domenica 29 giugno 2014

perché 6



e perché ogni volta che sento pochi accordi alla radio e penso sì, è lui, questo è johannes brahms, poi è sempre brahms?
ho cercato di capirlo anche chiedendo a dei musicisti, che cos'è quella specie di lametta, quelle noticine che ti si insinuano dentro, tra fibra e fibra, quella malinconia sempre piena di speranza, quell'onda leggera che si ingrossa come una marea di lacrime e travolge tutto, e poi si ritira e ti lascia lì, a riva, non si sa come, più viva di prima, ho chiesto, di spiegarmelo, ma ancora non me l'ha spiegato nessuno.

venerdì 27 giugno 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 2

al tosano, che è un mega supermercato qua vicino, ho visto che nel reparto 'robe per fare i dolci' vendono una bottiglia da mezzo litro in vetro marrone  con dentro un liquido trasparente, e sopra c'è scritto AROMA DI BURRO.

giovedì 26 giugno 2014

think pink 5 - fiorella mannoia

l'altro giorno ascoltando la trasmissione radiofonica di cinema 'holliwood party', ho scoperto che fiorella mannoia di professione faceva la cascatrice. la stunt girl, praticamente.
e mica in filmetti del cavolo: si è presa lei gli sberloni di sordi al posto di monica vitti nel film amore mio aiutami, era la sua controfigura fissa, e si è sostituita a molte altre attrici famose.
era la numero uno, in europa, e la sua specialità erano le cadute da cavallo.
chi l'avrebbe detto. io no di sicuro. una grande, davvero.

la foto l'ho trovata QUI

perché 5


il funerale di jan patocka


 mi ero portata il libro di semprún al collegio docenti, che è piccolo, si può tenere in grembo senza che nessuno se ne accorga, basta essere qualche fila dietro, solo che quando sono arrivata a leggere questa roba qua l'ho dovuto chiudere, perché tanto per cambiare mi è venuto da piangere. che io, quando leggo ste robe, non capisco, non capisco perché, ma perché, mi chiedo, e mi chiedo anche perché tanta gente, dopo che sono successe cose come questa, non ha saputo dire basta, non gli è venuto da dire: no, io con questa roba qua non c'entro niente.

Ciò che Lenoir non poteva dirmi, perché lo ignorava, o almeno non lo ricordava nel caso l'avesse saputo, è che il giovane filosofo che organizzò quell'incontro in cui intervenne Edmund Husserl si chiamava Jan Patočka.
 Molto più tardi, vari decenni più tardi, convertito in portavoce della Carta 77, Jan Patočka morì a Praga per un attacco di cuore dopo un interrogatorio della polizia del regime comunista. Interrogatorio senz'altro troppo forte, troppo energico, troppo brutale. Il giorno del funerale di questo grande filosofo, scandalosamente poco conosciuto, la polizia politica ceca ordinò la chiusura di tutti i negozi di fiori di Praga, per evitare che le mani fedeli degli uomini e delle donne libere portassero alla tomba di Patočka montagne di fiori.
Jorge Semprún, Vivrò col suo nome, morirà col mio, p. 88


per fortuna glieli hanno portati lo stesso, i fiori. trovare questa foto è stata un po' dura, ho dovuto cercare come si dice funerale in ceco, e l'ho trovata, e sono stata molto contenta.


ognuno riconosce i suoi 11 - vivrò col suo nome, morirà col mio





un passato che si nutre continuamente di presente, un  irrompere ricorrente di volti, versi, brandelli di lingue - il tedesco, la lingua del campo, il francese, la lingua della patria adottiva, lo spagnolo, la lingua dell'infanzia, del mito, della poesia - il puzzo di merda e morte delle latrine del campo piccolo che quasi lo senti venir su dalla carta, il tutto cucito assieme con un montaggio frenetico, che non porta da nessuna parte, perché siamo sempre lì, a buchenwald, nel '44, ma anche a praga, nel '69, a parigi nel '41o nel '43, a monaco nel '99...
questo e molto altro è 'vivrò col suo nome, morirà col mio', di jorge semprún, che prende il titolo, secondo me straordinario, dalla vicenda realmente accaduta che costituisce l'argomento del libro: a seguito a una richiesta di informazioni che veniva da berlino, i capi dell'organizzazione comunista clandestina decidono di scambiare l'identità di semprún con quella di un un moribondo, temendo che la richiesta di informazioni portasse, come già per molti altri, all'interrogatorio delle SS cui spesso seguiva la fucilazione del prigioniero.

