mercoledì 29 aprile 2020

fin che la barca va...



una volta, avrò avuto diciassette o diciott'anni, nella mia parrocchia si è fatta una 'missione'. le missioni, che adesso non si fanno più, consistono nel chiamare un predicatore, di solito un francescano di qualche tipo, o anche più di uno, che per una settimana fa delle catechesi ai parrocchiani, a volte anche nelle piazze, o andando casa per casa. La sera che toccava al gruppo giovani, io ci sono andata ed era appena morto un ragazzo, nella nostra scuola. era uno di quelli che sembra che non debbano morire mai. io non lo conoscevo, anche se aveva la mia età, se non di vista. ma al sabato era a scuola, e al lunedì era morto. meningite fulminante. la cosa mi aveva sconvolto.
chiedo al frate: ma com'è che Dio permette questo? 
e lui mi fa: cos'è che ha ucciso il tuo amico? il microbo. non è mica Dio che ha ucciso il tuo amico, è stato il microbo!
ora, io non lo so se il frate ci credesse veramente, spero di no per lui. io, comunque non ci ho creduto per niente. poi uno mi ha detto che questa domanda è una domanda ingenua. sarà.
però se mi succedesse adesso, saprei cosa dirgli, al frate: ma lei non crede in Dio, Padre ONNIPOTENTE???? o dice il Credo così, per abitudine?
perché delle due l'una: o crede in Dio ONNIPOTENTE, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose, visibili e, UDITE UDITE, invisibili, oppure no.
io ci penso anche quando stramaledico le zanzare, si figuri. e concludo  che sono creature demoniache, non nel senso che le ha create il demonio, che non potrebbe creare un bel niente, ma che le ha assoggettate al suo dominio, trasformandole in quegli esseri abominevoli che sono.
ecco. 
il frate, secondo me, avrebbe dovuto dirmi: cara laura, il male esiste, è qui, in mezzo a noi, è anche dentro di te, nel tuo cuore. il demonio esiste, e come leone ruggente si aggira tra noi, cercando chi sbranare. ma Gesù tornerà e sconfiggerà tutto questo, e l'ultimo male, il più grande, a essere sconfitto sarà la morte. lui ha già cominciato, e noi, che abbiamo la grazia di essere diventati suoi discepoli e fratelli adottivi per mezzo della croce che patì per noi, dobbiamo continuare come possiamo l'opera di redenzione dell'umanità. come, vuoi sapere? convertendo la nostra vita, ognuno la sua.
prendendo la nostra croce, ognuno la sua.
questo avrebbe dovuto dirmi il frate, e questo avrebbe dovuto dirci papa francesco, l'altra sera nella piazza san pietro deserta. altro che siamo tutti nella stessa barca. remiamo insieme, dai.
ma verso dove?????? verso la riva? ma quale riva? verso la salvezza?? ma quale salvezza???
speriamo, siamo solidali, siamo CREATIVI!!!
ma soprattutto: RESTIAMO A CASA. nei nostri divani, lo faccio anch'io, eh, sia chiaro, impoltronati come il papa davanti al corpo di Gesù.
se Dio, l'Onnipotente, avesse fatto quello che poteva fare benissimo, l'altra sera, squarciare i cieli e fermare il diluvio, rendere la notte giorno, sanare le ferite, perfino resuscitare quei morti portati via coi camion dell'esercito, che già mandano cattivo odore, come ha detto Marta a Gesù nel vangelo di oggi, ma credete che qualcuno avrebbe creduto? che avrebbe cambiato la sua vita?
ieri pomeriggio la mia chiesa, come ogni sabato, era aperta per la preghiera per un paio d'ore. sono entrata e ho letto il vangelo di oggi, Gv 11, 1-45 e mi sono fermata alle prime righe:
'QUESTA MALATTIA NON E' PER LA MORTE, MA PER LA GLORIA DI DIO, 
PERCHE' PER ESSA IL FIGLIO DI DIO VENGA GLORIFICATO'
ecco. se il frate mi avesse detto sta roba qua, quella volta, secondo me il padreterno sarebbe stato più contento, che metterlo sotto a dei microbi che neanche si vedono. magari l'adolescente incazzata con Dio che ero non avrebbe accettato questa spiegazione, ma almeno poi avrei saputo che vera. sarebbe stato più contento, il padreterno, che il papa dicesse preghiamo, convertiamoci, cambiamo il nostro cuore. questa malattia, questo dolore non è disperazione, non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché Lui, il salvatore tornerà, nella gloria, e la nostra gioia sarà piena, gioia senza fine alla sua presenza!!! salvaci, Signore, perché senza di te siamo niente!!! Avrebbe dovuto dire: uniamo le nostre sofferenze, il nostro dolore, anche le nostre morti, alle sofferenze, ai dolori, alla morte di Gesù crocefisso perchè con Lui anche possiamo risorgere!
altro che remare, ma cosa volete remare!!!!!!




