Hai notato il suo berretto? - mi domanda Otto qualche istante dopo.- Sì, un berretto dell'NKVD! Nikolaj è molto orgoglioso di indossarlo. Un berretto da ufficiale delle unità speciali della polizia...- Così, - mi interrompe Otto, - senza cambiare il berretto potrebbe cambiare la situazione: invece di essere deportato in un campo nazista potrebbe essere guardiano in un campo di concentramento sovietico.Sento un freddo glaciale circondarmi le spalle.- Che vuoi dire, Otto?- Quello che dico: ci sonlo campi di concentramento in URSS...Mi rivolgo a lui.- Lo so... Ci sono scrittori che ne hanno parlato...Gork'kij ne parlò a proposito della costruzione del canale del Mar Bianco. Lì mandano persone comuni a lavorare, a lavorare per rendersi utili, invece di marcire stupidamente in galera. Campi di rieducazione per mezzo del lavoro...Mi rendo conto di avere appena pronunciato una parola fatidica del vocabolario nazista: Umschulungslager, campo di rieducazione.Otto sorride.- Proprio così...Unschulung. E' la mania delle dittature, la rieducazione! Ma non voglio discutere con te: hai deciso di non volermi capire. Posso presentarti un deportato russo, un tipo in gamba. Un raskol'nik davvero, un «vecchio credente». Un testimone, non solo di Cristo... Lui ti racconterà cosa succede in Siberia.- La conosco già la Siberia - gli dico rabbioso. - Ho letto Tolstoj, Dostoevskij...- Quelli erano i penitenziari zaristi. Il mio raskol'nik ti parlerà dei penitenziari sovietici.- Senti, - gli dico, - ho un appuntamento importante,a desso. La prossima volta mi racconti tutto.(...)(Otto) la domenica successiva mi aspetta accanto al pagliericcio di Maurice Halbwachs.- Lui non ti vuole vedere - mi dice dopo una lunga esitazione.. Non vuole parlare con un comunista . dice rapidamente.(...)Mi sentivo sconcertato, e pure indignato.. Non gli hai detto che si sbagliava? Non l'hai tranquillizzato? Cosa gli hai detto?Scuote la testa e mi posa una mano sulla spalla.- Che probabilmente tu non gli crederesti. Ma di tenertelo per te, di non parlarne con nessuno. (...)Mi ha pregato di dirti che non è una questione di coraggio. Ma che è inutile parlare con chi non vuole ascoltare, nemmeno sentire. Verrà il giorno in cui ci vedrai chiaro, lui ne è sicuro.Siamo in piedi, ora silenziosi, appoggiati alla branda di Maurice Halbwachs.W' vero che non avrei voluto sentire il raskol'nik, che non avrei voluto ascoltarlo. Per essere del tutto sincero, credo in qualche modo di essermi sentito sollevato davanti al rifiuto del vecchio credente. Il suo silenzio mi avrebbe permesso di rimanere comodamente nella mia sordità volontaria.
Jorge Semprun, Vivrò col suo nome, morirà con il mio, pp. 109-111
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