sabato 16 febbraio 2013

io e le altre 2

stavo a un'altra festina di bambini, che poi io non so mai con chi parlare, a ste festine, un po' perché perché con la scusa che sono sempre la maestra di qualcuno, del fratello, della cugina, di entrambi, non sono come tutte le altre mamme, un po' perché sto diec'anni sopra l'età media delle altre, insomma, a ste festine non faccio che mangiare, se va bene e c'è qualcosa di buono.
una mamma che conosco mi fa: ma tu glielo fai fare il corso di musica? volevo dirle: vuoi che non gli faccia fare il corso di musica ai miei figli, che se potessi glielo farei fare dalla mattina alla sera, soprattutto imparare a cantare, che non glielo insegna più nessuno, a cantare, ai bambini... comunque ho detto: sì, ho già pagato. ah, ecco, perché qua pare che non lo faccia nessuno, saremmo solo io e te, dicono che costa troppo (22 euro), stanno sempre a chiedere soldi...
io mi sono guardata intorno.
stavano tutte in tiro, con la piega e il colore perfetto, le unghie finte e pittate, le scarpe nuove, la giacchetta trendy. prima mi sono un po' incazzata, guardando me. poi è prevalsa la pena.

giovedì 14 febbraio 2013

il sistema linfatico 1

ci sono delle cose nella vita che inaspettatamente ritornano, come se si chiamassero l'una con l'altra, quasi fossero rivoli carsici che continuano la loro esile corsa e ogni tanto emergono, e tu ti chiedi se sono coincidenze, e invece sono il sistema linfatico della tua esistenza.
quando frequentavo il corso di teoria e metodologia generale della letteratura, che era una materia ritenuta secondaria e invece secondo me dovevano farlo obbligatorio più della letteratura italiana, propedeutico, per usare un termine accademico, beh, comunque io l'ho seguito, e lo teneva il prof mario andrea rigoni, che infatti adesso che è diventato più importante di allora non lo fa più, fa letteratura italiana, adesso, e invece ti dovevi tenere quello, mario andrea, eri figo, e tanto, ma lo sapevi e questo è il tuo vulnus, dovevi fare come il tuo maestro vincenzo detto enzo turolla, che per una vita ha fatto il suo corso di storia della critica, alle sei di sera, le cinque il venerdì, che non c'era più nessuno al maldura, solo noi sette otto fedelissimi, in quell'auletta piena del suo fumo di malboro, che lui faceva lezione come se parlasse a gente come lui, un'esperienza incredibile, e poi se ne andava a prendere il treno per venezia con due o tre libri in una busta di carta, ho saputo che è morto, e nell'occasione ho scoperto anche che era molto amico di quello dell'adelphi, come si chiama, calasso, beh, insomma, quando frequentavo il corso di teoria e metodologia generale della letteratura, non mi ricordo neanche più come è venuto fuori, ma è venuto fuori il nome di brodskij.
che io manco l'avevo mai sentito nominare, prima, anche se gli hanno dato il nobel nell'87. e mi sono letta un sacco di cose, e ne ho imparate anche di più. per esempio che gli ebrei in URSS avevano il timbro di ebrei sul passaporto.
che uno pensa che festeggiamo il giorno della memoria proprio il giorno che l'armata rossa ha liberato oswiecim, ma come è possibile che gli mettessero il timbro? eppure glielo mettevano.
ecco, adesso paolo nori ogni tanto lo cita, brodskij.
fondamenta degli incurabili, il prossimo prestito in biblioteca.

martedì 12 febbraio 2013

sanremo

io, sanremo, ho delle care amiche simpatiche e intelligenti e tutto che non se ne perdono uno, ma io non lo guardo mai. e non è perchè sono snob. è che la musica pop italiana, in generale, non mi ha mai interessata, più di tanto.
stasera che non c'era niente di che, di solito guardo ballarò e mi fa ridere crozza, son lì che cerco qualcosa e lo vedo che sta a sanremo, crozza, e mi fermo. sta lì con un mazzetto di finte banconote in mano, che non lo vogliono far parlare, stava facendo berlusca, I suppose, comunque lo contestano, e non è che sia uno, sono abbastanza da non farlo parlare, e deve venire papà fabio, dai su, fate i buoni, fatelo parlare, ma lui non gli viene la saliva, è terribile quando non ti viene più la saliva e devi parlare, io lo so perché agli esami mi succedeva sempre, sembravo handicappata, sei lì che biascichi e speri solo che ti dicano se vuoi andare a casa. perché non è che ti dicano: vuole un bicchiere d'acqua, no, ti dicono sempre se vuoi andare a casa. a me, almeno, lo dicevano.
un po' mi ha fatto pena, crozza, che mi sta simpatico. però, in effetti, che c'entrava? cosa c'entra la satira con la competizione canora, ma chiama un grande cantante, dei grandi musicisti...
anche da questo si capisce come la musica, nel nostro paese, valga ormai quanto, o meno, un pretesto qualsiasi. giusto qualcosa per scaldare l'ambiente, far compagnia.
che tristezza.