martedì 31 marzo 2020

la vita, la morte, un prete



Il 2 ottobre 1968 a Città del Messico, l’esercito spara con le mitragliatrici su una manifestazione studentesca. I morti sono oltre cento, passerà alla storia come il massacro di Tlatelolco. 
Oriana Fallaci, arrivata dal Vietnam in Messico alla vigilia delle Olimpiadi, si trovava sulla terrazza di un grattacielo sovrastante la piazza per controllare al meglio le azioni fra manifestanti e forze dell’ordine. Da un elicottero piombarono su lei e gli altri giornalisti dei militari, parte in divisa parte in borghese, sparando all'impazzata. 

Ferita gravemente, fu creduta morta e portata in obitorio, dove un prete si rese conto che era ancora viva. 

La giornalista riportò tre ferite d’arma da fuoco ma si offrì di testimoniare quanto accaduto direttamente dal suo letto d’ospedale.


QUI il servizio dalle teche Rai

domenica 22 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 34 - un dieci


 Che cosa sono diventate, le due fate? Sicuramente, si saranno sposate. E' un atto così grave, quello di passare dalla condizione di fanciulla  quella di donna. Che cosa fanno, in una casa nuova? Che ne è stato, dei loro rapporti con le erbe elvatiche e con i serpenti? Erano coinvolte in qualcosa di universale.

Ma viene il giorno in cui nella fanciulla si sveglia la donna. Si sogna di assegnare, finalmente, un ≪dieci≫. C'è un ≪dieci≫ che pesa in fondo al cuore. Allora si presenta un imbecille. Per la prima volta quegli occhi così acuti s'ingannano, e lo illuminano di seducenti colori. Se quell'imbecille dice dei versi, lo si crede poeta. Si crede che egli capisca i pavimenti rotti, che ami le manguste. Si crede che lo lusinghi la confidenza a proposito di una vipera che se la dondola sotto la tavola, tra le gambe. Gli si dà il cuore, ch'è un giardino selvatico, a lui che ama solo i parchi ravviati. E l'imbecille s porta via la principessa, in schiavitù.

sabato 21 marzo 2020

Ognuno riconosce i suoi 33 - il vero lusso




La grandezza d'un mestiere sta forse, in primo luogo, nel vincolo che esso crea fra gli uomini: un solo lusso vero esiste, ed è quello dei rapporti umani.
Lavorando unicamente per  i beni materiali ci costruiamo da soli la nostra prigione. Ci rinchiudiamo, solitari, con la nostra moneta di cenere che non procura nulla di ciò che vale la pena d'essere vissuto.

domenica 8 marzo 2020

manie






tra le varie manie di cui come tutti sono afflitta, tipo buttare l'ultimo goccio di tè o caffè perché odio le bricioline dei biscotti spappolati, o tenere aperte duemila schede del browser perché  poi ci torno, mi potrebbe servire, devo scrivere una mail, e qua, e là, fino a quando non mi tocca spegnere il computer perché si è incriccato tutto e devo ripartire da zero, e in realtà non succede niente di grave, ho scoperto che ho anche sta mania qua: la clinomania.
non è che mi piaccia dormire. a me piace proprio stare a letto, ad ascoltare la musica o la radio, leggere, guardare le notizie o le chat, anche lavorare al computer. 
adesso ho scoperto che è una malattia, quindi che ci volete fare, è una malattia.

