, in questo articolo, che non mi piace.
la paura ci fa tirare dritto, ci protegge, dice marzano.
poi però dice che l'indifferenza, anche quando motivata dalla paura, resta comunque la miglior alleata della violenza e della sofferenza, un'indifferenza a cui dovremmo opporci 'attraverso la cultura, la forza della ragion critica, la compassione e il coraggio'.
sara di pietrantonio, fonte Ansa
 ma in base a cosa, cara michela?
qualcosa lo potremmo fare tutti, dici: 'osservare, ascoltare, fermarsi'.
ma le hai viste, le foto di quella ragazza lì? le vedi, le osservi, tu, la facce delle ragazze e dei ragazzi che girano per le strade?
cosa gli diamo, noi, che prospettiva gli diamo?
il problema è che ognuno pensa, sì, ma prima a se stesso. fin da bambini, li abituiamo così. io li vedo a scuola, ogni giorno.
è che gli diciamo che hanno dei diritti. non dei doveri, degli obblighi, verso gli altri. l'obbligo di rispettare gli altri, prima e sopra di tutto.
pensare solo ai diritti. negare, come gli uomini del 1789, come li chiama simone weil, che esiste 'un campo che è al di sopra di questo mondo' e che è il campo 'dell'eterno, dell'universale, dell'incondizionato'.
I rivoluzionari francesi invece 'riconoscevano solo (il campo) delle cose umane. per questo hanno cominciato con la nozione di diritto'
'ma i diritti appaiono sempre legati a date condizioni. solo l'obbligo può essere incondizionato'.
Gli obblighi di cui parla Simone
'derivano tutti, senza eccezione, dai bisogni vitali dell'essere umano (...) e hanno tutti per loro oggetto cose che in rapporto all'uomo hanno una funzione analoga a quella del nutrimento', che è da intendersi sia del corpo sia, com'è da aspettarsi, dell'anima'.
queste considerazioni di carattere generale, fondante, aprono il testo di simone weil 'la prima radice' che è poi un testo di analisi e filosofia politica. non c'entra praticamente niente con sara e la sua orribile morte. ma a me è venuto in mente perché questo gesto davanti al quale come dice la marzano ci siamo tutti coperti gli occhi è la punta estrema della reificazione, della riduzione a oggetto, dell'altro, anzi: dell'altra.

come dice san giovanni paolo II nel testo del 1960 che sto rileggendo in questi giorni, 'amore e responsabilità', parlando di una cosa che mi rendo conto che a molte persone ingeneri un immediato quanto istintivo sorrisetto di compatimento, ovvero il significato cristiano del matrimonio,
la parola latina «matrimonium» mette l'accento sullo «stato di madre» come se volesse sottolineare la responsabilità della maternità, che pesa sulla donna che vive coniugalmente con un uomo. La sua analisi ci aiuta a vedere meglio che i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio mettono ipso facto la persona nella situazione di oggetto di godimento. Quale delle due è quest'oggetto? Non è escluso che possa esserlo l'uomo, ma la donna lo è sempre.
Si può faciilmente arrivare a questa conclusione (per via di contrasto) analizzando la parola matrimonium (dal latino «matris-munia», «doveri della madre»). 

é la riduzione della persona a oggetto, a cosa, la sua spersonalizzazione, la sua riduzione a oggetto o a individuo di una specie, che porta poi alle conseguenze dell'utilizzo dell'altro come mezzo per soddisfare i miei impulsi, che riduce l'altro a strumento per raggiungere il piacere, per soddisfare la brama di possesso, per autoaffermarmi.
sara esisteva in quanto serviva a quel disgraziato a affermare che lui era, in quanto aveva.
sono cose vecchie come il cucco che però sembrano annullarsi quando ci troviamo davanti a casi eclatanti.
e allora parte la solita manfrina: ci vuole l'educazione all'affettività, alla sessualità, al rispetto dei diritti di ogni genere, e, come ho sentito anche stamattina alla radio, la colpa è tutta della chiesa cattolica che impedisce che si faccia una sana educazione sessuale!
massì, continuate pure a cantarvi ste canzoncine qua.
io preferisco Simone





venerdì 28 febbraio 2020

donne, preti, matrimonio: un pippone cattolico (spoilero prima così se non t'interessa non leggi)