io e le altre 1

ieri vado a una festina di compleanno, e le altre mamme stanno parlando delle maestre.
sono tutte mamme in carriera, intelligenti, studiate, meritocratiche. mamme che vogliono il meglio, per i loro bambini.
vere mamme italiane.
so che stanno recriminando sulle maestre. chiedo spiegazioni.
'adesso, se i genitori non si accorgono che il loro figlio ha finito i quaderni di riserva, che stanno a scuola, il foglio che hanno fatto a scuola non può più essere incollato, deve essere ricopiato sul quaderno nuovo!' mi dice una, come dire: ma ti rendi conto???? non è una cosa assurda?? fare due volte lo stesso lavoro, e non per colpa sua!!!
sono d'accordo, come mamma e come maestra, le rispondo.
mi guarda con un'espressione e un sorrisetto sarcastico come dire: ah, beh, allora, inutile parlare.
avrei dovuto dirle: scusa, è che sto con zeman, da sempre.
ma mi avrebbe guardato come dire: cazzo stai dicendo? e allora niente, dico che io ai miei figli la fatica gliela faccio fare, che è sempre meno di quella che abbiamo fatto noi, sempre meno di quella che hanno fatto i miei, che mio padre che è ingegnere si ricorda i verbi irregolari greci che io manco all'esame di maturità li sapevo. stiamo allevando generazioni di deficienti, senza sogni, senza desideri, meno che meno quello di sapere, di capire.
colpa nostra, naturalmente.

sabato 9 febbraio 2013

esemplari di una specie in via di estinzione 6 - Alessandro (post riveduto e corretto)

una volta ho trovato su linus la lettera di uno che parlava dei rapporti tra uomo e donna in un modo che mi piaceva. era un annuncio epistolare, e siccome io dovevo assolutamente smettere di scrivere lettere a uno che non so neanche se le leggesse, gli ho risposto. in realtà era tutto un misunderstanding, perché quando lui parlava di complicità, di gioco ecc., si riferiva al s/m. comunque, mi è arrivato un pacco di non so quanti fogli, tipo sedici, scritti tutti a mano in piccolo, dentro a una busta fantastica con un disegno fatto da lui.
le date non sono mai state il mio forte, ma saranno vent'anni che ci conosciamo. non credo che le nostre strade potrebbero essere più lontane (per es., lui scrive su una nota rivista musicale, io no, a me mi chiamavano suora, a lui no), eppure io lo conosco come conosco i miei fratelli, anzi: di più. ci sentiamo una volta l'anno, per il suo compleanno, e sembra sempre che ci siamo sentiti ieri, e basta un cenno, una parola, o anche mezza. lui sa che capisco, e anch'io.
avrei bisogno di parlargli, non so, oggi mi è venuta la nostalgia di un sacco di persone, potrei anche chiamarlo, al fisso, che il cellulare non ce l'ha, ma non ho nessuna scusa, e non funzionerebbe.
il bello sarebbe uscire di casa, e trovarsi da qualche parte a fare una chiaccherata. 
che potremmo andare avanti delle ore.

mercoledì 6 febbraio 2013

idee

quando ho scritto il post sulla neve, ho cominciato a pensare al fatto che a molta gente, sta storia delle idee, piace proprio. 
cioè, a  molti piace l'idea, di una cosa, o di una persona, più che la cosa o la persona stessa.
così poi non ci pensano più. passano semplicemente da un'idea all'altra. 
io non ci riesco.
ho cominciato a pensarci perché dopo la neve c'è stata la giornata della memoria, e tutti a parlare degli ebrei, e i film sugli ebrei e i libri e i viaggi della memoria.
ma a me pare che, in generale, alla gente gli ebrei stiano parecchio sulle scatole.
che a me, invece, gli ebrei mi piacciono proprio.
per una serie infinita di motivi, tra cui forse il primo è che sono pochi. e che stanno sulle palle ai tanti. 
mi piace la musica, degli ebrei, e le loro storielle e la loro letteratura. e la loro storia di popolo eletto e e perseguitato.
per esempio.
ma vale per tante altre cose. che ne so, andare al cinema. vasco rossi. il doctor house. la montagna. 