sabato 7 marzo 2020

SCRITTURE 2 - RESTARE

Risultato immagini per stay


E anche stasera ho perso 120mila euro, disse sorridendo mentre mescolava il risotto.
Le piaceva guardare il gioco a premi preserale, perché era un gioco di parole, e lei, con le parole, era brava.
Trovare la parola che lega, per libere associazioni, altre cinque.
Sasso, piedi, senza, fuori, male.
Facile, stavolta. La sua tecnica era prendere le due parole più lontane e stabilire un nesso tra quelle. Nella maggior parte dei casi funzionava, era quella la parola giusta.
E Stavolta era 'restare'.
Era la parola della sua vita.
Andava sempre via per ultima, alle feste.
E’ che non sopportava che le cose finissero.
Al corso di storia del cinema c’era la monografia su Truffaut, il prof era un coglione ma le era grata per sempre per averle fatto vedere quei film, e averle fatto conoscere lui, Truffaut, che non sempre è così, o forse è sempre così, i grandi sono grandi, un genio è un genio, e la bontà, come aveva detto Truffaut, forse è il segreto del genio, e forse era vero, aveva pensato lei, perché cazzo vuoi che gliene freghi, al genio, di essere cattivo, il genio è preso dalla sua genialità, comunque era solo per ricordarsi della frase che Truffaut fa dire al suo attore feticcio Jean Pierre Leaud: non mi piacciono (o non sopporto?) le cose che finiscono. Come i film.
Lei, uguale. Non finiva mai niente. L’università, per esempio.
Più che altro, non voleva essere lei, la causa della fine.
Aspettare, quella era la sua specialità.
Quando andava in vacanza, una stanza qualsiasi, vuota, coi soliti quadri assurdi che mettono nelle stanze d’albergo, quella diventava da subito la sua casa. Raramente le capitava di tornare nello stesso posto, che bello sarebbe stato avere una casa per le vacanze. Non li capiva, quelli che dovevano cambiare per forza. Le faceva fatica. Si ricreava ovunque, da subito, il suo piccolo mondo. E ogni volta che doveva fare le valigie era come se il mondo finisse.
Si immaginava la sua vita intera in quel posto lì, perché era il suo modo di sopravvivere: doveva capire qual era il suo posto. Era per superare la sensazione di essere sempre dall’altra parte.
Di non essere mai, davvero, al suo posto.
Così restava. Restava fino alla fine, quando bisogna pulire. Quando la spiaggia si svuota.
Quando vanno via tutti, e restano gli avanzi.
Tornava a casa col suo cartoccetto, due fette di torta, i tramezzini.
Il pane non mangiato.
La sciarpa abbandonata.
L'ombrellone rotto sulla sabbia, tra le canne.
Il campo del campeggio con gli stampi marroni delle tende.   
Quell’infinita malinconia delle cose che ci sopravvivono.
I fiori marci il giorno dopo del funerale.
Non riusciva ad andare avanti.
Cioè sì, ma per inerzia.
Cominciare, quello le piaceva. Finire, no.
Forse è per quello che non riusciva a lasciarlo.
Leggeva libri di autoconsapevolezza, autostima, autotutto. Nell’ultimo aveva letto un esercizio, cosa ti rende felice, quand’è stata l’ultima volta che sei stata felice, come vedi la tua vita, come ti vedi fra una settimana, e fra un anno?
L’aveva chiuso.
Non ci voleva pensare. La sua vita, le sue emozioni.  Felicità, che parola.
La vita che sognava forse era silenzio, un bosco in montagna, il camino, la neve, la pioggia, anche, perché sì, in montagna anche l’odiata pioggia le piaceva. L’odore del legno di pino, e i pini bagnati, quell’odore di muschio e di foglie secche che stanno diventando terra.
Sei come quest’ombrello rosso, le aveva scritto un’amica nel biglietto allegato al regalo. Stai lì, aspetti che venga il tuo momento di essere aperto e usato. Eh, spero di essere meglio, aveva pensato lei, che dopo due volte aveva dovuto pregare qualcuno che glielo sistemasse, perché non voleva buttarlo via.
Restare, restare.
Restare calma, impossibile. Ferma, quello sì, le veniva facile. Soprattutto se aveva un libro in mano, o una tv piena di serie americane.
Anche incinta, le veniva bene. Aveva partorito tre volte in 24 mesi.
Ma soprattutto, lei ci restava male.
Non poteva farci niente.
Ci restava male per cose stupide, per una parola, anche.
E restava impassibile, come una stronza, come una scema.
O restava a casa, a riempire lavastoviglie e stirare, a girare risotti, a perdere migliaia di euro davanti alla tv.