la poesia salva la vita 1


Davanti a noi, davanti al nostro sguardo che era diventato indifferente, si allineava la lunga fila dei deportati, accovacciati, a defecare. Assorti nel dolore lacerante della defecazione. Poco lontano, alla nostra sinistra, un gruppo di vecchi litigava per un mozzicone che di sicuro non circolava equamente. (...)
Non potei far altro che recitare a voce alta il poema in prosa di Rimbaud a cui avevo già pensato altre volte, da quando conoscevo le latrine del Campo Piccolo.
« Betsaida, la piscina dei cinque portici, era un ritrovo di noia. Sembrava un lavoro sinistro, sempre oppresso dalla pioggia ed ammuffito... »
Lanciò una specie di grido rauco, come se d'un tratto si risvegliasse dal suo letargo cachettico.
Io continuai a recitare:
« e, sui gradini interni illividiti da bagliori di tempesta forieri dei lampi dell'inferno, i mendicanti s'agitavano...»
Poi, una lacuna nella memoria: il resto del poema era svanito.
Fu lui che continuò a recitare. La sua voce non aveva più quella specie di gracchio metallico, la risonanza ventriloqua del primo giorno in cui gli sentii pronunciare due parole.
Senza interruzione, tutto d'un fiato, come se recuperasse a un tempo la voce e la memoria - il suo stesso essere - recitò la continuazione.
« ... scherzando sui loro ciechi occhi blu, e sulle fasce bianche o azzurre dei loro moncherini. O lavanderia militare, o bagno popolare... »
Piangeva a forza di ridere, la conversazione stava diventando possibile.

Jorge Semprùn, Vivrò col suo nome, morirà con il mio, pp. 38-39

domenica 22 giugno 2014

perché 4

e perché non riesco più a mangiare la carne senza pensare che prima era una bestia viva, calda, e che qualcuno l'ha uccisa al posto mio?

perché 3

Tutti noi abbiamo avuto, i più sfortunati per qualche mese, o anche per un giorno solo di grazia in cui l'odiato era assente, i più fortunati per l'intero ciclo di studi, tutti abbiamo avuto almeno un insegnante che ci ha fatto sognare. qualcuno che ci ha aperto davanti oceani, abissi, mondi lontani. qualcuno che ha condiviso con te la sua vita, i suoi gusti, i suoi sentimenti.
qualcuno che ha fatto un pezzo di strada con te non perché deve portare a casa uno stipendio, ma perché ama quello che fa e in qualche modo diventa uno specchio, un pezzo di finestra, una strada possibile.
io mi considero tra i fortunati, perché ne ho avuti tanti, nella mia storia scolastica, di insegnanti che mi hanno aperto gli occhi, che mi hanno suggerito strade impervie di montagna, dove pochi arrivano, mi hanno dischiuso davanti scenari impensati e meravigliosi, mi hanno donato non solo quello che sapevano, e anche il modo, in cui sapevano quelle cose, che anche la mia prof di scienze, che odiava le donne e me in particolare, ne ho già parlato, io l'ho ammirata, e amata, anche, per le cose incredibili che ci faceva fare, senza alcun obbligo se non la sete di conoscenza, l'amore per la scienza, che arrivavamo in laboratorio la mattina alle 8 e c'erano le squille pronte da sezionare, l'occhio di bue, che ci ha fatto fare il vetriolo, che ci faceva usare ogni settimana quel laboratorio scientifico coi suoi becchi bunsen, che si dovrebbero chiamare becchi di bunsen,sempre accesi, che adesso con la storia della sicurezza non li farebbe usare più nessuno, credo, e invece noi li usavamo, e come con noi l'aveva fatto per decenni, decenni di distillazione del legno, squille, trote, seppie, occhi di bue, e per noi che era la prima volta era davvero la prima volta e lei lo faceva con la stessa passione della prima volta.
e anche il mio prof di greco, che lui faceva solo greco, poi gli hanno fatto fare anche latino ed è stato un disastro, per noi, ma il greco lo adorava, sapeva tutto, anche della musica greca antica, ci ha fatto mettere in scena l'alcesti di euripide, ci faceva delle lezioni sulla metrica e sulla lingua che all'università poi era uguale, mi ha prestato un libro sulla cabala in inglese che era una cazzata ma che è stata la porta a questo mondo che ancora mi attira e mi incuriosisce, e grazie a lui ho comprato i libri di de martino. e la mia prof di inglese, che aveva la bocca amara e voleva fare la hostess e era l'unica che non mi rompeva le balle che dovevo impegnarmi di più eccetera anche perché in inglese, io, andavo benissimo senza tanto rompermi le balle, e insegna ancora ed è collega di mio marito.
e poi c'era lei, rosalina.
il mio mito, quello che io non avrei mai potuto diventare, con il suo eloquio fluviale, inarrestabile e velocissimo, col suo leggero tic di stropicciare gli occhi, forse per via delle lenti a contatto, verdi, il trucco che si faceva sulla sua 126 rossa mentre veniva a scuola, il suo look sofisticato e le sue scarpe, che non mi piacevano mai, ma sempre di gran classe, i libri di cui ci parlava, per ore, i suoi temi, frasi che erano citazioni, indicazioni di preferenze, spunti di riflessione. la domenica, io, una volta al mese, ero libera e felice, al liceo, che al lunedì avevo tre ore di italiano e c'era il tema, che io, anzi, non vedevo l'ora,  era la mia occasione: di pensare, di scrivere, di ordinare il pensiero.
ne ricordo in particolare due, uno era di pavese, che sintetizzato era un questo: In genere è segno di debolezza tutto ciò che ci toglie coscienza. La massima debolezza è morire. (nel giudizio mi mise un'altra citazione, che chiosò con: l'ha pur detto il tuo, il nostro, pavese) e uno erano i famosi versi di fortini di 'traducendo brecht': 

