E anche stasera ho perso 120mila
euro, disse sorridendo mentre mescolava il risotto.
Le piaceva guardare il gioco a
premi preserale, perché era un gioco di parole, e lei, con le parole, era
brava.
Trovare la parola che lega, per
libere associazioni, altre cinque.
Sasso, piedi, senza, fuori, male.
Facile, stavolta. La sua tecnica
era prendere le due parole più lontane e stabilire un nesso tra quelle. Nella
maggior parte dei casi funzionava, era quella la parola giusta.
E Stavolta era 'restare'.
Era la parola della sua vita.
Andava sempre via per ultima,
alle feste.
E’ che non sopportava che le cose
finissero.
Al corso di storia del cinema
c’era la monografia su Truffaut, il prof era un coglione ma le era grata per
sempre per averle fatto vedere quei film, e averle fatto conoscere lui, Truffaut,
che non sempre è così, o forse è sempre così, i grandi sono grandi, un genio è
un genio, e la bontà, come aveva detto Truffaut, forse è il segreto del genio,
e forse era vero, aveva pensato lei, perché cazzo vuoi che gliene freghi, al
genio, di essere cattivo, il genio è preso dalla sua genialità, comunque era
solo per ricordarsi della frase che Truffaut fa dire al suo attore feticcio
Jean Pierre Leaud: non mi piacciono (o non sopporto?) le cose che finiscono.
Come i film.
Lei, uguale. Non finiva mai niente.
L’università, per esempio.
Più che altro, non voleva essere
lei, la causa della fine.
Aspettare, quella era la sua
specialità.
Quando andava in vacanza, una
stanza qualsiasi, vuota, coi soliti quadri assurdi che mettono nelle stanze
d’albergo, quella diventava da subito la sua casa. Raramente le capitava di tornare nello
stesso posto, che bello sarebbe stato avere una casa per le vacanze. Non li
capiva, quelli che dovevano cambiare per forza. Le faceva fatica. Si ricreava
ovunque, da subito, il suo piccolo mondo. E ogni volta che doveva fare le
valigie era come se il mondo finisse.
Si immaginava la sua vita intera
in quel posto lì, perché era il suo modo di sopravvivere: doveva capire qual
era il suo posto. Era per superare la sensazione di essere sempre dall’altra
parte.
Di non essere mai, davvero, al
suo posto.
Così restava. Restava fino alla fine,
quando bisogna pulire. Quando la spiaggia si svuota.
Quando vanno via tutti, e restano
gli avanzi.
Tornava a casa col suo
cartoccetto, due fette di torta, i tramezzini.
Il pane non mangiato.
La sciarpa abbandonata.
L'ombrellone rotto sulla sabbia, tra le canne.
Il campo del campeggio con gli
stampi marroni delle tende.
Quell’infinita malinconia delle cose che ci sopravvivono.
I fiori marci il giorno dopo del
funerale.
Non riusciva ad andare avanti.
Cioè sì, ma per inerzia.
Cominciare, quello le piaceva.
Finire, no.
Forse è per quello che non riusciva
a lasciarlo.
Leggeva libri di
autoconsapevolezza, autostima, autotutto. Nell’ultimo aveva letto un esercizio,
cosa ti rende felice, quand’è stata l’ultima volta che sei stata felice, come
vedi la tua vita, come ti vedi fra una settimana, e fra un anno?
L’aveva chiuso.
Non ci voleva pensare. La sua
vita, le sue emozioni. Felicità, che
parola.
La vita che sognava forse era
silenzio, un bosco in montagna, il camino, la neve, la pioggia, anche, perché
sì, in montagna anche l’odiata pioggia le piaceva. L’odore del legno di pino, e
i pini bagnati, quell’odore di muschio e di foglie secche che stanno diventando
terra.
Sei come quest’ombrello rosso, le
aveva scritto un’amica nel biglietto allegato al regalo. Stai lì, aspetti che
venga il tuo momento di essere aperto e usato. Eh, spero di essere meglio,
aveva pensato lei, che dopo due volte aveva dovuto pregare qualcuno che glielo
sistemasse, perché non voleva buttarlo via.
Restare, restare.
Restare calma, impossibile.
Ferma, quello sì, le veniva facile. Soprattutto se aveva un libro in mano, o
una tv piena di serie americane.
Anche incinta, le veniva bene.
Aveva partorito tre volte in 24 mesi.
Ma soprattutto, lei ci restava
male.
Non poteva farci niente.
Ci restava male per cose stupide,
per una parola, anche.
E restava impassibile, come una
stronza, come una scema.
O restava a casa, a riempire
lavastoviglie e stirare, a girare risotti, a perdere migliaia di euro davanti
alla tv.
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