mercoledì 4 marzo 2020

MASSA BON... (troppo buono...) - UN ALTRO PIPPONE CATTOLICO



da un po' di tempo, qualche anno, ormai, io mi sento molto a disagio, nella chiesa cattolica. non che non sia un bene, eh, fa benissimo sentirsi a disagio, a me, almeno, che poi, a disagio, mi ci sento sempre un po' dappertutto, sei l'unica, mi dicono i miei figli, quando gli dico di fare o non fare delle cose, o come la penso un po' su tutto. sono abituata da tanto tempo, a trovarmi  in mezzo a svariate situazioni in cui mi pare, e in genere è effettivamente così, di essere l'unica. come quella volta alle elementari, che  a scuola imparavamo bella ciao e tutte quelle belle storie sui partigiani e io non dicevo niente, solo alla mia amica paola avevo detto che mio nonno l'avevano ammazzzato i partigiani, e lei mi ha detto che sicuramente mi sbagliavo, perché i partigiani sono quelli buoni.
no, non è essere l'unica, che mi dà fastidio.  e non è neanche che ci provi gusto: le manie di originalità le ho perse da un bel po'.
ma adesso, da un po' di tempo, il disagio è diverso.
mi sento dentro a un brutto film, un film incubo, non horror, un film di quelli che ti destabilizzano, in cui niente è quello che sembra, che non vedi l'ora di svegliarti ma non puoi.
è un film in cui non capisci perché fino a ieri eri sì l'unica, ma sentivi tutto sommato che, nonostante tutto, la fatica, gli sbagli, le disperazioni, sentivi che andavi bene per quella strada lì. da quella parte lì. adesso, non so come dire, adesso ti dicono che no, non va più bene, così, ma non a tutti gli altri, che a quello ci ero abituata, no. ti dicono che non vai più bene al padreterno. e te lo dicono uomini e donne di chiesa, unitissimi, inspiegabilmente, a quelli che, del padreterno, non gliene potrebbe fregare di meno. il vangelo dice così, mica cosà! eh, sempre in chiesa, ma dopo... molto meglio quelli che non vanno in chiesa, ma poi si comportano da veri  cristiani! e basta, con tutti sti divieti, ste fisse, ma l'amore dove lo metti? e la misericordia??? e chi sei tu, come ti permetti di dire che una cosa è giusta o sbagliata??
eccoli lì. io non mi devo permettere.
gli dà fastidio, che uno gli dica: guarda che questo è sbagliato.
non c'è più niente di sbagliato. non ci sono più i peccati, ci sono le fragilità. non parliamo dei castighi, che il povero padre Livio di radioMaria è stato costretto a una penosissima rettifica perché gli è sfuggita sta parola, castigo di Dio, manco fosse na bestemmia, lo diciamo tutti i giorni nella preghiera delle lodi e dei vespri, ma in pubblico, così, alla radio, addirittura, eddai padre Livio, Dio non castiga, Dio è buono, è misericordioso!! che qualcuno non si spaventi, non si senta giudicato, per carità, che delle volte non si ravveda, e cambi strada!!!
come ci permettiamo noi, luridi porci cattolici, con tutti quei preti pedofili solo perché non gli procuriamo delle mogli per sfogarsi (no, ma voglio dire, possibile che non ci si renda conto dell'infima considerazione della donna che è sottesa a questa idea del matrimonio dei preti?), noi, gli ipocriti per eccellenza, che ti devi guardare da tre cose, ha detto in dialetto un padre alla riunione dei genitori dei bambini delle prima comunione, dal culo dei mussi (muli), dai denti del can e da chi che tien el rosario in man! come ci permettiamo, noi, di dire agli altri cosa è giusto e cosa è sbagliato???
mi sento dentro alla parabola del figliol prodigo, solo che no, non sono io, la figliola prodiga, io sono la sorella fedele, ma la storia, qua, è un po' diversa.
mio fratello, il prodigo,  non si è pentito, è solo tornato a chiedere altri soldi, e siccome mio padre è troppo buono, e non è un pozzo senza fondo, e quello chiede, chiede, chiede, il padre cede e gli dà anche la mia parte. ora, io non ho niente in contrario che gli abbia dato la sua parte, certo non è una cosa comune, che un padre accetti di buon grado che un figlio voglia i suoi soldi ancor prima che muoia, ma se sta bene a lui, sta bene anche a me. lo capisco. ma che, per amore di uno, ci rimetta l'altro, no, questo no. questo io da genitore non lo accetto.
infatti, il padre della parabola di Gesù non si mette a correre dietro al figlio. non lo implora di restare, non lo insegue. rispetta fino in fondo la libertà del figlio, ma resta e lo aspetta là dov'è la sua casa.
quello che mi mette a disagio, molto a disagio, nella nuova chiesa, perchè la chiamano tutti così, la chiesa di Francesco, è che sto padre di cui tutti parlano, è solo buono, e un padre solo buono finisce con l'essere ingiusto.
c'è un detto veneto che recita: massa bon? cojon! e io, un padre cojon non lo voglio. non mi serve, ma a chi è che serve???? ma chi è che lo vorrebbe, scusate, un padre coglione?
il padre ti mantiene, va a lavorare per farti crescere, come diceva mia nonna, al cald, al net, al sut.
il padre ti guida. il padre cerca di tenerti lontano dai guai. il padre ti mette dei limiti. il padre vuole il meglio per te e agisce di conseguenza, che tu lo capisca o no. il padre ti insegna ad osare, ti tiene la bici e poi toglie le  rotelle. ti prende in braccio se cadi, ma non prima. questa è l'essenza del padre. per le coccole, c'è la mamma.
io non lo so tutti quelli che adorano papa francesco, ma io ho bisogno di giustizia, ho sete di giustizia, io non potrei vivere se sapessi che, se non in questo mondo, almeno nell'altro, ci sarà una giustizia, alfine.
non c'entra niente con la vendetta, non mi interessa niente la vendetta, male più grande del male, io parlo della sconfitta del male, della fine del male, parlo del regno di Dio, dove solo l'amore ha posto...  il sommo bene è anche sommamente giusto, giusto della giustizia vera, la giustizia dell'amore.
il padre è l'amore giusto, ecco cos'è.
quello che mi mette così a disagio è che io, di un padre  che dice sempre di sì, che gli va ben tutto, che giustifica sempre tutto e tutti perché lui è buono, non può fare altro, io di questo padre qua che piace tanto ai progressisti, ai liberal, agli atei, neanche tanto devoti, come a tanti cattolici che solo per il fatto che sono stati battezzati sembra che debbano scontare chissà quale pena, io, di questo padre qua, sinceramente, non so proprio cosa farmene.
e mi pare che sono l'unica.