 ...
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

li avevo scritti, da qualche parte, in un quaderno in cui poi ho aggiunto i miei, per quando facevo i corsi estivi del comune o qualche ripetizione. ma soprattutto per me.

 la poesia, in questo forse era il nostro comune sentire. che io, in realtà, con la rosalina, avevo poco in comune. io non sapevo parlare, non avevo niente della sua chiarezza intellettuale, e anche nostri interessi letterari, credo, erano molto diversi.
perché alla b.,  disse una volta consegnandomi un tema, interessa la sostanza.
dopo il liceo, quando poi sono passata a lettere, andavo spesso a trovarla, ero andata anche da lei perché mi desse una mano con l'esame di latino, la mia bestia nera.
mi ha raccontato anche cose, della sua vita, che non si dicono a tanti.
ci davamo del tu.
la settimana scorsa è andata in pensione, e ha fatto una mega festa al liceo, con alunni ed ex alunni.
eh, ha invitato questo mondo e quell'altro, mi ha detto la mia amica, moglie di un mio compagno di liceo, ieri, a una festina di compleanno in cui ci siamo trovate per caso per via dei figli. ogni volta che lo trovava per strada, il mio compagno, il mio amico, anzi, glielo ricordava: vieni eh, mi raccomando!
io non lo sapevo.
mi sono mancate le gambe.
non lo sapevi?
eh no, non lo sapevo.
avrei voluto andare via, stare da sola, e piangere, e sentirmi come ti senti quando un amico si dimentica di te. e invece sono rimasta lì, in mezzo a bambini urlanti che scoppiavano i palloncini, a finire quella conversazione facendo finta di niente, mentre i miei soliti perché mi rimpallavano in testa come palline di gomma, e tutto mi ronzava intorno, come una nuvola.



lunedì 16 giugno 2014

ognuno riconosce i suoi 10 - scrivere, vivere, morire



prima ho riportato in biblioteca questo libro qua, ho dovuto pagare la multa perché ero in ritardo, ma per questo libro la pago volentieri, ho detto alla bibliotecaria.
 peccato che sia morto prima di finirlo, perché era un progetto ambizioso, ma che sono sicura sarebbe riuscito. è una scrittura che se non sai da dove nasce, e, quando inizia, pensi che sia esercizio di stile, invece è distillato di vita, sudore, sangue, che è un libro che parla della tortura, del corpo, della vita e naturalmente della scrittura.
 l'ho preso per il titolo, lo spessore sottile e l'argomento, mi sembrava una cosa giusta da leggere dopo i fratelli karamazov, e infatti.

