venerdì 8 maggio 2009

La (dis)parità del tempo libero: lui ha 83 minuti in più

RIPORTO INTEGRALMENTE L'ARTICOLO APPARSO SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 6 MAGGIO A PROPOSITO DEL RAPPORTO OCSE. OGNI COMMENTO MI PARE SUPERFLUO
Lui legge il giornale, lei intanto prepara la cena. Dopo l' ufficio lui beve una birra con gli amici, lei affretta il passo perché la lavanderia chiude alle sette e mezza. La domenica c' è la partita in tv, e meno male che i bimbi sono al parco con la mamma. Scene di vita quotidiana e di iniqua distribuzione di un bene preziosissimo: il tempo libero. In Italia più iniqua che mai, visto che gli uomini ne hanno 83 minuti in più al giorno rispetto alle donne. Più dei maschi messicani (80 minuti), dei polacchi (62) o degli spagnoli (33). Più di tutti i loro colleghi dei 19 Paesi passati sotto la lente d' ingrandimento dell' Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Le donne sorridono solo in Nuova Zelanda (dove sono in vantaggio di 2 minuti), in Svezia (+6) e in Norvegia (+16). Lo studio dell' Ocse dice anche che noi italiani non siamo dormiglioni e passiamo tanto tempo a tavola riuscendo a non ingrassare troppo. Magra consolazione per chi poi deve rifare i letti e sparecchiare mentre la sua dolce metà si dedica tranquillamente agli affari suoi. Il tempo libero come luogo privilegiato per osservare una società e la disparità tra i sessi. Lo sa benissimo Domenico De Masi, docente di Sociologia del Lavoro alla Sapienza di Roma che al tema ha dedicato un saggio, Ozio creativo: «Quell' ora e venti che solo noi uomini possiamo goderci è qualcosa di cui vergognarsi. Questo gap ha ragioni culturali: il maschio latino soffre la famiglia e odia la casa, le considera secondarie e accessorie, solo il lavoro è vissuto come l' ambito dell' espressione e della realizzazione di se stessi». E non è un caso che l' Italia si sia conquistata una simile maglia nera: «Siamo usciti tardi dalla ruralità rispetto ad altri Paesi e la visione cattolica ha perpetrato l' immagine della donna come regina del focolare. Sono certo che nella Germania calvinista le cose vadano assai diversamente». L' Ocse conferma: tra i tedeschi la clessidra del tempo libero segna soltanto cinque minuti di privilegio in più per gli uomini. «Siamo nella stessa situazione degli anni Cinquanta, solo che allora le donne lavoravano esclusivamente in casa», commenta Lidia Ravera. Altro che tempo per svagarsi, afferma la scrittrice, oggi ogni lavoratrice deve farsi in tre: «Solo gli uomini possono permettersi il lusso di essere monomaniacali dedicandosi alla carriera. Le donne lavorano prima per uno stipendio, poi per la famiglia e, alla fine, i minuti e le energie che restano li devono spendere per mantenersi belle. Un impegno imprescindibile: essere carine è un obbligo sociale. E se a 19 anni si fa piuttosto in fretta, dopo la trentina i tempi cominciano ad allungarsi...». Ma la coppia che lavora non dovrebbe fondarsi sul mutuo soccorso? «Gli uomini, al massimo, portano fuori il pattume», scherza amaro Maria Cristina Bombelli, docente di Organizzazione del lavoro all' Università Bicocca di Milano e autrice del saggio Alice in business land. Diventare leader rimanendo donne. Un titolo, un problema: «L' organizzazione del lavoro in Italia sembra fatta apposta per non lasciare spazio alla famiglia». E visto che la famiglia pesa quasi tutta sulle spalle delle donne, il risultato è che, quando non sono addirittura costrette a lasciare il lavoro, il tempo libero resta un miraggio. E quelle che riescono a ritagliarsene un po' , lo usano in modo diverso dai loro colleghi? «Assolutamente sì - dice Bombelli -. I maschi preferiscono stare con gli amici, il calcio, la palestra. Le donne, e le statistiche lo confermano, hanno un approccio più colto: leggono, vanno al cinema, frequentano il teatro». Ultimo tentativo di difesa: ma non sarà che gli uomini hanno più bisogno di evasione? «Macché, questa è solo una bugia di comodo che ci raccontiamo, guarda un po' , proprio noi uomini», dice lo psichiatra Giacomo Dacquino, autore del saggio Sesso soldi e sentimenti. No, la natura non c' entra: la colpa è delle «madri latine» che «trattano i figli maschi come dei sultani: loro poi, una volta sposati, finiscono con il considerare le mogli completamente al loro servizio». Non tutto è perduto, però: «Secondo la mia esperienza di terapeuta di coppia questo maschilismo è imperante nelle coppie dai 35 anni in su, mentre i più giovani dimostrano di avere un atteggiamento diverso: il primo che arriva a casa mette su la pasta, svuota la lavatrice, va a prendere il bimbo dalla nonna». Le nuove generazioni sembrano insomma averlo capito: dividersi stress, oneri e tempo libero possibilmente in parti uguali è il miglior modo di amarsi per davvero. Fabio Cutri