martedì 31 marzo 2020

la vita, la morte, un prete



Il 2 ottobre 1968 a Città del Messico, l’esercito spara con le mitragliatrici su una manifestazione studentesca. I morti sono oltre cento, passerà alla storia come il massacro di Tlatelolco. 
Oriana Fallaci, arrivata dal Vietnam in Messico alla vigilia delle Olimpiadi, si trovava sulla terrazza di un grattacielo sovrastante la piazza per controllare al meglio le azioni fra manifestanti e forze dell’ordine. Da un elicottero piombarono su lei e gli altri giornalisti dei militari, parte in divisa parte in borghese, sparando all'impazzata. 

Ferita gravemente, fu creduta morta e portata in obitorio, dove un prete si rese conto che era ancora viva. 

La giornalista riportò tre ferite d’arma da fuoco ma si offrì di testimoniare quanto accaduto direttamente dal suo letto d’ospedale.


QUI il servizio dalle teche Rai

domenica 22 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 34 - un dieci


 Che cosa sono diventate, le due fate? Sicuramente, si saranno sposate. E' un atto così grave, quello di passare dalla condizione di fanciulla  quella di donna. Che cosa fanno, in una casa nuova? Che ne è stato, dei loro rapporti con le erbe elvatiche e con i serpenti? Erano coinvolte in qualcosa di universale.

Ma viene il giorno in cui nella fanciulla si sveglia la donna. Si sogna di assegnare, finalmente, un ≪dieci≫. C'è un ≪dieci≫ che pesa in fondo al cuore. Allora si presenta un imbecille. Per la prima volta quegli occhi così acuti s'ingannano, e lo illuminano di seducenti colori. Se quell'imbecille dice dei versi, lo si crede poeta. Si crede che egli capisca i pavimenti rotti, che ami le manguste. Si crede che lo lusinghi la confidenza a proposito di una vipera che se la dondola sotto la tavola, tra le gambe. Gli si dà il cuore, ch'è un giardino selvatico, a lui che ama solo i parchi ravviati. E l'imbecille s porta via la principessa, in schiavitù.

sabato 21 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 33 - il vero lusso




La grandezza d'un mestiere sta forse, in primo luogo, nel vincolo che esso crea fra gli uomini: un solo lusso vero esiste, ed è quello dei rapporti umani.
Lavorando unicamente per  i beni materiali ci costruiamo da soli la nostra prigione. Ci rinchiudiamo, solitari, con la nostra moneta di cenere che non procura nulla di ciò che vale la pena d'essere vissuto.

domenica 8 marzo 2020

manie






tra le varie manie di cui come tutti sono afflitta, tipo buttare l'ultimo goccio di tè o caffè perché odio le bricioline dei biscotti spappolati, o tenere aperte duemila schede del browser perché  poi ci torno, mi potrebbe servire, devo scrivere una mail, e qua, e là, fino a quando non mi tocca spegnere il computer perché si è incriccato tutto e devo ripartire da zero, e in realtà non succede niente di grave, ho scoperto che ho anche sta mania qua: la clinomania.
non è che mi piaccia dormire. a me piace proprio stare a letto, ad ascoltare la musica o la radio, leggere, guardare le notizie o le chat, anche lavorare al computer. 
adesso ho scoperto che è una malattia, quindi che ci volete fare, è una malattia.