ma l'amore che cos'è 7

uno una volta mi ha detto: se ci lasciassimo, io non saprei più con chi parlare.
non male direi, no?

martedì 5 febbraio 2013

ARTICOLO 3

a me la storia che la repubblica italiana è fondata sul lavoro non è mai piaciuta.
però devo dire che l'articolo tre, paragrafo due:
 È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese

è stato e resta per me una gran bella motivazione, per insegnare nella scuola pubblica. compito ignorato e disatteso, anzi, al momento si può dire irraggiungibile.
certo, se facevano a meno di scrivere 'di tutti i lavoratori' era meglio. 'cittadini' bastava.
anzi:  'tutti', e basta.


gli anni

Gli anni 

 È uno sbaglio, che non debbano capire che è uno sbaglio, 
che lo fanno anche gli uomini, non lo fanno solo le donne, 
di calarsi gli anni, io ne ho conosciuto più d’uno, 
non vogliono invecchiare, e credono, che invece così è peggio, 
tutto l’opposto bisogna fare, non ci arrivano, 
invecchi meno se te li aumenti, gli anni, io anche da giovane, 
quando avevo trent’anni, 
«Quanti anni hai?», «Trentacinque», «Porca masola, già trentacinque? Non te ne davo nemmeno trenta», 
nemmeno trenta, meno di trenta, hai capito?
 Se te li cali tu è una bugia, gli anni 
te li devono calare gli altri, 
calarteli e farti i complimenti, 
adesso io ne ho sessantuno, 
e dico sempre che vado per i sessantanove, 
che rimangono, tutti: «No, davvero? Ma va’ là, 
sessantanove? Hai una faccia, te ne darei 
a dir poco, dieci di meno, anche dieci dodici», 
in modo che raggranelli due tre quattr’anni, 
poi c’è da fare un altro discorso, che pare così, 
ma se sono sessantuno e dici che sono sessantanove, 
sono otto anni che hai ancora da campare, 
ma siccome hai detto che li hai campati, 
sono otto anni che, in un certo senso, 
ci hai messo una mano sopra, 
è, come si può dire?, una prenotazione, 
sempre in un certo senso, 
ma per tornare al discorso di prima, io 
voglio fare un esempio che non sta in piedi, 
una cosa esagerata, 
che non si può, che è da ridere, ma si fa per parlare, 
metti che tu abbia settant’anni, 
ti domandano «Quanti anni hai?», e tu rispondi: «Novantadue», che l’altro rimane: «Ehi, 
mi prendi per il culo?», «Ne ho novantadue», 
«Non ci credo», «E non crederci», «Porca paglia, 
a novantadue anni, ma sei un ragazzo!», 
ecco, quel che voglio dire, io, che l’ho detto, 
l’ho detto fino adesso, però capsico, 
sì, è una cosa che, in un primo momento, 
uno può dire: come, già che ne ho tanti, 
e me li devo anche crescere? Pare che non stia in piedi, 
invece è una cosa che non sbagli, 
non puoi sbagliare, parlo per esperienza, 
ma poi ci vuol poco a far la prova, prova, 
prova anche tu, vogliamo scommettere? Arrivi, 
si fa sempre per dire, che a settant’anni / addirittura puoi diventare un ragazzo. 

Raffaello Baldini, da 'Intercity
grazie a paolo nori, che l'ha pubblicata qui 

italiacano 1

oggi in macchina ho visto un cartello di un micronido che l'hanno chiamato BIRICHINOPOLI.
poi mi sono fermata al distributore, e sull'insegna del bar hanno scritto VINOTECA.

