sabato 30 maggio 2015

la scrittura è l'ignoto



La scrittura è l'ignoto. Prima di scrivere non si sa niente  di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità.
(...) Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe mai.
Sarebbe inutile.
Scrivere è tentar di sapere cosa si scriverebbe se si scrivesse. Lo sappiamo solo dopo. Prima, è la domanda più pericolosa che ci possiamo rivolgere. Ma è anche la più ricorrente.

Marguerite Duras, Scrivere, Milano Feltrinelli 1994
(citata da Ann Huet nel libretto La sceneggiatura)

giovedì 28 maggio 2015

convincerlo

ma come hai fatto, tu, a convincerlo a farne tre?? mi chiedono due colleghe in cortile che avrebbero voluto il secondo figlio, penso, visto che ne hanno uno solo a testa.
convincerlo? ma di cosa stanno parlando?, ho pensato. poi ho capito, anche perché sti discorsi non è la prima volta che li sento, che si stavano riferendo al marito.
io, volevo dirgli, mi sono sposata con uno che pensava che sposarsi significa anche avere dei figli, eventualmente.
era nell'economia delle cose, gli ho detto invece, che poi è la verità, è successo così, non è che io ho deciso adesso faccio un figlio, poi un altro, e un altro ancora, potevamo anche non averli, i figli, non sarebbe stato un problema, anzi certe volte penso che magari era meglio, non so, io li volevo prendere in affido da subito, li prenderei anche adesso, se le cose non fossero così difficili, tra noi, comunque convincerlo, ma che idea, come comprare un'altra macchina, ma no, dai.
che io, convincere la gente, figuriamoci, ma se il mio nome è cassandra, non mi fila mai nessuno, figurati se riesco a convincere uno, sono anni che l'ho capito, che convincere, non si convince mai nessuno che non si convinca già lui da solo.
e mi è venuta in mente subito quell'altra mia collega che siccome voleva il terzo figlio e lui no, falsificava le date sul calendario del ciclo, ma lui che era come lei le correggeva...
bisognerebbe tenerlo in astinenza per un bel po' e poi ubriacarlo, ma di brutto, hanno concluso loro.
e per una volta, lo devo proprio dire, ho pensato che stavolta, mi dispiace ma stavolta mi è andata meglio a me, ragazze.

la realtà supera sempre l'immaginazione - conversazione a distanza su un titolo




P.: Io, a vedere quel libro qua, ho pensato che vorrei proprio fare un’antologia che si chiamasse Il racconto disonesto. Non va bene, ho pensato poi dopo.

L.: comunque io, quando ho sentito l'altro giorno alla radio che avevano fatto un'antologia di racconti che mi pare che ognuno raccontasse la sua, di guerra,  avevo pensato che era un titolo orrendo, e che sarebbe stato molto meglio se lo chiamavano il racconto disonesto.

P.: Il racconto onesto è un bel titolo, secondo me.

L.: non mi sorprende. come al solito, ciò che è terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni.

P.:Volevo scrivere che il racconto disonesto, sarebbe stato un bel titolo, il racconto onesto non mi sembra abbia senso.

L.: come dicevo prima a una mia collega, la tecnologia è soprvvalutata. in questa nostra pseudo conversazione devo però dire che forse non lo è. fa un favore non rispondermi più niente che adesso mi pare che sia esattamente quello che penso io.

lunedì 25 maggio 2015

due semplici regole



Io aspetto l'ispirazione, che non chiamo per forza con questo nome. Sostengo che tutto ciò che si scrive proviene dal plesso solare.
E' un lavoro, perché vi lascia stanchi, persino esausti. Ma, in quanto sforzo cosciente, non è nulla.
Ciò che conta è avere un momento, diciamo quattro ore al giorno, in cui lo scrittore professionista non fa nient'altro che scrivere. Non deve sentirlo come una costrizione, non deve mettercisi per forza. Può guardare dalla finestra, stare dritto a testa in giù o rotolare sul pavimento, ma non deve fare nulla di concreto, come leggere, scrivere lettere, dare un'occhiata a delle riviste o compilare assegni. Può scrivere, oppure non fare nulla.
E' la stessa cosa che vale per la scuola. Se si obbligano gli studenti a stare tranquilli, imparano qualcosa, giusto per non morire di noia. Trovo che sia efficace.
Vi sono due regole molto semplici:
- non si è costretti a scrivere;
- non si può fare nient'altro.
Il resto viene da sé.