sabato 7 marzo 2020

SCRITTURE 2 - RESTARE

Risultato immagini per stay


E anche stasera ho perso 120mila euro, disse sorridendo mentre mescolava il risotto.
Le piaceva guardare il gioco a premi preserale, perché era un gioco di parole, e lei, con le parole, era brava.
Trovare la parola che lega, per libere associazioni, altre cinque.
Sasso, piedi, senza, fuori, male.
Facile, stavolta. La sua tecnica era prendere le due parole più lontane e stabilire un nesso tra quelle. Nella maggior parte dei casi funzionava, era quella la parola giusta.
E Stavolta era 'restare'.
Era la parola della sua vita.
Andava sempre via per ultima, alle feste.
E’ che non sopportava che le cose finissero.
Al corso di storia del cinema c’era la monografia su Truffaut, il prof era un coglione ma le era grata per sempre per averle fatto vedere quei film, e averle fatto conoscere lui, Truffaut, che non sempre è così, o forse è sempre così, i grandi sono grandi, un genio è un genio, e la bontà, come aveva detto Truffaut, forse è il segreto del genio, e forse era vero, aveva pensato lei, perché cazzo vuoi che gliene freghi, al genio, di essere cattivo, il genio è preso dalla sua genialità, comunque era solo per ricordarsi della frase che Truffaut fa dire al suo attore feticcio Jean Pierre Leaud: non mi piacciono (o non sopporto?) le cose che finiscono. Come i film.
Lei, uguale. Non finiva mai niente. L’università, per esempio.
Più che altro, non voleva essere lei, la causa della fine.
Aspettare, quella era la sua specialità.
Quando andava in vacanza, una stanza qualsiasi, vuota, coi soliti quadri assurdi che mettono nelle stanze d’albergo, quella diventava da subito la sua casa. Raramente le capitava di tornare nello stesso posto, che bello sarebbe stato avere una casa per le vacanze. Non li capiva, quelli che dovevano cambiare per forza. Le faceva fatica. Si ricreava ovunque, da subito, il suo piccolo mondo. E ogni volta che doveva fare le valigie era come se il mondo finisse.
Si immaginava la sua vita intera in quel posto lì, perché era il suo modo di sopravvivere: doveva capire qual era il suo posto. Era per superare la sensazione di essere sempre dall’altra parte.
Di non essere mai, davvero, al suo posto.
Così restava. Restava fino alla fine, quando bisogna pulire. Quando la spiaggia si svuota.
Quando vanno via tutti, e restano gli avanzi.
Tornava a casa col suo cartoccetto, due fette di torta, i tramezzini.
Il pane non mangiato.
La sciarpa abbandonata.
L'ombrellone rotto sulla sabbia, tra le canne.
Il campo del campeggio con gli stampi marroni delle tende.   
Quell’infinita malinconia delle cose che ci sopravvivono.
I fiori marci il giorno dopo del funerale.
Non riusciva ad andare avanti.
Cioè sì, ma per inerzia.
Cominciare, quello le piaceva. Finire, no.
Forse è per quello che non riusciva a lasciarlo.
Leggeva libri di autoconsapevolezza, autostima, autotutto. Nell’ultimo aveva letto un esercizio, cosa ti rende felice, quand’è stata l’ultima volta che sei stata felice, come vedi la tua vita, come ti vedi fra una settimana, e fra un anno?
L’aveva chiuso.
Non ci voleva pensare. La sua vita, le sue emozioni.  Felicità, che parola.
La vita che sognava forse era silenzio, un bosco in montagna, il camino, la neve, la pioggia, anche, perché sì, in montagna anche l’odiata pioggia le piaceva. L’odore del legno di pino, e i pini bagnati, quell’odore di muschio e di foglie secche che stanno diventando terra.
Sei come quest’ombrello rosso, le aveva scritto un’amica nel biglietto allegato al regalo. Stai lì, aspetti che venga il tuo momento di essere aperto e usato. Eh, spero di essere meglio, aveva pensato lei, che dopo due volte aveva dovuto pregare qualcuno che glielo sistemasse, perché non voleva buttarlo via.
Restare, restare.
Restare calma, impossibile. Ferma, quello sì, le veniva facile. Soprattutto se aveva un libro in mano, o una tv piena di serie americane.
Anche incinta, le veniva bene. Aveva partorito tre volte in 24 mesi.
Ma soprattutto, lei ci restava male.
Non poteva farci niente.
Ci restava male per cose stupide, per una parola, anche.
E restava impassibile, come una stronza, come una scema.
O restava a casa, a riempire lavastoviglie e stirare, a girare risotti, a perdere migliaia di euro davanti alla tv.

