venerdì 29 agosto 2014

la realtà supera sempre l'immaginazione 5 - buchenwald comunista

Nel marzo del 1992, quarantasette anni dopo, Jorge Semprùn torna per la prima volta a Buchenwald.

Una cosa mi aveva colpito, dopo aver sentito il brusio multicolore degli uccelliche avevano fatto ritorno sull'Ettersberg.
Cioè che, ai piedi del versante, non si vedeva più l'area del Campo Piccolo di quarantena. Che le baracche fossero state rase al suolo, come nel resto del recinto, non mi stupiva. Ma lo spazio vuoto non era stato conservato: la foresta era ricresciuta al posto del Campo Piccolo.
Esa ricopriva oramai il blocco 56, in cui avevo visto morire Halbwachs e Maspero. E si stendeva fino al blocco 62, in cui ero approdato il 29 gennaio 1944, e in cui avevo imparato a decifrare i misteri di Buchenwald. A scoprire i segreti della fratellanza. A guardare in faccia l'orrore irradiante del Male assoluto. La foresta ricopriva lo spazio in cui era sorto l'edificio delle latrine collettive, luogo di tanta libertà nel più remoto cerchio dell'inferno.
Solo più tardi avevo avuto la spiegazione di quel fatto.
Nel '45, solo qualche mese dopo la chiusura del campo nazista - gli ultimi deportati, degli jugoslavi, avevano lasciato quei luoghi, pare, nel giugno -, Buchenwald era stato riaperto dalle autorità di occupazione sovietiche. Sotto il comando del KGB, Buchenvald era ritornato ad essere un campo di concentramento.
Lo sapevo già, ero già a conoscenza di quel fatto.
...
Ignoravo, invece, il fatto che nei cinque anni in cui il campo stalinista ha funzionato - è stao smantellato nel 1950, all'epoca della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, sotto la quale fu fatto costruire quell'ignobile monumento commemorativo di cui ho parlato - migliaia di morti sono stati sepolti nelle fosse comuni, ai piedi dell'Ettersberg. La nuova foresta non copriva soltanto il vecchio campo di quarantena: copriva e nascondeva i cadaveri delle migliaia di morti, delle migliaia di vittime dello stalinismo.
Da un lato, quindi, su uno dei versanti della collina, un monumento di marmo maestoso e mostruoso doveva ricordare alla brava gente l'ingannevole, perché puramente simbolico, attaccamento del regime comunista al passato delle lotte antifasciste europee. Dall'altro, una nuova foresta lambiva le frontiere del comunismo per cancellarne la traccia nella memoria umile e tenace del paesaggio, se non proprio in quella degli uomini.

Jorge Semprùn, La scrittura o la vita, pagg. 278-280

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