Mi trovavo nella penombra ovattata, discretamente propizia, del quasi deserto bar del Lutetia. Ma non era l'ora: intendo dire l'ora di essere a frotte, l'ora di essere attesi o di attendere qualcuno. D'altro canto, non aspettavo nessuno. Ero entrato per evocare comodamente qualche fantasma del passato: Fra cui il mio, con ogni probabilità: il giovane e socievole fantasma del vecchio scrittore che ero diventato.

mentre preparavo i libri da riportare in biblioteca, ho letto questo inizio al professore, e gli ho detto: questo è stato ministro della cultura in spagna fino al '91.
Eh, fa lui, noi abbiamo avuto moratti, fioroni, gelmini... eh no, faccio io, quelli sono ministri della pubblica istruzione. noi, in italia, della cultura non abbiamo neanche il ministero.




venerdì 13 giugno 2014

chiodi, borchie



l'altroieri, portando antonio a scuola, ho visto su uno di quei cartelli che mettono fuori dalle edicole, che passo sempre davanti a un'edicola vicino a un semaforo, che c'era scritto:

IPOTESI CHIODI 
ANTIBARBONI 
PER I MONUMENTI 
DI VICENZA

ero abbastanza sicura di non essermi sbagliata, a leggere, che poi oggi sull'Independent hanno pubblicato un articolo che Tesco, la famosa catena di supermercati, ha deciso di toglierli (che loro li hanno già messi), davanti ai loro negozi.
Ho controllato sul sito del giornale di vicenza, c'è, solo ch li chiamano 'borchie'.

mercoledì 11 giugno 2014

diritti


la corte di cassazione ha detto che tutti hanno il diritto di avere dei figli e quindi con questa sentenza ha ripristinato la possibilità di accedere alla fecondazione eterologa.
e ho pensato che bisogna abolirlo, questa costrutto, che le parole sono importanti, la grammatica di più, la grammatica è il pensiero: bisogna smetterla di dire che uno HA dei figli.
che le persone non si possono avere. non possono essere diritti degli altri, una persona non può essere un diritto per un'altra, perché, mi pare evidente, ma le cose che a me sembrano evidenti di solito sono evidenti solo a me, che se uno è un diritto di un altro vuol dire che è IN FUNZIONE dell'altro, diventa dell'altro. liberi e uguali, in spirito di fratellanza, come recita il primo articolo della dichiarazione dei diritti umani.
 che un giorno ho visto una trasmissione che c'erano due poveracci, mi hanno fatto una pena, due vite distrutte, lavorava solo lui, hanno dovuto fare l'eterologa all'estero, un paio di volte, credo, è andata male, si ritrovano pieni di debiti e senza il sospirato e pagato caro figlio.
non capisco, non posso capire, che io i figli non li ho mai voluti, nel senso di considerarli un completamento, una realizzazione, non sono un completamento, un'appendice, i figli sono altre persone, sono altre persone, altre persone, altre persone... e le altre persone sono altro da te, mangiano, puzzano, cagano, piangono, si ammalano, si cambiano i vestiti e li buttano per terra, non vogliono fare i compiti, ti raccontano balle, si spaccano le dita, la testa, le gambe, non fanno mai quello che vuoi tu, spesso non fanno neanche quello che sarebbe giusto fare anche se non è quello che vuoi tu, e da grandi, grandi si fa per dire, vanno alle feste e ti tornano indietro dentro un sacco nero, a volte.
a volte ti rendono felice, a volte ti abbracciano quando sei triste, a volte ti capiscono senza che parli, a volte ti scrivono dei bigliettini che ti fanno piangere, a volte.
ma essere felici, avere delle soddisfazioni, piangere di gioia o morire di crepacuore, no, non sono diritti questi. tanto meno lo sono quelli che ti rendono felice, ti fanno piangere o morire.
un bambino, un uomo, una bambina, una donna, non sono un diritto di nessuno.