martedì 3 marzo 2020

dove finisce la paura - un post di qualche anno fa



comincia così il titolo dell'articolo di stamattina (31 maggio 2016) su repubblica della filosofa e deputata pd michela marzano sul fatto atroce del rogo in cui è stata arsa viva sara di pietrantonio.
nessuno si è fermato.
del resto, scrive la marzano, io cosa avrei fatto?
certo, il fatto ci lascia tutti indignati, ma l'indignazione passa, e lascia il tempo che trova.
cita calvino e hannah arendt.
c'è una dose di auto-giustificazione, in questo articolo, che non mi piace.
la paura ci fa tirare dritto, ci protegge, dice marzano.
poi però dice che l'indifferenza, anche quando motivata dalla paura, resta comunque la miglior alleata della violenza e della sofferenza, un'indifferenza a cui dovremmo opporci 'attraverso la cultura, la forza della ragion critica, la compassione e il coraggio'.
sara di pietrantonio, fonte Ansa
 ma in base a cosa, cara michela?
qualcosa lo potremmo fare tutti, dici: 'osservare, ascoltare, fermarsi'.
ma le hai viste, le foto di quella ragazza lì? le vedi, le osservi, tu, la facce delle ragazze e dei ragazzi che girano per le strade?
cosa gli diamo, noi, che prospettiva gli diamo?
il problema è che ognuno pensa, sì, ma prima a se stesso. fin da bambini, li abituiamo così. io li vedo a scuola, ogni giorno.
è che gli diciamo che hanno dei diritti. non dei doveri, degli obblighi, verso gli altri. l'obbligo di rispettare gli altri, prima e sopra di tutto.
pensare solo ai diritti. negare, come gli uomini del 1789, come li chiama simone weil, che esiste 'un campo che è al di sopra di questo mondo' e che è il campo 'dell'eterno, dell'universale, dell'incondizionato'.
I rivoluzionari francesi invece 'riconoscevano solo (il campo) delle cose umane. per questo hanno cominciato con la nozione di diritto'
'ma i diritti appaiono sempre legati a date condizioni. solo l'obbligo può essere incondizionato'.
Gli obblighi di cui parla Simone
'derivano tutti, senza eccezione, dai bisogni vitali dell'essere umano (...) e hanno tutti per loro oggetto cose che in rapporto all'uomo hanno una funzione analoga a quella del nutrimento', che è da intendersi sia del corpo sia, com'è da aspettarsi, dell'anima'.
queste considerazioni di carattere generale, fondante, aprono il testo di simone weil 'la prima radice' che è poi un testo di analisi e filosofia politica. non c'entra praticamente niente con sara e la sua orribile morte. ma a me è venuto in mente perché questo gesto davanti al quale come dice la marzano ci siamo tutti coperti gli occhi è la punta estrema della reificazione, della riduzione a oggetto, dell'altro, anzi: dell'altra.