Raymond Chandler, Selected letters of Raymond Chandler, 1981 (ed. it. Marlowe e io )


mercoledì 20 maggio 2015

italia mia, benchè 'l parlar sia indarno 5- serie A, serie B

quelli che sono contro la riforma della buona scuola continuano a dire che si crea una scuola di serie A e una di serie B perché danno dei soldi alle scuole private.
non c'è nessuno, nessuno, che dica che la scuola di serie A e serie B si farà per l'autonomia delle scuole, per cui se sei fortunato e nasci dove c'è una scuola buona, avrai la scuola buona, se nasci in un posto di merda dove c'è una scuola di merda, avrai quella scuola lì. io non so cosa farmene, dell'autonomia della scuola. io non la voglio la scuola regionale, possibile che non gli sia bastata, la sanità regionale???
non c'è più, l'italia. ci sono tante italiette dove si parla la lingua italiana.
ognuno pensa ai cazzi suoi, a chiudersi dentro al suo cortiletto. mi hanno chiesto se vado a fare la sindacalista per l'USB, i sindacati di base, e avevo anche detto di sì, ma mi sa che è meglio che lasci perdere, perché la scuola statale che voglio io, mi sa, non è mica quella che vogliono gli altri.
come al solito, ciò che è terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni.

mah 2

ogni tanto il contatore di visualizzazioni mi dice che ho un picco di visualizzazioni, ma na roba tipo ieri 200, che rispetto alle solite 10-11, anche meno, degli altri giorni fa un po' impressione. secondo me è rotto.

in fondo


Credo che se non fossi cattolica, non avrei ragione di scrivere, nessuna ragione di vedere, nessuna ragione di provare orrore, o di provare piacere in nulla.
Sono nata cattolica, ho frequentato scuole cattoliche durante l'infanzia e non ho mai lasciato, né ho mai voluto lasciare la Chiesa. Non ho mai percepito l'essere cattolica come un limite alla libertà dello scrittore, piuttosto l'opposto. Mrs Tate mi ha detto che dopo essere diventata cattolica, sentiva per la prima volta di poter usare gli occhi e accettare ciò che vedeva, non doveva creare un nuovo universo per ogni libro, ma poteva prendere quello che trovava. Io stessa credo che essere cattolica mi abbia risparmiato un paio di migliaia di anni per imparare a scrivere. (...)
Non sono molto sicura che il compito di uno scrittore cattolico sia solo quello di riflettere tutto ciò che vede; ma cosa sia o non sia uno scrittore cattolico è un argomento che evito accuratamente.
In fondo, uno scrive quello che può, quello che Dio gli dà.

Flannery O'Connor, Il volto incompiuto. Saggi e lettere sul mestiere di scrivere, Bur, p.112

divertirsi

oggi sono andata a mangiare con la mia amica che non mi ascolta mai, e poi si lamenta, e io le dico ma devi fare così, devi dirgli cosà, e poi lei fa sempre il contrario e si lamenta, devi uscire da questi loop, le ho detto, ma comunque ogni volta ci troviamo d'accordo che vorremmo tanto scappare, solo che lei, mi ha detto, se dovesse dire cosa vorrebbe fare, vorrebbe divertirsi, e io, invece, io divertirmi è una cosa che non mi passa neanche per l'anticamera del cervello, io vorrei prendere in mano un bazooka metaforico per fare stare zitti tutti i miei alunni urlanti, le ho detto, io voglio silenzio, non ne posso più del casino che c'è  a scuola, e adesso devo andare a prendermi in biblioteca i libri che mi sono arrivati sulla sceneggiatura, che voglio scrivere una sceneggiatura, su cosa? mi fa lei, ah, non lo so, ma devo cambiare lavoro, anche se il mio mi piace assai, ma non lo reggo più, il casino, lo stress, le ripicche tra colleghe, i genitori che rompono, perché tanto il nostro lavoro lo sanno fare tutti meglio di noi...
penso di sapere cosa intende, la mia amica, per divertirsi: leggerezza, niente pensieri, ma io è da un pezzo, che l'ho capito, che io, non pensare, non sono mica capace, tanti non lo capiscono, pensano che sia seriosità, invece non c'entra niente, è che io,  divertirmi, per me, è il contrario di quello che pensa la gente, che distrarmi o, com'è quell'altra parola? svagarsi, ecco, svago, lo svago, io, svagarmi è una fatica, per me. se proprio posso, io mi riposo, ma cercare di svagarmi, ma anche no, perché come disse una volta piero chiambretti, si cerca sempre di uscire dalla realtà ma si finisce sempre, inevitabilmente,  in un'altra.