martedì 10 giugno 2014

ritorno a padova



era da... quando? non lo ricordo neanche più, dieci anni, almeno.
andare per le vie di padova in questo periodo in cui, la sera,  fa buio tardi, l'aria calda è piacevole, dopo l'afa del giorno, il prato (la famosa piazza circolare, il prato della valle) magico, con le sue statue illuminate, la poca gente che ci passeggia intorno, santa giustina imponente e muta a chiuderlo, là in fondo, santa giustina con la sua facciata chiusa di muro di mattoncini, che non te l'aspetteresti mai, da fuori, quella luce, dentro, con quel crocifisso solo, là in mezzo all'enorme, unica navata, e le cupole, dietro, che non c'entrano per niente, così tonde, azzurrine, quasi di vetro.
e i ponti, di padova, i suoi portici, il ghetto, con i suoi ristorantini pieni di inglesi, le studentesse americane con le infradito ai piedi che si trascinano trolley e borse della spesa, le piazze, quelle delle erbe e quella delle frutta, che quando andavo all'università era completamente vuota, la sera, dopo il mercato della mattina, era surreale, attraversarla, con l'orologio che fa da porta a piazza capitaniato, coi numeri blu e oro, che meraviglia, ci passavo sotto ogni giorno,  adesso è piena di sedie e tavolini delle innumeri gelaterie e bar, uno dietro l'altra, che hanno preso il posto di boutique e antichi negozi di scarpe.
 il duomo, il cinema concordi, dove andavamo gratis l'8 febbraio festa della matricola, miseramente chiuso, coi suoi vetri ricoperti di scritte spray, il 23, mitico negozio di dischi, immarcescibile, con le sue vetrine ancora coperte di copertine di dischi col prezzo scritto col pennarello rosso, la sede di psicologia, anche quella piena di scritte, che adesso non si entra più, da quella parte lì, e negozi sostituiti da altri, l'esercizio dei ricordi.
quell'aria, quegli odori, che gli odori, pensavo l'altro giorno uscendo dalla biblioteca, gli odori è difficile che cambino, sono gli alberi e le case, che li danno, magari cambiano i negozi, i ristoranti, i bar, e laddove ti aspetti il profumo di caffè, magari ti trovi quello del kebab, ma di fondo, gli odori delle città restano gli stessi, e io, l'odore di questa città, l'odore dell'erba dei giardinetti appena tagliata che si alterna a a quello delle pizzerie, l'odore dei banchi della frutta e verdura che riempiono piazza delle erbe e che sa un po' di buono e un po' di marcio, l'odore di piscio degli angoli bui dei portici, l'odore delle botteghe della basilica, odore di antiche drogherie, di pesce sotto sale, crema da scarpe, verdura andata a male, plastica, carne fresca, io questo odore, questi odori qua lo so, come sono, mi basta pensarci e me li ricordo subito, e l'altra sera l'ho detto alle mie amiche di un tempo, con cui avrei passeggiato fino al mattino, e invece ho dovuto tornare a casa, a me, gli ho detto,  davanti al pedrocchi, a me mi viene da piangere, stasera, da quanto è bella, questa città qua.



mercoledì 4 giugno 2014

MOSE 2 - perchè mi piace vasco

che io quando sento  le solite cronache di ordinaria corruzione del nostro paese mi viene sempre da cantare, con vasco, eh, ci vuole quello che io non ho, ci vuole il pelo sullo stomaco....
sì, stupendooooo, mi viene il vomito, è più forte di meeeeeeeeee....

MOSE 1

Ho sentito alla radio degli arresti eccellenti per il MOSE, e una telefonata, in cui una di quelli che ha esaminato a suo tempo il progetto ha detto che il parere era stato negativo, e questa roba qua, che sono trent'anni che va avanti, non ha alcuna autorizzazione, e io come ogni volta che penso a venezia, mi sono ricantata questa canzone qui che mi ricordo che mi ero comprata una cassetta di quelle che vendevano al mercato del concerto di guccini e i nomadi, e mi veniva sempre da piangere, altro che canzone per un'amica, che c'era anche quella, proprio un album allegro, mi ricordo, c'era anche dio è morto, e auschwitz, per dire.