domenica 3 febbraio 2013

ma l'amore che cos'è 6 - ekeloa

quando ero piccola e mi chiedevano cosa vuoi fare da grande, io dicevo la scienziata.
james hillman sostiene che i bambini piccoli sanno esattamente cosa vogliono fare, è che poi la vita li porta li porta spesso da tutt'altra parte.
ecco, c'è una giovane blogger che si chiama paola che io quando ho letto un suo post sulle borsette che si cuce per separare le varie cose in valigia pensavo che avesse cinquant'anni, non tanto per l'idea, che comunque ho trovato fantastica, ma per il fatto che ogni volta che andava in vacanza si cucisse queste borsettine, per la sistematicità che io a quarant'anni suonati mi sogno ancora, e poi per il modo di scrivere, che io di sti blog di crafts, cucina, maglia e affini, ne frequento parecchi, e se da un lato le trovo quasi tutte bravissime, non posso dire altrettanto della loro scrittura. paola è diversa.
insomma vado a vedere il suo blog e scopro che ha 25 anni. e che, da piccola, voleva fare l'astronauta.
io ho letto quello che ha scritto, e quello che le scrivono quelle che la seguono. e siccome a me succede spesso una cosa, che certe persone, io, anche se non le conosco affatto, cioè non ci ho mai parlato insieme, non so neanche che faccia abbiano, a volte, beh, sento come se le conoscessi da sempre, ecco, e mi è successo anche con paola, e vorrei tanto dirle che io l'ho capita, vorrei dirle quanto la stimi, anzi, gliel'ho pure detto, ma non sono riuscita ad andare oltre.
paola sa il giapponese e altre lingue, è veramente brava a lavorare a ferri e ne ha fatto la sua professione, aveva anche aperto un negozio di comics che sono un'altra sua passione, ed è pure una geek, anche se lei pensa di essere una nerd, quindi il suo blog è bello, è fatto bene, funziona.
era un po' che non ci passavo e i primi giorni dell'anno ha scritto che è successa una cosa molto triste, anche se non è un lutto, che l'ha però ridotta a pezzi.
lei vive con uno che secondo me non l'ha capita, e questo è brutto.
perché l'amore per me, è soprattutto questo: sentire che qualcuno ti ha capita e, per questo, o nonostante questo, vuole viverti accanto.


domenica 27 gennaio 2013

oswiecim

come ho già detto altre volte, la cosa per me più impressionante di oswiecim, alias auschwitz, sono le grandi teche del museo in cui sono ammassati gli oggetti sequestrati ai prigionieri. perché le baracche, i vialetti, perfino il cancello, senza il fango e l'odore di carne bruciata e di morte, non ti dicono niente di vero. ma quelle teche, gigantesche scatole di vetro con le loro laconiche didascalie, quelle sono lì, a parlare per i loro proprietari.
7 tonnellate di capelli di donna.
montagne di scarpe.
occhiali.
valigie.
spazzole.
gambe di legno.
non si può capire. capire è comprendere, e quindi un po' giustificare, come diceva primo levi.
non si può, non si deve capire.
io, almeno, non posso.





sabato 26 gennaio 2013

ritrovamenti

ieri sera siamo stati alla 'scuola tra genitori' organizzata alla scuola materna di bruno e antonio.
prepara la cena, pulisci la stanza dei bambini che fa vomitare mentre aspetti la baby sitter, spiega alla baby sitter le cose da spiegare, parti, parcheggia e via.
ad un certo punto una mamma che sta una fila più avanti della nostra pone la questione delle discussioni tra genitori davanti ai bambini. io non credo ai miei occhi, anzi: alle mie orecchie: la risatina di maria la riconoscerei tra un milione. a volte sembra che pianga, mentre ride.
ci siamo conosciute a padova, nel collegio che ci ospitava durante l'università.
era di valdagno, aveva fatto il mio liceo, anche se è in un bel po' più giovane di me, ma non ci eravamo mai incontrate.
e non so, a pensarci bene, cosa avessimo in comune, a parte il segno zodiacale.
ma ci siamo riconosciute subito. forse perché, in un modo molto diverso dal mio, anche lei è un'anticonformista.
e a pensarci, che non ci penso mai e mi pare sempre che sia ieri, sono vent'anni che ci conosciamo.
la sapevo single e in una città lontana abbastanza lontana da non fare la pendolare.
la ritrovo accoppiata e con un figlio di tre anni, nella stessa scuola materna dei miei...
 non so per lei, ma per me è stato un momento veramente bello, pieno di ricordi e di promesse, e avrei voluto poterci fermare, e raccontare e ascoltare e sentirla di nuovo ridere e piangere insieme...
chissà. la vita, a volte, ti fa delle sorprese.
e stasera sono finalmente riuscita a parlare con la mia amica paola, che ho conosciuto quando mi sono trasferita a paso corese. è stata la prima collega con cui ho parlato. un'umanità traboccante, una donna generosa come nessuna, una madre e un'insegnante che si gioca sempre tutta, e quasi sempre vince. per me è stata una maestra di scuola e di vita, un'amica come quelle che ti fai da bambina, ma col cuore già grande.
era da tanto che non ci sentivamo, a natale quest'anno non ho chiamato neanche lei.
e mi racconta che suo fratello più grande ha avuto un incidente grave, sta in coma, lei con la scuola e le bambine  avanti e indietro dall'ospedale, dal trenta dicembre...
e mi dice tutta la stanchezza, l'amarezza e la rabbia per un medico insensibile, le fatiche, e finiamo a parlare di scuola e di figli e di cose prestate da prestare di nuovo a un'amica che avrà un figlio... che lei, di cose, me ne ha prestate davvero tante, e io, l'unica cosa che ho potuto fare è stata farmele prestare.
grazie, amiche.