lunedì 18 maggio 2015

un posto



mio marito vive in un paese della valsaugana che la metà degli abitanti, abbiamo scoperto, sono suore. non si vedono perché stanno tutte dentro a un grande edificio all'imbocco del paese, e quando delle persone devono stare in una stanzetta con un letto e un tavolino, se va bene, o stanno insieme in tre quattro in stanze divise da tende bianche, non occupano più di tanto posto.
è un micro paese ma c'è tutto l'occorrente, il municipio, la biblioteca che al lunedì sta aperta fino alle dieci di sera, la sua farmacia col suo distributore di preservativi e tutto, il supermercato con le sue belle offerte, che ha anche uno stand di vestiti taglie large ed extralarge che quasi mi compravo qualcosa, e un reparto piante e fiori che la confezione si paga a parte, e il fornaio proprio sotto casa di mio marito, e fontane dappertutto e fioriere piene di gerani rossi e bianchi e la gente col trattore che porta mucchi di legna, e il parchetto giochi che quasi non hai il coraggio di entrarci, da quanto è tutto nuovo, e la scuola materna color lilla, la chiesa con le porte spalancate, di quelle con la scaletta che sale verso l'organo sopra il portone, i banchi di legno intarsiati, tutto troppo pesante per me ma almeno le candele sono vere, le grandi case coi quattro spioventi e i bordi affrescati sotto i travi, e quelle vecchie e piccole, di sassi e malta, con le scale esterne di legno, le panchine fatte coi tronchi di abete tagliati a metà,  insomma tutto l'armamentario di un tipico paesino di montagna, e la gente che ti saluta anche se non vorrebbe, è più forte di lei, una che avrà avuto la mia età mi è passata di fianco e quando mi è stata vicina le è sfuggito dai denti un salve, ma guardava avanti, come se neanche mi avesse visto.
non lo so, forse è un bel posto per starci, ma non lo so.

giovedì 14 maggio 2015

la materia delle storie 2


La narrativa opera attraverso i sensi, e uno dei motivi per cui, secondo me, scrivere racconti risulta così arduo è che si tende a dimenticare quanto tempo e pazienza ci vogliono per convincere attraverso i sensi. Se non gli viene dato modo di vivere la storia, di toccarla con mano, il lettore non crederà a niente di quel che il narratore si limita riferirgli. La caratteristica principale, e più evidente, della narrativa è quella d’affrontare la realtà tramite ciò che si può vedere, sentire, odorare, gustare, toccare. È questa una cosa che non si può imparare solo con la testa; va appresa come un’abitudine, come un modo abituale di guardare le cose. Lo scrittore di narrativa deve rendersi conto che non è possibile suscitare la compassione con la compassione, l’emozione con l’emozione, o i pensieri con i pensieri. A tutte queste cose bisogna dare corpo, creare un mondo dotato di peso e di spessore.