come dice san giovanni paolo II nel testo del 1960 che sto rileggendo in questi giorni, 'amore e responsabilità', parlando di una cosa che mi rendo conto che a molte persone ingeneri un immediato quanto istintivo sorrisetto di compatimento, ovvero il significato cristiano del matrimonio,
la parola latina «matrimonium» mette l'accento sullo «stato di madre» come se volesse sottolineare la responsabilità della maternità, che pesa sulla donna che vive coniugalmente con un uomo. La sua analisi ci aiuta a vedere meglio che i rapporti sessuali al di fuori del matrimonio mettono ipso facto la persona nella situazione di oggetto di godimento. Quale delle due è quest'oggetto? Non è escluso che possa esserlo l'uomo, ma la donna lo è sempre.
Si può faciilmente arrivare a questa conclusione (per via di contrasto) analizzando la parola matrimonium (dal latino «matris-munia», «doveri della madre»). 

é la riduzione della persona a oggetto, a cosa, la sua spersonalizzazione, la sua riduzione a oggetto o a individuo di una specie, che porta poi alle conseguenze dell'utilizzo dell'altro come mezzo per soddisfare i miei impulsi, che riduce l'altro a strumento per raggiungere il piacere, per soddisfare la brama di possesso, per autoaffermarmi.
sara esisteva in quanto serviva a quel disgraziato a affermare che lui era, in quanto aveva.
sono cose vecchie come il cucco che però sembrano annullarsi quando ci troviamo davanti a casi eclatanti.
e allora parte la solita manfrina: ci vuole l'educazione all'affettività, alla sessualità, al rispetto dei diritti di ogni genere, e, come ho sentito anche stamattina alla radio, la colpa è tutta della chiesa cattolica che impedisce che si faccia una sana educazione sessuale!
massì, continuate pure a cantarvi ste canzoncine qua.
io preferisco Simone





venerdì 28 febbraio 2020

donne, preti, matrimonio: un pippone cattolico (spoilero prima così se non t'interessa non leggi)