lunedì 2 giugno 2014

perché 2

ogni tanto salta fuori uno che dice che siamo in troppi, e ogni volta mi chiedo: ma perché non cominci tu, a levarti dalle palle?
no, sono sempre gli altri. che non devono fare figli, che bisogna dirgli di smettere, che bisogna dargli il preservativo, la pillola, prima, dopo, durante.
che hanno tutti paura di morire di fame.
e fanno le diete dimagranti.

domenica 1 giugno 2014

il tombino

La scorsa settimana alla rassegna stampa di radiotre c'era un giornalista, non mi ricordo il nome, comunque era uno importante, che diceva che non è vero che non ci sono certe notizie, ci sono, lui legge i giornali ogni mattina, le notizie ci sono, basta andarsele a cercare, probabilmente questo signore non lo sa che la gente normale non ha il tempo per leggersi tre o quattro giornali al giorno, passare un paio di ore online sulle agenzie, a cercare le notizie che vorrebbe, e che avere accesso a questa quantità immane di informazioni spesso equivale a non averlo affatto, perché il problema è la selezione delle priorità, questo è quello che dovrebbero fare i giornalisti, e anche secondo me, non è che lo fanno tanto.
Dopo che ho sentito sti discorsi, ieri sento al radiogiornale del 3, che poi è l'unico che ascolto, che durerà se dura tanto 5 minuti, dipende dall'edizione, quella delle 13 e 45 è un po' più lunga, mi pare, ma non ci giurerei, comunque in coda mettono spesso un servizio di tipo 'culturale', quello di eri era sul tombino. sì, quella cosa che tutti calpestiamo, un oggetto umile che però anche lui ha il suo design.
ora, a me non piace mancare di rispetto a nessuno, ma voglio dire, ma non avete proprio nienta altro, da parlare, che del tombino?
ma chiamatemi a me, se non sapete cosa dire, che vi direi, che so, le ragazze nigeriane rapite non sono ancora state rilasciate, neanche padre dall'oglio, chissà se è ancora vivo, e quella povera disgraziata che ha partorito in galera col figlio di due anni vicino, adesso forse la lapideranno perché ormai ha partorito, e in india c'è uno stupro ogni 22 minuti, queste robe qua, se anche le ripeti qualche volta, non è che fa poi male, no?
ma no, dai, quello l'abbiamo già detto ieri, oggi parliamo del tombino.

perché


stavo cercando di scrivere un post, questo, sul perché, quando ho aperto come quasi ogni giorno il blog di paolo nori e il nuovo post si intitolava appunto perché, e ho avuto un piccolo tuffo al cuore, ma poi era tutta un'altra cosa.
il mio era un problema mio, che non ci avevo mai fatto tanto caso, invece mi sono accorta che io non riesco a fare a meno di chiedermi perché, in continuazione.
la maggior parte dei miei perché sono cazzate, ma mi affollano il cervello, e non riesco a liberarmene, perché ormai me lo sono già chiesto, perché.
perché quella al supermercato si è messa quella gonna lunga nera che dietro è venti centimetri più corta, con le sneakers marroni, e alte, oltretutto? perché matteo renzi usa il plurale maiestatis? perché mio nipote che è un genio quando gli chiedo cosa vuole fare da grande mi risponde: non so, il commesso? perché una sacco di donne si compra quelle scarpe col tacco che è impossibile camminarci, e magari ci vanno a fare la spesa? perché uno intelligente come carlotto scrive libri inutili, perché la mia collega che apprezzo tantissimo e a cui voglio tanto bene ci racconta un sacco di balle? perché certa gente va a correre solo per stare bene quando non deve più correre, perché quello si è sposato con quella, perché una madre compra a sua figlia di terza elementare una maglietta con su scritto: stasera faccio la brava, perché le persone provano gusto nel vessare gli altri, perché un uomo può dire a una donna: non sei la donna che vorrei al mio fianco e una donna non lo dice mai, perché tutte, ma proprio tutte, quelle a cui ho detto 'faccio il we da single' mi hanno guardato con invidia, perché un uomo violenta una donna, perché 38 uomini violentano una ragazza di 15 anni, perché sono una donna, perché sto così bene da sola, perché non ho saputo stare da sola, perché penso sempre a mangiare, perché nessuno pensa all'anima sua, che magari muore domani, perché esistono le zanzare, e perché non riesco mai a farmi i cazzi miei????
tanto per dire, quello che mi viene in mente adesso.