lunedì 21 gennaio 2013

neve

quelli che dicono: bella la neve, ma in montagna! a quelli non piace la neve, a quelli gli piace l'idea, della neve.
a me, invece, la neve mi piace proprio. perché delle neve, a me, piace tutto. 
non occorre l'ombrello, con la neve, basta un bel cappello, che prima di entrare in casa lo togli, e gli dai una sgrullata e lo metti ad asciugare vicino alla stufa, se hai la fortuna di averne una, o sul termosifone. mi piace anche spalarla, la neve, e fare una fatica che ti passa tutto il freddo, e poi riposarmi e bere qualcosa di caldo con quella spossatezza che sa di buono, anche se adesso purtroppo poi mi resta il mal di schiena per una settimana, e mi è piaciuto anche stare sotto la neve che cadeva a bufera, mentre mauro metteva le catene, e poi fare il pezzettino di strada a piedi per  tornare a casa, con la neve ghiacciata addosso che poi avevo dei boccoli come melania in via col vento, e mi piace lo scricchiolìo della neve sotto le scarpe, e mi piace fare come fanno i cani, aprire la bocca e sentire i fiocchi gelati che si sciolgono sulla lingua...
ma soprattutto mi piace il silenzio della neve, il bianco che assorbe tutto e ti riempie dentro e copre anche i rumori.
che io, il casino, non lo sopporto proprio più.

sabato 19 gennaio 2013

scuola aperta

stamattina avevamo organizzato la 'scuola aperta', per mostrare ai bambini  che l'anno prossimo andranno in prima e ai loro genitori la nostra scuola.
io avevo organizzato un piccolo laboratorio di lettura animata.
alla fine della storia, mentre il gruppetto usciva per cambiare aula, un piccolo bambino uscendo ha aperto le braccia come per abbracciarmi e mi fa:
io voglio venire con te...

domenica 13 gennaio 2013

pregiudizi 2 -il vero pregiudizio

riporto per intero l'articolo di carlo cardia pubblicato su Avvenire del 12/1/13

Per esperienza comune di ogni essere umano, la nascita di un bambino scaturisce dall’unione tra un uomo e una donna e comporta la cura e l’allevamento da parte dei genitori. Nei genitori, e attraverso i genitori, chi viene alla luce realizza il primo contatto con la realtà e fruisce della essenziale diversità e complementarietà tra il padre e la madre i quali lo fanno crescere e lo introducono nel più vasto orizzonte degli affetti, dei sentimenti, delle relazioni personali, dandogli sicurezza, solidità, capacità di esprimere sé stesso, realizzarsi pienamente.

Questa primordiale relazione tra genitori e figli è tutelata dalla Convenzione sui diritti umani e dalla nostra Carta Costituzionale. Per l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 il «fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi», mentre la Costituzione italiana oltre alla celebre formula dell’articolo 29 per la quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» aggiunge che «è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli».

Per la prima volta in Italia, una sentenza della Sezione civile della Cassazione afferma che questi principi che ciascuno di noi vive e sperimenta nella famiglia d’origine, e nelle relazioni con i propri figli sono frutto di un «mero pregiudizio», e che non è affatto necessario per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia composta da madre e padre, essendo tale considerazione non fondata su «certezze scientifiche o dati di esperienza».