il dibattito dentro e fuori la chiesa cattolica degli ultimi tempi mi sta creando grande disagio. perché io, in genere, mi sento sempre da un'altra parte. una parte che, di solito, è la mia, e basta.
anche sul matrimonio dei preti.
la cosa che, lo dico, mi disgusta, in tutta sta faccenda è l'idea di donna che ne viene fuori. o meglio, che sta sotto. perché fuori, non viene proprio niente. la donna come un benefit.
perché si parla di matrimonio dei preti come fosse un diritto negato.
faccio una premessa, che a me sembra quasi ovvia, ma di ovvio, io lo so bene, non c'è niente. una premessa su chi è il sacerdote.
il sacerdote, il consacrato. il sacerdote è, nelle varie religioni, colui che offre sacrifici.
per noi cattolici, il sacrificio offerto dal sacerdote è Cristo stesso, offerto come sacrificio sommo e gradito a Dio Padre per la salvezza dell'umanità. la celebrazione della santa messa.
il sacerdote non è un catechista. non è un assistente sociale. non è un consolatore. non è un missionario. cioè, è ANCHE tutto questo, o anche no. ma la sua vocazione precipua, quello per cui è sacerdote, è celebrare la santa messa e amministrare gli altri sacramenti, in particolare assolvere i peccati.
adesso invece, vista anche la penuria di preti, la messa è diventato un impegno tra tanti.
ricordo una discussione col giovane cappellano fresco di seminario appena arrivato in parrocchia, convinto, evidentemente da qualcuno più esperto di lui, che saremmo in breve arrivati alle messe senza prete, nelle parrocchie un po' isolate, con molti anziani. Si fa una lettura, un ministro straordinario che distribuisce le ostie precedentemente consacrate, ci diamo una bella benedizione e via a casa contenti.
c'è una figura biblica potentissima, al riguardo dei sacerdoti, che mi si para davanti in tutta la sua enorme forza: Mosè che prega con le mani alzate, e quando per la stanchezza le mani gli cadono lungo i fianchi, sono i suoi fratelli a tenergliele alzate. non si possono mettere al posto suo. gli tengono su le braccia, perché quando gli cadono le braccia, l'aiuto del Signore viene meno. le cose si mettono male, per gli ebrei.
il sacerdote è figura di Cristo inchiodato alla croce con le braccia aperte.
ora, chi si fa prete diventa questo. non è solo l'offerta della propria vita a Dio, come fanno i consacrati uomini e donne. è scegliere il servizio del tempio. è scegliere di offrire il sacrificio gradito a Dio, e cercare di esserne degni, per la salvezza del mondo.
il nocciolo è questo: devi credere che il Signore chiami te, povero cristiano, per salvare il mondo attraverso i sacramenti.
E poi vado alla riunione in parrocchia e il mio parroco dice che il nostro problema, della nostra parrocchia, sono i sacramenti. sì, quelli che per me sono il dono della Chiesa per la salvezza del mondo. siamo sempre lì a pensare ai sacramenti e basta. te credo, gli ho detto, ci avete costretto a questa pagliacciata della prima comunione in prima media, ma del resto, io lo so, vorrebbero il battesimo a diciott'anni, a loro piace avere a che fare con gli adulti, i bambini non capiscono niente, non possono capire l'eucarestia, come se loro l'avessero capito, ma chi lo capisce, un mistero così grande??? forse invece solo i bambini lo possono capire!!!! i bambini piccoli, che, come ha detto Gesù, vogliono andargli vicino. e che dovrebbero essere il nostro esempio di sequela.
dall'altra parte ci sono i tradizionalisti, per cui il problema della chiesa è che è troppo femminilizzata.
uno, un vescovo, aveva anche proposto dei rosari da battaglia, fatti di palle di ferro, da veri uomini!!!
le nostre chiese piacciono solo alle vecchie catechiste! e basta co ste chierichette! basta co ste beghine!!!! gli uomini, in chiesa, sono a disagio!!! evvai coi rigurgiti di machismo kattoliko. all'ultima cena le donne non c'erano mica, manco la Madonna! che non so se lo sanno, questi, com'è la cena ebraica della Pasqua. Quando ci sono ste discussioni qua, dico sempre: ma chi è che l'ha cucinata, l'ultima cena? san Pietro???? eh ma la Madonna stava in un'altra stanza, gliel’ha detto non so che santa che ha avuto un'apparizione.
a uno di costoro che sostengono che la chiesa è troppo femminilizzata, che poi vogliono dire effemminata, ho risposto: ma avete presente Gesù? quello mite e umile di cuore? quello che difende l'adultera, la prostituta che gli rompe la boccetta di profumo sui piedi, quello che parla con le donne, anche quelle che, oltre a essere donne, sono puttane, o adultere, o miscredenti, o tutte e tre, come la samaritana, che va a casa di Marta e Maria e si intrattiene con loro (del fratello Lazzaro non si parla neanche)... ma di cosa state parlando??????? mi ha detto che sono troppo orgogliosa, di pentirmi.
comunque, tornando al matrimonio dei preti, l'opinione più diffusa è che ovvio che ci sono pochi preti, non possono sposarsi!
eccerto. come se il matrimonio fosse il sesso. o, nel migliore dei casi, un antidoto alla solitudine.
uno sarebbe anche disposto a fare il servizio sacerdotale, ma solo se in cambio può godere dei piaceri del sesso, o almeno avere una donna (beh, si presume, almeno...) al fianco.
è abbastanza ovvio che chi pensa che il matrimonio sia la soluzione ai bollenti spiriti maschili, non abbia la benché minima idea di cosa significhi non dico il il Santo Sacramento del Matrimonio, come lo chiama Foster Wallace (vedi qui) il ma il matrimonio in generale, un uomo e una donna che decidono di mettersi insieme e fare una famiglia.
mettiamo che il parroco abbia un figlio handicappato. o mettiamo due, come una mia carissima amica.  mettiamo che la moglie del parroco lo molli. o mettiamo che il parroco non sopporti più la moglie. o si rompa le balle dei problemi dei figli. dico le prime due tre cose che mi vengono in mente. cose di vita quotidiana... di persone normali, partite con buonissime intenzioni.
ma ste robe qua, i vescovi che fanno i sinodi, non le sanno???? o pensano che siccome sono preti, oltre che uomini, per loro sti problemi qua non ci saranno????