il dibattito dentro e fuori la chiesa cattolica degli ultimi tempi mi sta creando grande disagio. perché io, in genere, mi sento sempre da un'altra parte. una parte che, di solito, è la mia, e basta.
anche sul matrimonio dei preti.
la cosa che, lo dico, mi disgusta, in tutta sta faccenda è l'idea di donna che ne viene fuori. o meglio, che sta sotto. perché fuori, non viene proprio niente. la donna come un benefit.
perché si parla di matrimonio dei preti come fosse un diritto negato.
faccio una premessa, che a me sembra quasi ovvia, ma di ovvio, io lo so bene, non c'è niente. una premessa su chi è il sacerdote.
il sacerdote, il consacrato. il sacerdote è, nelle varie religioni, colui che offre sacrifici.
per noi cattolici, il sacrificio offerto dal sacerdote è Cristo stesso, offerto come sacrificio sommo e gradito a Dio Padre per la salvezza dell'umanità. la celebrazione della santa messa.
il sacerdote non è un catechista. non è un assistente sociale. non è un consolatore. non è un missionario. cioè, è ANCHE tutto questo, o anche no. ma la sua vocazione precipua, quello per cui è sacerdote, è celebrare la santa messa e amministrare gli altri sacramenti, in particolare assolvere i peccati.
adesso invece, vista anche la penuria di preti, la messa è diventato un impegno tra tanti.
ricordo una discussione col giovane cappellano fresco di seminario appena arrivato in parrocchia, convinto, evidentemente da qualcuno più esperto di lui, che saremmo in breve arrivati alle messe senza prete, nelle parrocchie un po' isolate, con molti anziani. Si fa una lettura, un ministro straordinario che distribuisce le ostie precedentemente consacrate, ci diamo una bella benedizione e via a casa contenti.
c'è una figura biblica potentissima, al riguardo dei sacerdoti, che mi si para davanti in tutta la sua enorme forza: Mosè che prega con le mani alzate, e quando per la stanchezza le mani gli cadono lungo i fianchi, sono i suoi fratelli a tenergliele alzate. non si possono mettere al posto suo. gli tengono su le braccia, perché quando gli cadono le braccia, l'aiuto del Signore viene meno. le cose si mettono male, per gli ebrei.
il sacerdote è figura di Cristo inchiodato alla croce con le braccia aperte.
ora, chi si fa prete diventa questo. non è solo l'offerta della propria vita a Dio, come fanno i consacrati uomini e donne. è scegliere il servizio del tempio. è scegliere di offrire il sacrificio gradito a Dio, e cercare di esserne degni, per la salvezza del mondo.
il nocciolo è questo: devi credere che il Signore chiami te, povero cristiano, per salvare il mondo attraverso i sacramenti.
E poi vado alla riunione in parrocchia e il mio parroco dice che il nostro problema, della nostra parrocchia, sono i sacramenti. sì, quelli che per me sono il dono della Chiesa per la salvezza del mondo. siamo sempre lì a pensare ai sacramenti e basta. te credo, gli ho detto, ci avete costretto a questa pagliacciata della prima comunione in prima media, ma del resto, io lo so, vorrebbero il battesimo a diciott'anni, a loro piace avere a che fare con gli adulti, i bambini non capiscono niente, non possono capire l'eucarestia, come se loro l'avessero capito, ma chi lo capisce, un mistero così grande??? forse invece solo i bambini lo possono capire!!!! i bambini piccoli, che, come ha detto Gesù, vogliono andargli vicino. e che dovrebbero essere il nostro esempio di sequela.
dall'altra parte ci sono i tradizionalisti, per cui il problema della chiesa è che è troppo femminilizzata.
uno, un vescovo, aveva anche proposto dei rosari da battaglia, fatti di palle di ferro, da veri uomini!!!
le nostre chiese piacciono solo alle vecchie catechiste! e basta co ste chierichette! basta co ste beghine!!!! gli uomini, in chiesa, sono a disagio!!! evvai coi rigurgiti di machismo kattoliko. all'ultima cena le donne non c'erano mica, manco la Madonna! che non so se lo sanno, questi, com'è la cena ebraica della Pasqua. Quando ci sono ste discussioni qua, dico sempre: ma chi è che l'ha cucinata, l'ultima cena? san Pietro???? eh ma la Madonna stava in un'altra stanza, gliel’ha detto non so che santa che ha avuto un'apparizione.
a uno di costoro che sostengono che la chiesa è troppo femminilizzata, che poi vogliono dire effemminata, ho risposto: ma avete presente Gesù? quello mite e umile di cuore? quello che difende l'adultera, la prostituta che gli rompe la boccetta di profumo sui piedi, quello che parla con le donne, anche quelle che, oltre a essere donne, sono puttane, o adultere, o miscredenti, o tutte e tre, come la samaritana, che va a casa di Marta e Maria e si intrattiene con loro (del fratello Lazzaro non si parla neanche)... ma di cosa state parlando??????? mi ha detto che sono troppo orgogliosa, di pentirmi.
comunque, tornando al matrimonio dei preti, l'opinione più diffusa è che ovvio che ci sono pochi preti, non possono sposarsi!
eccerto. come se il matrimonio fosse il sesso. o, nel migliore dei casi, un antidoto alla solitudine.
uno sarebbe anche disposto a fare il servizio sacerdotale, ma solo se in cambio può godere dei piaceri del sesso, o almeno avere una donna (beh, si presume, almeno...) al fianco.
è abbastanza ovvio che chi pensa che il matrimonio sia la soluzione ai bollenti spiriti maschili, non abbia la benché minima idea di cosa significhi non dico il il Santo Sacramento del Matrimonio, come lo chiama Foster Wallace (vedi qui) il ma il matrimonio in generale, un uomo e una donna che decidono di mettersi insieme e fare una famiglia.
mettiamo che il parroco abbia un figlio handicappato. o mettiamo due, come una mia carissima amica.  mettiamo che la moglie del parroco lo molli. o mettiamo che il parroco non sopporti più la moglie. o si rompa le balle dei problemi dei figli. dico le prime due tre cose che mi vengono in mente. cose di vita quotidiana... di persone normali, partite con buonissime intenzioni.
ma ste robe qua, i vescovi che fanno i sinodi, non le sanno???? o pensano che siccome sono preti, oltre che uomini, per loro sti problemi qua non ci saranno????