Al di là del caso specifico affrontato dalla sentenza, e dai suoi risvolti giuridici, questa è l’affermazione di principio che ha permesso poi di affidare un bambino alla madre che aveva avviato una relazione omosessuale con altra donna. Tralasciamo per il momento il fatto, già gravissimo, che la sentenza della Cassazione mette da parte formulazioni legislative del più alto livello, internazionale e costituzionale, che parlano del diritto del bambino ad essere curato e allevato dai genitori. Soffermiamoci invece sul punto più sconvolgente della pronuncia, quando considera il bambino come soggetto manipolabile, attraverso sperimentazioni che sono fuori della realtà naturale, biologica e psichica, umana, e che non si sa bene quanto dovrebbero durare.

La pronuncia lascia stupefatti quando cancella tutto ciò che l’esperienza umana, e con essa le scienze psicologiche, ha elaborato e accumulato in materia di formazione del bambino. Il quale, privato artificiosamente della doppia genitorialità, vede venir meno la dimensione umana e affettiva necessaria per la crescita e il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane, sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto con il padre e la madre. Siamo di fronte ad una concezione che attinge il suo humus culturale alle forme illuministiche più primitive, nega ogni preziosità dell’esperienza umana, e ritiene che anche per la dimensione della paternità e maternità il genere umano possa ricominciare daccapo, perché l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca e in tutti i Paesi del mondo.

Si intravede in questo modo un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esistenza che condiziona per sempre la crescita successiva. Il bambino non è oggetto da utilizzare o manipolare con sperimentazioni estranee alla sua propria dimensione familiare, ma è persona con diritti originari che devono essere tutelati e garantiti dalla società e dalle leggi che lo governano.

Dobbiamo essere sinceri, e riconoscere che siamo di fronte al pericolo reale che si rechi un grave vulnus a quanto di più prezioso l’umanesimo religioso e di ogni tendenza laica ha realizzato sino ad oggi, che riguarda la cura e la tutela delle nuove generazioni per un futuro sempre più umanizzato della società.

pregiudizi 1

anche oggi, alla festa annuale del mio coro parrocchiale, ci siamo ritrovati a parlare della sentenza della corte di cassazione che ha affidato un bambino a una coppia omosessuale composta dalla madre, ex tossicodipendente, e  una delle operatrici della comunità di recupero dove si è disintossicata, con cui ha iniziato una relazione, invece che al padre. la cosa che mi aveva colpito moltissimo era stato sentire, alla lettura della sentenza, che il considerare 'a priori' una coppia omosessuale inadeguata ad allevare un bambino sia un mero pregiudizio. cito da un articolo di Tempi
La Cassazione, con la sentenza n.601 depositata oggi, ha bocciato il ricorso, sottolineando che “alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza”, ma solo “il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale”.
In tal modo, osservano i giudici di “Palazzaccio”, “si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino”.
a PrimaPagina, il programma di lettura delle prime pagine dei quotidiani di radiotre, questa settimana c'era un giornalista di famiglia cristiana.
e tutti a telefonare per dire che i cattolici devo pensare ai cazzi loro,  eccetera.
anche ieri mattina, una telefona per dire che questi omosessuali stanno semplicemente lottando per i loro diritti.
per fortuna, il giornalista ha detto semplicemente questo: essere genitori non è un diritto. essere genitore non è un diritto. essere genitore non è un diritto. essere genitore non è un diritto... (la ripetizione è mia). esiste solo il diritto di un bambino ad avere dei genitori.
l'altra obiezione della signora suddetta era che la costituzione non dice che la famiglia è fatta da un uomo e una donna. ma se nella costituzione c'è scritto che la famiglia è una società NATURALE, tu cosa capisci?
per non parlare di quell'altra stupidissima obiezione che ho sentito decine di volte, che un sacco di persone sono cresciute con un genitore solo, o con persone che non erano i suoi genitori, per esempio i nonni, o uno zio, una zia, e sono persone felici e realizzate, alternata all'altra cazzata che un sacco di coppie etero non sono assolutamente in grado di allevare un figlio, continuano a litigare, si ammazzano anche (invece gli omo no, loro solo sanno cos'è il vero amore!!!), e i figli sono traumatizzati... sarebbe come dire che l'eccezione invalida la regola, come dire che siccome uno che non è un dottore ha curato benissimo un malato, allora non occorre essere dottori per curare le persone, e siccome un sacco di dottori fanno morire i loro pazienti, allora è meglio farsi curare da uno che non è un dottore, visto che tanti dottori veri fanno tutti quei danni...
un sacco di opinionisti hanno affermato che la sentenza ha voluto tutelare l'interesse del bambino.
anche ammesso questo, ammesso che la libertà di genere ( la libertà inizia con la libertà di genere, ho sentito dire una volta da uno di Rifondazione comunista: tu devi essere libero di scegliere, nei vari momenti della tua vita, che genere sei...) della madre non vada a ledere la libertà del bambino, ma perché cavolo sti giudici della cassazione hanno voluto aggiungere che quello che pensano le persone comuni, quello che è da sempre sotto gli occhi di tutti, ossia che i figli nascono da un uomo e una donna, e quello che la psicologia da decenni -secoli, ormai- sostiene, ossia che la persona si forma a partire dal confronto con la madre e il padre, che questo, dicevo, sia un mero pregiudizio, una cosa che si dà per scontata e che invece va provata? ma perché???
e io continuavo a pensare all'articolo che ho sentito l'altro giorno a pagina tre, un'intervista al  filosofo e teologo Spaemann, sul pilatismo della società moderna. ma devo leggere qualcosa di più, prima.
poi ho trovato questo articolo di Avvenire, che ricopio in un post a parte perché se metto solo il link ho paura che poi sparisce, e invece questo è proprio quello che penso io. spero che carlo cardia, che l'ha scritto, non venga a chiedermi i diritti, nel qual caso lo toglierò subito.