mercoledì 4 marzo 2020

MASSA BON... (troppo buono...) - UN ALTRO PIPPONE CATTOLICO



da un po' di tempo, qualche anno, ormai, io mi sento molto a disagio, nella chiesa cattolica. non che non sia un bene, eh, fa benissimo sentirsi a disagio, a me, almeno, che poi, a disagio, mi ci sento sempre un po' dappertutto, sei l'unica, mi dicono i miei figli, quando gli dico di fare o non fare delle cose, o come la penso un po' su tutto. sono abituata da tanto tempo, a trovarmi  in mezzo a svariate situazioni in cui mi pare, e in genere è effettivamente così, di essere l'unica. come quella volta alle elementari, che  a scuola imparavamo bella ciao e tutte quelle belle storie sui partigiani e io non dicevo niente, solo alla mia amica paola avevo detto che mio nonno l'avevano ammazzzato i partigiani, e lei mi ha detto che sicuramente mi sbagliavo, perché i partigiani sono quelli buoni.
no, non è essere l'unica, che mi dà fastidio.  e non è neanche che ci provi gusto: le manie di originalità le ho perse da un bel po'.
ma adesso, da un po' di tempo, il disagio è diverso.
mi sento dentro a un brutto film, un film incubo, non horror, un film di quelli che ti destabilizzano, in cui niente è quello che sembra, che non vedi l'ora di svegliarti ma non puoi.
è un film in cui non capisci perché fino a ieri eri sì l'unica, ma sentivi tutto sommato che, nonostante tutto, la fatica, gli sbagli, le disperazioni, sentivi che andavi bene per quella strada lì. da quella parte lì. adesso, non so come dire, adesso ti dicono che no, non va più bene, così, ma non a tutti gli altri, che a quello ci ero abituata, no. ti dicono che non vai più bene al padreterno. e te lo dicono uomini e donne di chiesa, unitissimi, inspiegabilmente, a quelli che, del padreterno, non gliene potrebbe fregare di meno. il vangelo dice così, mica cosà! eh, sempre in chiesa, ma dopo... molto meglio quelli che non vanno in chiesa, ma poi si comportano da veri  cristiani! e basta, con tutti sti divieti, ste fisse, ma l'amore dove lo metti? e la misericordia??? e chi sei tu, come ti permetti di dire che una cosa è giusta o sbagliata??
eccoli lì. io non mi devo permettere.
gli dà fastidio, che uno gli dica: guarda che questo è sbagliato.
non c'è più niente di sbagliato. non ci sono più i peccati, ci sono le fragilità. non parliamo dei castighi, che il povero padre Livio di radioMaria è stato costretto a una penosissima rettifica perché gli è sfuggita sta parola, castigo di Dio, manco fosse na bestemmia, lo diciamo tutti i giorni nella preghiera delle lodi e dei vespri, ma in pubblico, così, alla radio, addirittura, eddai padre Livio, Dio non castiga, Dio è buono, è misericordioso!! che qualcuno non si spaventi, non si senta giudicato, per carità, che delle volte non si ravveda, e cambi strada!!!
come ci permettiamo noi, luridi porci cattolici, con tutti quei preti pedofili solo perché non gli procuriamo delle mogli per sfogarsi (no, ma voglio dire, possibile che non ci si renda conto dell'infima considerazione della donna che è sottesa a questa idea del matrimonio dei preti?), noi, gli ipocriti per eccellenza, che ti devi guardare da tre cose, ha detto in dialetto un padre alla riunione dei genitori dei bambini delle prima comunione, dal culo dei mussi (muli), dai denti del can e da chi che tien el rosario in man! come ci permettiamo, noi, di dire agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato???