Flannery O'Connor, Nel territorio del diavolo, p. 60

ognuno riconosce i suoi 15 - la materia delle storie 1



Seconde me è ora di cominciare a riflettere sulle storie a un livello molto più fondamentale, perciò voglio parlare di una caratteristica della narrativa che ritengo il suo minimo comune denominatore – il fatto che sia concreta – e di alcune caratteristiche che ne conseguono. Così facendo, ci occuperemo del lettore nel suo fondamentale senso umano, poiché la natura della narrativa è in gran parte determinata dalla natura del nostro apparato percettivo. La conoscenza umana ha inizio attraverso i sensi, e lo scrittore di narrativa inizia laddove inizia la percezione umana. Agisce attraverso i sensi, e sui sensi non si può agire con delle astrazioni. Ai più riesce molto meglio enunciare un’idea astratta anziché descrivere e quindi ricreare un oggetto che hanno davanti agli occhi. Ma il mondo dello scrittore di narrativa è colmo di materia ed è proprio questo che gli scrittori di narrativa principianti sono così restii a creare. Il loro interesse precipuo va a idee ed emozioni disincarnate. Hanno la tendenza ad essere riformatori e a volere scrivere perché ossessionati non da una storia, ma dal nudo scheletro di qualche concetto astratto. Di problemi, non di persone consapevoli, di questioni e di temi, non dell’ordito dell’esistenza, di anamnesi, e di tutto quel che sa di sociologia, anziché di quei particolari di vita concreti che danno realtà al mistero della nostra posizione sulla terra.

informazioni sulla vita



Oggigiorno si levano alti lamenti per il fatto che gli scrittori si siano tutti ritirati nei college e nelle università, dove vivono in modo decorso, invece di andare in giro a procurarsi informazioni di prima mano sulla vita. In realtà, chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia, possiede informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni. Se non riuscite a cavare qualcosa da un’esperienza ridotta, probabilmente non vi riuscirà da un’esperienza più vasta. Il dovere dello scrittore è contemplare l’esistenza, non dissolversi in essa.

Flannery O'Connor, Nel territorio del diavolo, p. 44

sabato 9 maggio 2015

stamattina ho aperto il mio vecchio mac, quello fisso, che praticamente non lo uso più perché per collegarlo a internet ci vuole il cavo e col wi-fi il cavo non c'è e dovrei usare una chiavetta, che il professore me l'aveva anche presa ma non funzionava, e mi sono messa a leggere delle vecchie lettere datate tipo 2002, e boh, poteva essere ieri.

domenica 3 maggio 2015

no, per dire

ho aperto il blog di paolo nori e c'è un lunghissimo post sul libro di marie kondo sul magico potere del riordino, che se c'è qualcuno che legge i miei post forse si ricorderà questo

in cui dicevo, appunto, che questo libro mi faceva paura, ed è la stessa cosa che ha detto paolo nori. così, per dire.
 beh, ovviamente ha detto molte altre cose.

think pink 10 - bebe



hai dodici anni, sei una promessa della scherma italiana, hai già fatto le prime gare.
ti prendi una malattia orrenda e ti svegli che ti hanno tagliato braccia e gambe. ti fanno delle protesi speciali per le braccia e cominci daccapo a fare quello per cui sei viva. beatrice detta bebe vio è campionessa mondiale di scherma su carrozzina, ha diciotto anni e adesso ha scritto un libro.
l'altro giorno al tg3 veneto hanno mandato un servizio, iniziando con la prefazione di jovannotti al suo libro, che si intitola  come un verso di una delle sue canzoni, 'mi hanno regalato un sogno', che messo qua fa già un certo effetto, ma a me la cosa che mi ha fatto piangere di più è stato quello che beatrice ha detto sul fatto di scrivere un libro, un'autobiografia, l'ha detto continuando a gesticolare, che io non avevo ancora scoperto che sono delle protesi, sorridendo su una faccia che sembra abbia appena avuto un frontale con l'asfalto, invece è che la necrosi che l'ha colpita dopo la meningite le ha pure rovinato la faccia. tutti stanno lì a scrivere il libro sulla loro vita, mentre lei, questa vita che altri avrebbero maledetto, la vuole solo vivere contando i giorni che le sono dati come dono. ho trascritto il pezzetto dell'intervista:
non volevo (scrivere il libro) perché dicevo che non avevo niente da dire, cioè, chi mi bada, secondo me, non ha senso che una persona, così, dal nulla, che parla sì della sua vita, ma chi se ne frega, chi vuol sapere della mia vita, no?, dicevo facciamolo dopo le olimpiadi (di rio, a cui si sta preparando) così riusciamo a fare qualcosa di più, riusciamo a raccontare un'esperienza importante, invece hanno detto no dai, fallo subito e poi semmai ne fai un altro...
è stato talmente lungo fare questo che basta!
il video si trova qui dal minuto 17 e 20, circa