domenica 6 gennaio 2013

figli

eh, i figli ti fanno crescere, mi ha detto la mia amica l'altro giorno. e poi: una coppia di amici è stata sincera: noi siamo più egoisti. è così, mi ha detto ancora, non credi? che dici?
ah, io non dico niente, le ho detto. una volta dicevo tante cose, credevo di sapere tutto e non avevo capito niente. allora sto zitta, che è meglio.
conosco tante coppie senza figli. e anche con i figli. ma che ne so io di chi riesce veramente ad amare? amare davvero una persona sola, per tutta la vita, non credi che sia già una cosa stupefacente, wilma?
una mattina mi sono trovata in cortile con diverse colleghe, tutte con marito e figli, a parlare di matrimonio, di mamme che, separate, hanno fatto subito un altro figlio e tutte, ma tutte tutte, hanno detto: no, non lo rifarei.
sentirsi chiamare mamma, sapere che per un piccolo essere tu sei tutto, è una cosa stupefacente e impagabile. ma neanch'io, credo, lo rifarei. perché è troppo, troppa fatica, troppa sofferenza. 
e che io non mi posso lamentare di niente, io sto bene, ho tutto quando c'è chi non ha niente, non ha la salute del corpo e dello spirito, io ho una famiglia, ho amici, ho un lavoro, ho tutto e troppo.
conosco una che al quarto figlio si è fatta legare le tube. poi il figlio è morto, aveva una patologia al cuore. adesso vorrebbe fare l'inseminazione artificiale.
chi è egoista, cosa vuol dire?
 e quelli che sentono i figli come una loro appendice, e allora guai se i figli fanno cose sbagliate perché sennò fanno brutta figura loro, e la cosa che gli preme è che nessuno sappia? chi è egoista?
e quelle che mi dicono: eh, se avevi una femmina, lei sì che ti stava vicino quando sei vecchia, ma i maschi... oppure: eh, adesso sono vecchi, se facevano un figlio, almeno avevano  qualcuno che li curava... e quelle che fanno un figlio ad ogni uomo che cambiano?
io non lo so. certo, i figli ti cambiano la vita. ma io non ho mai desiderato averne, davvero. mi piacciono le famiglie numerose, e pensavo che se mi fossi sposata, mi sarebbe piaciuto avere tanti figli. ma io sto istinto materno non l'ho mai avuto. tanto meno ho mai pensato ai figli come il bastone della mia vecchiaia.
i figli per me sono una naturale conseguenza del matrimonio. un effetto collaterale, oserei dire adesso.
che a volte, gli effetti collaterali sono la cosa migliore.
a volte...
giorgio era il più grande di sei figli. una famiglia semplice, povera, un padre disgraziato come ce ne sono tanti. giorgio aveva vent'anni ma era il sostegno della famiglia. era sempre in canonica, era un ragazzo buono.
si era appena rifatto i denti, era felice, quando una pianta gli è caduta addosso, nel bosco.
ecco, io giorgio lo conoscevo. era uno dei grandi della mia compagnia, quando avevo sedic'anni. era il migliore. sono trent'anni che è morto, ma me lo ricordo come fosse ieri, quando me l'ha detto, la mia amica, e piangeva.
antonio, il secondo fratello, è morto quest'anno la vigilia di natale. era rimasto invalido dopo un incidente e da qualche tempo non riusciva neanche più ad alimentarsi da solo. la madre non sapeva se fargli o no la peg (che ti mettono un sondino direttamente nello stomaco) e pare pure che sia morto per soffocamento da un rigurgito di cibo...
il più piccolo dei cinque maschi fa il delinquente. sta dentro fuori dalla prigione. sono stata la sua catechista, anche.
vaglielo a dire a sua madre, che i figli sono una benedizione.
ecco, io non lo so, so che non c'è una via migliore, so che ognuno deve trovare la sua, e so che le ricettine prestampate non funzionano mai, nemmeno le migliori.
ecco, a me i figli mi hanno insegnato questo. che non è poco, a pensarci bene.