mi sento dentro alla parabola del figliol prodigo, solo che no, non sono io, la figliola prodiga, io sono la sorella fedele, ma la storia, qua, è un po' diversa.
mio fratello, il prodigo,  non si è pentito, è solo tornato a chiedere altri soldi, e siccome mio padre è troppo buono, e non è un pozzo senza fondo, e quello chiede, chiede, chiede, il padre cede e gli dà anche la mia parte. ora, io non ho niente in contrario che gli abbia dato la sua parte, certo non è una cosa comune, che un padre accetti di buon grado che un figlio voglia i suoi soldi ancor prima che muoia, ma se sta bene a lui, sta bene anche a me. lo capisco. ma che, per amore di uno, ci rimetta l'altro, no, questo no. questo io da genitore non lo accetto.
infatti, il padre della parabola di Gesù non si mette a correre dietro al figlio. non lo implora di restare, non lo insegue. rispetta fino in fondo la libertà del figlio, ma resta e lo aspetta là dov'è la sua casa.
quello che mi mette a disagio, molto a disagio, nella nuova chiesa, perchè la chiamano tutti così, la chiesa di Francesco, è che sto padre di cui tutti parlano, è solo buono, e un padre solo buono finisce con l'essere ingiusto.
c'è un detto veneto che recita: massa bon? cojon! e io, un padre cojon non lo voglio. non mi serve, ma a chi è che serve???? ma chi è che lo vorrebbe, scusate, un padre coglione?
il padre ti mantiene, va a lavorare per farti crescere, come diceva mia nonna, al cald, al net, al sut.
il padre ti guida. il padre cerca di tenerti lontano dai guai. il padre ti mette dei limiti. il padre vuole il meglio per te e agisce di conseguenza, che tu lo capisca o no. il padre ti insegna ad osare, ti tiene la bici e poi toglie le  rotelle. ti prende in braccio se cadi, ma non prima. questa è l'essenza del padre. per le coccole, c'è la mamma.
io non lo so tutti quelli che adorano papa francesco, ma io ho bisogno di giustizia, ho sete di giustizia, io non potrei vivere se sapessi che, se non in questo mondo, almeno nell'altro, ci sarà una giustizia, alfine.
non c'entra niente con la vendetta, non mi interessa niente la vendetta, male più grande del male, io parlo della sconfitta del male, della fine del male, parlo del regno di Dio, dove solo l'amore ha posto...  il sommo bene è anche sommamente giusto, giusto della giustizia vera, la giustizia dell'amore.
il padre è l'amore giusto, ecco cos'è.
quello che mi mette così a disagio è che io, di un padre  che dice sempre di sì, che gli va ben tutto, che giustifica sempre tutto e tutti perché lui è buono, non può fare altro, io di questo padre qua che piace tanto ai progressisti, ai liberal, agli atei, neanche tanto devoti, come a tanti cattolici che solo per il fatto che sono stati battezzati sembra che debbano scontare chissà quale pena, io, di questo padre qua, sinceramente, non so proprio cosa farmene.
e mi pare che sono l'unica.


