domenica 22 giugno 2014

perché 3

Tutti noi abbiamo avuto, i più sfortunati per qualche mese, o anche per un giorno solo di grazia in cui l'odiato era assente, i più fortunati per l'intero ciclo di studi, tutti abbiamo avuto almeno un insegnante che ci ha fatto sognare. qualcuno che ci ha aperto davanti oceani, abissi, mondi lontani. qualcuno che ha condiviso con te la sua vita, i suoi gusti, i suoi sentimenti.
qualcuno che ha fatto un pezzo di strada con te non perché deve portare a casa uno stipendio, ma perché ama quello che fa e in qualche modo diventa uno specchio, un pezzo di finestra, una strada possibile.
io mi considero tra i fortunati, perché ne ho avuti tanti, nella mia storia scolastica, di insegnanti che mi hanno aperto gli occhi, che mi hanno suggerito strade impervie di montagna, dove pochi arrivano, mi hanno dischiuso davanti scenari impensati e meravigliosi, mi hanno donato non solo quello che sapevano, e anche il modo, in cui sapevano quelle cose, che anche la mia prof di scienze, che odiava le donne e me in particolare, ne ho già parlato, io l'ho ammirata, e amata, anche, per le cose incredibili che ci faceva fare, senza alcun obbligo se non la sete di conoscenza, l'amore per la scienza, che arrivavamo in laboratorio la mattina alle 8 e c'erano le squille pronte da sezionare, l'occhio di bue, che ci ha fatto fare il vetriolo, che ci faceva usare ogni settimana quel laboratorio scientifico coi suoi becchi bunsen, che si dovrebbero chiamare becchi di bunsen,sempre accesi, che adesso con la storia della sicurezza non li farebbe usare più nessuno, credo, e invece noi li usavamo, e come con noi l'aveva fatto per decenni, decenni di distillazione del legno, squille, trote, seppie, occhi di bue, e per noi che era la prima volta era davvero la prima volta e lei lo faceva con la stessa passione della prima volta.
e anche il mio prof di greco, che lui faceva solo greco, poi gli hanno fatto fare anche latino ed è stato un disastro, per noi, ma il greco lo adorava, sapeva tutto, anche della musica greca antica, ci ha fatto mettere in scena l'alcesti di euripide, ci faceva delle lezioni sulla metrica e sulla lingua che all'università poi era uguale, mi ha prestato un libro sulla cabala in inglese che era una cazzata ma che è stata la porta a questo mondo che ancora mi attira e mi incuriosisce, e grazie a lui ho comprato i libri di de martino. e la mia prof di inglese, che aveva la bocca amara e voleva fare la hostess e era l'unica che non mi rompeva le balle che dovevo impegnarmi di più eccetera anche perché in inglese, io, andavo benissimo senza tanto rompermi le balle, e insegna ancora ed è collega di mio marito.
e poi c'era lei, rosalina.
il mio mito, quello che io non avrei mai potuto diventare, con il suo eloquio fluviale, inarrestabile e velocissimo, col suo leggero tic di stropicciare gli occhi, forse per via delle lenti a contatto, verdi, il trucco che si faceva sulla sua 126 rossa mentre veniva a scuola, il suo look sofisticato e le sue scarpe, che non mi piacevano mai, ma sempre di gran classe, i libri di cui ci parlava, per ore, i suoi temi, frasi che erano citazioni, indicazioni di preferenze, spunti di riflessione. la domenica, io, una volta al mese, ero libera e felice, al liceo, che al lunedì avevo tre ore di italiano e c'era il tema, che io, anzi, non vedevo l'ora,  era la mia occasione: di pensare, di scrivere, di ordinare il pensiero.
ne ricordo in particolare due, uno era di pavese, che sintetizzato era un questo: In genere è segno di debolezza tutto ciò che ci toglie coscienza. La massima debolezza è morire. (nel giudizio mi mise un'altra citazione, che chiosò con: l'ha pur detto il tuo, il nostro, pavese) e uno erano i famosi versi di fortini di 'traducendo brecht': 

 ...
Scrivi mi dico, odia
chi con dolcezza guida al niente
gli uomini e le donne che con te si accompagnano
e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
scrivi anche il tuo nome. Il temporale
è sparito con enfasi. La natura
per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.

li avevo scritti, da qualche parte, in un quaderno in cui poi ho aggiunto i miei, per quando facevo i corsi estivi del comune o qualche ripetizione. ma soprattutto per me.

 la poesia, in questo forse era il nostro comune sentire. che io, in realtà, con la rosalina, avevo poco in comune. io non sapevo parlare, non avevo niente della sua chiarezza intellettuale, e anche nostri interessi letterari, credo, erano molto diversi.
perché alla b.,  disse una volta consegnandomi un tema, interessa la sostanza.
dopo il liceo, quando poi sono passata a lettere, andavo spesso a trovarla, ero andata anche da lei perché mi desse una mano con l'esame di latino, la mia bestia nera.
mi ha raccontato anche cose, della sua vita, che non si dicono a tanti.
ci davamo del tu.
la settimana scorsa è andata in pensione, e ha fatto una mega festa al liceo, con alunni ed ex alunni.
eh, ha invitato questo mondo e quell'altro, mi ha detto la mia amica, moglie di un mio compagno di liceo, ieri, a una festina di compleanno in cui ci siamo trovate per caso per via dei figli. ogni volta che lo trovava per strada, il mio compagno, il mio amico, anzi, glielo ricordava: vieni eh, mi raccomando!
io non lo sapevo.
mi sono mancate le gambe.
non lo sapevi?
eh no, non lo sapevo.
avrei voluto andare via, stare da sola, e piangere, e sentirmi come ti senti quando un amico si dimentica di te. e invece sono rimasta lì, in mezzo a bambini urlanti che scoppiavano i palloncini, a finire quella conversazione facendo finta di niente, mentre i miei soliti perché mi rimpallavano in testa come palline di gomma, e tutto mi ronzava intorno, come una nuvola.



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