martedì 29 gennaio 2019

ognuno riconosce i suoi 31 - la ragione è un seme



... le piante sono state considerate, nei secoli, come la forma paradigmatica di esistenza della ragione, una mente che si esercita nella formazione di sé. La misura di questa coincidenza era il seme. Nel seme, in effetti, la vita vegetativa mostra tutta la sua razionalità: la produzione di una certa realtà avviene a partire da un modello formale e senza alcun errore. (...)
nel seme la razionalità smette di essere una semplice funzione dello psichismo (animale op umano che sia) o l'attributo di un solo essere per diventare un fatto cosmico: modo di essere e realtà materiale del cosmo. Per esistere la pianta deve confondersi con il mondo e non può farlo che nella forma del seme: lo spazio in cui l'atto della ragione coabita con il divenire della materia.
(...)
Non basta riconoscere, come ha fatto la tradizione aristotelica, che la ragione è il luogo delle forme (locus formarum), il deposito di tutte quelle che il mondo può ospitare. La ragione ne è infatti anche causa formale ed efficiente. Se esiste una ragione, allora è quella che definisce la genesi di ciascuna delle forme di cui il mondo si compone. Per converso, un seme è l'esatto contrario della mera esistenza virtuale di una forma, con la quale viene spesso confuso. Il seme è lo spazio metafisico in cui la forma definisce non più una pura apparenza o l'oggetto della visione, né il semplice accidente della sostanza, ma un destino (...).
Il seme è il luogo in cui la forma non è un contenuto del mondo, ma l'essere del mondo, la sua forma di vita. la ragione è un seme perché, a differenza di quanto la modernità si è ostinata a pensare, non è lo spazio della sterile contemplazione e dell'esistenza intenzionale delle forme, ma la forza che fa esistere un'immagine come destino specifico di ciascun individuo o oggetto. La ragione è quel che fa di un'immagine un destino, uno spazio di vita totale, un orizzonte spaziale e temporale. Essa è necessità cosmica e non capriccio individuale.

Emanuele Coccia, la vita delle. piante, pp. 24-26

lunedì 28 gennaio 2019

ognuno riconosce i suoi 30 - forma e essenza



Non hanno mani per maneggiare il mondo, eppure sarebbe difficile trovare artisti più abili nella costruzione di forme. Le piante non sono soltanto gli artefici più raffinati del nostro cosmo, ma anche le specie che hanno aperto alla vita il mondo delle forme, la forma di una vita che ha fatto del mondo la sede della figurabilità infinita (...).
   L'assenza di mani non è segno di mancanza, ma la conseguenza della continua immersione nella stessa materia che esse modellano senza sosta. Le piante coincidono con le forme che inventano: per loro tutte le forme sono declinazioni dell'essere, e non del fare o dell'agire. Creare una forma significa attraversarla, percorrerla con tutto il proprio essere, allo stesso modo in cui si percorrono le età o le tappe dell'esistenza. all'astrazione della creazione e della tecnica - capaci di trasformare le forme solo a patto di escludere l'artista e il produttore dal processo di trasformazione -  la pianta oppone l'immediatezza della metamorfosi: generare significa sempre trasformarsi. (...)
...Nelle piante la genesi delle forme raggiunge un'intensità inaccessibile a qualsiasi altro essere vivente. A differenza degli animali superiori, in cui lo sviluppo si arresta una volta per tutte col sopraggiungere nell'individuo della maturità sessuale, le piante non cessano di svilupparsi e di accrescersi, ma, soprattutto, di costruire nuovi organi e nuove parti del corpo di cui sono state private o di cui si sono sbarazzate. Il loro corpo è un'inarrestabile fabbrica morfogenetica. (...)
Il loro non è mai un corpo definitivamente dato, ma un atto costante di bricolage somatico: è questo il significato metafisico della centralità dei meristemi. Proprio per questo la loro vita è un atto incessante di autodesign: non sono solo una forma, ma produzione incessante di forme.

Emanuel Coccia, la vita delle piante, pp. 23-24

domenica 27 gennaio 2019

ognuno riconsoce i suoi 29 - respirare



...le piante fanno crollare uno dei pilastri fondamentali della biologia e delle scienze naturali degli ultimi secoli: la priorità dell'ambiente sul vivente, del mondo sulla vita, dello spazio sul soggetto.
Le piante, la loro storia e la loro evoluzione mostrano che sono invece i viventi a produrre l'ambiente in cui vivono piuttosto che essere obbligati ad adattarvisi. Esse hanno modificato definitivamente la struttura metafisica del mondo. (...)
Le piante mostrano che la vita è la rottura dell'asimmetria tra il contenente e in contenuto. Quando c'è vita, il contenente riposa nel contenuto (e quindi è da esso contenuto) e vice versa. Il paradigma di questo intreccio reciproco è quel che già gli antichi chiamavano respiro (pnéuma). Respirare significa, in effetti, fare quest'esperienza: ciò che ci contiene, l'aria, diviene in noi contenuto e, per converso, ciò che conteniamo diventa quel che ci contiene. Respirare significa essere immersi nell'ambiente che ci penetra con la stessa intensità con la quale noi lo penetriamo.

Emanuele Coccia, la vita delle piante, pp. 19-20