martedì 3 marzo 2020

dove finisce la paura - un post di qualche anno fa



comincia così il titolo dell'articolo di stamattina (31 maggio 2016) su repubblica della filosofa e deputata pd michela marzano sul fatto atroce del rogo in cui è stata arsa viva sara di pietrantonio.
nessuno si è fermato.
del resto, scrive la marzano, io cosa avrei fatto?
certo, il fatto ci lascia tutti indignati, ma l'indignazione passa, e lascia il tempo che trova.
cita calvino e hannah arendt.
c'è una dose di auto-giustificazione, in questo articolo, che non mi piace.
la paura ci fa tirare dritto, ci protegge, dice marzano.
poi però dice che l'indifferenza, anche quando motivata dalla paura, resta comunque la miglior alleata della violenza e della sofferenza, un'indifferenza a cui dovremmo opporci 'attraverso la cultura, la forza della ragion critica, la compassione e il coraggio'.
sara di pietrantonio, fonte Ansa
 ma in base a cosa, cara michela?
qualcosa lo potremmo fare tutti, dici: 'osservare, ascoltare, fermarsi'.
ma le hai viste, le foto di quella ragazza lì? le vedi, le osservi, tu, la facce delle ragazze e dei ragazzi che girano per le strade?
cosa gli diamo, noi, che prospettiva gli diamo?
il problema è che ognuno pensa, sì, ma prima a se stesso. fin da bambini, li abituiamo così. io li vedo a scuola, ogni giorno.
è che gli diciamo che hanno dei diritti. non dei doveri, degli obblighi, verso gli altri. l'obbligo di rispettare gli altri, prima e sopra di tutto.
pensare solo ai diritti. negare, come gli uomini del 1789, come li chiama simone weil, che esiste 'un campo che è al di sopra di questo mondo' e che è il campo 'dell'eterno, dell'universale, dell'incondizionato'.
I rivoluzionari francesi invece 'riconoscevano solo (il campo) delle cose umane. per questo hanno cominciato con la nozione di diritto'
'ma i diritti appaiono sempre legati a date condizioni. solo l'obbligo può essere incondizionato'.
Gli obblighi di cui parla Simone
'derivano tutti, senza eccezione, dai bisogni vitali dell'essere umano (...) e hanno tutti per loro oggetto cose che in rapporto all'uomo hanno una funzione analoga a quella del nutrimento', che è da intendersi sia del corpo sia, com'è da aspettarsi, dell'anima'.
queste considerazioni di carattere generale, fondante, aprono il testo di simone weil 'la prima radice' che è poi un testo di analisi e filosofia politica. non c'entra praticamente niente con sara e la sua orribile morte. ma a me è venuto in mente perché questo gesto davanti al quale come dice la marzano ci siamo tutti coperti gli occhi è la punta estrema della reificazione, della riduzione a oggetto, dell'altro, anzi: dell'altra.

come dice san giovanni paolo II nel testo del 1960 che sto rileggendo in questi giorni, 'amore e responsabilità', parlando di una cosa che mi rendo conto che a molte persone ingeneri un immediato quanto istintivo sorrisetto di compatimento, ovvero il significato cristiano del matrimonio,
la parola latina «matrimonium» mette l'accento sullo «stato di madre» come se volesse sottolineare la responsabilità della maternità, che pesa sulla donna che vive coniugalmente con un uomo. La sua analisi ci aiuta a vedere meglio che i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio mettono ipso facto la persona nella situazione di oggetto di godimento. Quale delle due è quest'oggetto? Non è escluso che possa esserlo l'uomo, ma la donna lo è sempre.
Si può faciilmente arrivare a questa conclusione (per via di contrasto) analizzando la parola matrimonium (dal latino «matris-munia», «doveri della madre»). 

é la riduzione della persona a oggetto, a cosa, la sua spersonalizzazione, la sua riduzione a oggetto o a individuo di una specie, che porta poi alle conseguenze dell'utilizzo dell'altro come mezzo per soddisfare i miei impulsi, che riduce l'altro a strumento per raggiungere il piacere, per soddisfare la brama di possesso, per autoaffermarmi.
sara esisteva in quanto serviva a quel disgraziato a affermare che lui era, in quanto aveva.
sono cose vecchie come il cucco che però sembrano annullarsi quando ci troviamo davanti a casi eclatanti.
e allora parte la solita manfrina: ci vuole l'educazione all'affettività, alla sessualità, al rispetto dei diritti di ogni genere, e, come ho sentito anche stamattina alla radio, la colpa è tutta della chiesa cattolica che impedisce che si faccia una sana educazione sessuale!
massì, continuate pure a cantarvi ste canzoncine qua.
io preferisco Simone