mercoledì 5 febbraio 2020

gelosia





vado a un corso di inglese e ieri dovevamo fare conversation su vari argomenti.
di solito si fa a coppia, ma noi eravamo in tre, e ci capita sta domanda: quali potrebbero essere i problemi in queste relazioni? fratelli, genitori e figli adolescenti, compagni di appartamento, rapporti di coppia.
parte  l'altra donna del trio: sicuramente il primo problema potrebbe essere la gelosia. l'uomo del trio conferma. io li guardo allibita.
dico che io, questo problema, non lo capisco proprio, forse perché non mi appartiene. (beh, magari fossi riuscita a dirlo così). per loro, invece, è una cosa normale.
poi sento che una donna che aveva la mia età è stata ammazzata di botte perché lui, il massacratore, era ossessionato dall'idea che avesse un altro.
e stamattina, alla radio, telefona una prof del liceo che racconta allarmatissima di come le sue giovani allieve, tra i sedici e i diciott'anni, ritengono la gelosia espressione d'amore. sì, mi controlla il telefonino, ma  perché è geloso, perché mi ama. mi ha dato uno schiaffo, è vero, ma aveva ragione: ho messo la minigonna e lui non c'era.
il valore non è la fedeltà, no: è la gelosia.
tanto che una, ho sentito in un'altra trasmissione, si è incazzata perché dopo che il suo ragazzo, per festeggiare un anno insieme, l'ha portata fuori a cena organizzando una serata speciale, non ha messo la foto su instagram. ergo, gli ha detto lei, non mi ami.
la gelosia io non l'ho mai capita. capisco l'amore folle, totale, l'amore per cui ti umili, per cui strisci, urli, piangi, per cui non te ne frega niente di quello che possono pensare gli altri, l'amore che, non corrisposto, ti toglie il fiato e a volte anche la vita. che non si muore per amore, cantava lucio, è una gran bella verità. ma fa così male che, a volte, resti morto a metà.
è una cosa che ti porta a uscire completamente da te stesso. ti fa fare cose assurde, pazzesche. 
quando sei così innamorato di una persona, non ti pesa niente tranne l'assenza dell'amato.
forse certi santi erano innamorati così di Dio.
ma la gelosia, la gelosia è possesso, e controllo. è potere. 
ma come si fa a pensare che questo sia amore?
la gelosia, a me, mi offende.
mi infastidiscono, le battutine pseudo gelose di mio marito. ma per chi mi hai preso, scusa? ma che considerazione hai, di me? e di te? 
e dei sentimenti?
ma sti teste di c. che ammazzano una donna perché così almeno non è di nessun altro, ma che abisso di miseria hanno, nel cuore? che orribile vuoto si portano, dentro, da non avere niente da dare, da esistere solo per quello che possono stringere tra le mani? come può, mi chiedo, bastarti possedere un corpo, o financo un'anima morta?
mi sovviene come un lampo la parola di Dio: Io, il tuo dio, sono un dio geloso.
ma cos'è la gelosia di un dio fedele? 
come se io fossi gelosa di mio figlio.
mio figlio, i miei figli, hanno i miei geni. i miei figli vivono dentro di me e io dentro di loro. niente e nessuno li strapperà dal mio cuore. la gelosia di dio come quella di una madre è desiderio di protezione, cura, premura. vita per l'altro. nell'altro.
ma cosa ne sanno, questi, di sta roba qua???