giovedì 3 luglio 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 3


In bocca a Tancrède, nel suo esaustivo inventario, manganello era una parola al tempo stesso chiara e indistinta: eravamo ancora nell'ambito dell'idealismo oggettivo!
In seguito, ad Auxerre, nella città della Gestapo, parole e cose divennero più concrete. Imparai presto a  distinguere la realtà materiale dei differenti modelli di manganello.
(...) 
Senza dubbio è sempre meglio sapere che cosa ci aspetta, a che cosa si va incontro. Senza dubbio è meglio sapere, non farsi illusioni. Ma non è questo il punto, perché il corpo, il corpo non sa. Il corpo non può conoscere a priori, prevenire l'esperienza della tortura. Neanche il corpo che ha conosciuto la fame e la miseria ha quest'esperienza, è in grado di anticipare carnalmente quest'esperienza: la tortura è imprevedibile, imponderabile nei suoi effetti, nelle sue devastazioni, nelle conseguenze che lascia sull'identità corporea.
Non c'è modo di prevedere, né di premunirsi contro una possibile rivolta del corpo, che sotto tortura pretende ottusamente -  bestialmente - dalla vostra anima, dalla vostra volontà, dal vostro ideale del Sé una capitolazione incondizionata: vergognosa ma umana, troppo umana.
Di inumano, di sovrumano c'è invece l'imporre al proprio corpo una resistenza senza fine alla sofferenza infinita. L'imporre al proprio corpo, il quale aspira soltanto alla vita, fors'anche svalutata, miserevole, trafitta da ricordi umilianti, la prospettiva liscia e glaciale della morte.
La resistenza alla tortura, anche se alla fin fine è sconfitta - e, a prescindere dal calcolo del tempo, si tratta di ore, giorni o settimane -, è nel suo complesso satura di una volontà inumana, o meglio sovrumana, di superamento, di trascendenza. Perché abbia un senso, una fecondità, nella solitudine abominevole del supplizio bisogna postulare un al di là dell'ideale del Noi, una storia comune da proseguire, ricostruire, reinventare senza interruzione. La continuità storica della specie, in quel che contiene di umanità possibile, sulla base della fraternità: né più né meno.
Perciò quando Tancrède smise di parlare, io sapevo quasi tutto sui metodi della Gestapo, sapevo quale prova mi attendeva, ma non potevo ancora immaginare in quale misura questa esperienza potesse toccarmi, fors'anche cambiarmi. O distruggermi.
Non lo si può sapere prima.

Jorge Semprun, Esercizi di sopravvivenza, pp.24-26

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