presepi

oggi dopo la messa dell'epifania c'era la premiazione dei presepi. quando vengono a cantare la stella, c'è una che raccoglie l'iscrizione al concorso dei presepi, sono cinque euro, e ti fanno la foto del presepio che quando c'è la premiazione mettono un telone e proiettano le foto dei presepi, e danno il quarto premio a tutti e a qualcuno il terzo premio e il secondo, e poi c'è il presepio vincitore. 
il presepe vincitore 2012
e c'è un sacco di gente che ogni anno si inventa chissà cosa per fare un presepe originale. con le bottiglie, coi tappi, coi vasetti dello yogurt...oppure con un significato simbolico, e ci scrivono su un papiro per spiegare il simbolo, ma allora non è più un simbolo, perché il simbolo metà ce l'hai tu e metà ce l'ha l'altro, e quando vi trovate, i due pezzi si incastrano, e si capisce tutto.
comunque, volevo solo dire che io, invece, faccio ogni anno lo stesso presepe. vado a raccogliere il muschio, quest'anno stava pure nevicando, e mi sono congelata le mani, e poi il muschio è rimasto nei sacchetti fino alla domenica prima di natale, e poi ho il cielo con le stelle, ma non di quelli che vendono adesso, ne ho uno di carta oleata che non ce l'ha più nessuno, che lo usava anche mia mamma quand'era piccola, mi sa, e faccio la capanna con dei pezzi di tronco e vecchi coppi, e ogni anno metto le statuine che ho comprato il primo natale a passo corese,  perché il natale è un po' tornare bambini, e i bambini amano le tradizioni, amano ripetere le stesse cose perché sono rassicuranti, e fa bene, ogni tanto, sentirsi al sicuro.

sabato 5 gennaio 2013

festa mobile 3

An early typed draft of the foreword to Chapter 17 of “A Moveable Feast,” with emendations written by Ernest Hemingway.

ecco, è finito.
ho letto il capitolo su francis scott fitzgerald, così disperatamente vero, e divertente, e tragico, e dopo pochi altri capitoli, che riguardavano in un modo o nell'altro sempre fitzgerald, e l'amicizia, e l'amore, la vita e la morte, e il libro è finito.
ieri sera alla radio ho sentito un pezzo di festa mobile che sembrava la fine, e speravo di no, e invece oggi ci sono arrivata, a quel pezzo lì, ed era proprio la fine. solo che alla radio c'era tutta una pippa sul rimorso, e, sulla mia edizione, quella pippa lì non c'è. allora scopro che quella che leggono a radiotre è l'edizione restaurata, con otto, ben otto capitoli inediti. devo averla.
adesso me la faccio arrivare da  amazon, che questa cosa che ti arrivano i pacchi dei libri a casa, come una volta, che si chiamava 'vendita per corrispondenza', che in tanti libri ho letto di questi che aspettavano con ansia i pacchi dei libri che li portava il postino, ma come si fa a comprare un libro senza averlo preso in mano, mi dicevo io, e adesso invece lo faccio, e questa cosa che ti arriva il pacco di libri, per me, ogni volta che arriva la scatola è una gioia, e una sorpresa insieme, che non sai mai com'è proprio il libro, se sarà grosso, e la carta liscia e bianca, che toccarla è come accarezzare qualcosa, oppure è quella carta ruvida e giallina, come il giornale ma più grossa, e se la copertina è bella o no, e cosa c'è dentro, soprattutto.