mercoledì 5 febbraio 2020

gelosia





vado a un corso di inglese e ieri dovevamo fare conversation su vari argomenti.
di solito si fa a coppia, ma noi eravamo in tre, e ci capita sta domanda: quali potrebbero essere i problemi in queste relazioni? fratelli, genitori e figli adolescenti, compagni di appartamento, rapporti di coppia.
parte  l'altra donna del trio: sicuramente il primo problema potrebbe essere la gelosia. l'uomo del trio conferma. io li guardo allibita.
dico che io, questo problema, non lo capisco proprio, forse perché non mi appartiene. (beh, magari fossi riuscita a dirlo così). per loro, invece, è una cosa normale.
poi sento che una donna che aveva la mia età è stata ammazzata di botte perché lui, il massacratore, era ossessionato dall'idea che avesse un altro.
e stamattina, alla radio, telefona una prof del liceo che racconta allarmatissima di come le sue giovani allieve, tra i sedici e i diciott'anni, ritengono la gelosia espressione d'amore. sì, mi controlla il telefonino, ma  perché è geloso, perché mi ama. mi ha dato uno schiaffo, è vero, ma aveva ragione: ho messo la minigonna e lui non c'era.
il valore non è la fedeltà, no: è la gelosia.
tanto che una, ho sentito in un'altra trasmissione, si è incazzata perché dopo che il suo ragazzo, per festeggiare un anno insieme, l'ha portata fuori a cena organizzando una serata speciale, non ha messo la foto su instagram. ergo, gli ha detto lei, non mi ami.
la gelosia io non l'ho mai capita. capisco l'amore folle, totale, l'amore per cui ti umili, per cui strisci, urli, piangi, per cui non te ne frega niente di quello che possono pensare gli altri, l'amore che, non corrisposto, ti toglie il fiato e a volte anche la vita. che non si muore per amore, cantava lucio, è una gran bella verità. ma fa così male che, a volte, resti morto a metà.
è una cosa che ti porta a uscire completamente da te stesso. ti fa fare cose assurde, pazzesche. 
quando sei così innamorato di una persona, non ti pesa niente tranne l'assenza dell'amato.
forse certi santi erano innamorati così di Dio.
ma la gelosia, la gelosia è possesso, e controllo. è potere. 
ma come si fa a pensare che questo sia amore?
la gelosia, a me, mi offende.
mi infastidiscono, le battutine pseudo gelose di mio marito. ma per chi mi hai preso, scusa? ma che considerazione hai, di me? e di te? 
e dei sentimenti?
ma sti teste di c. che ammazzano una donna perché così almeno non è di nessun altro, ma che abisso di miseria hanno, nel cuore? che orribile vuoto si portano, dentro, da non avere niente da dare, da esistere solo per quello che possono stringere tra le mani? come può, mi chiedo, bastarti possedere un corpo, o financo un'anima morta?
mi sovviene come un lampo la parola di Dio: Io, il tuo dio, sono un dio geloso.
ma cos'è la gelosia di un dio fedele? 
come se io fossi gelosa di mio figlio.
mio figlio, i miei figli, hanno i miei geni. i miei figli vivono dentro di me e io dentro di loro. niente e nessuno li strapperà dal mio cuore. la gelosia di dio come quella di una madre è desiderio di protezione, cura, premura. vita per l'altro. nell'altro.
ma cosa ne sanno, questi, di sta roba qua???

EPIDEMIE



In Cina c'è un'epidemia di un virus, che si chiama coronavirus perché assomiglia a una corona di spine, ma forse, ho letto, sarebbe meglio dire che assomigli a un riccio, perché ha una forma sferica.
Allora quando si è saputo di sto virus, all'aeroporto hanno cominciato a controllare quelli che arrivavano dalla Cina, o meglio dalla città dove si è sviluppato il contagio, Wuhan, si chiama, per vedere se avevano la febbre. se non ce l'avevano, tutto ok potete andare. al che io ho pensato: ma sono solo io la deficiente che pensa che magari stanno ancora incubando la malattia e non hanno la febbre? o magari non stavano bene e si sono fatti una dose di tachipirina che il tuo termoscanner gli fa un baffo?
dopo qualche giorno, il governo cinese ha blindato l'intera città. non esce più nessuno. chiuso. altro che andare in italia, e passare il termoscanner.
allora anche noi abbiamo pensato di mettere in quarantena i cinesi. ho letto che stanno ricontattando i duecento che avevano lasciato andare all'aeroporto dopo averli scannerizzati a debita distanza.
a wuhan hanno cominciato a costruire un nuovo ospedale che sarà pronto, hanno detto, in sei giorni. fossero anche il doppio, è una cosa che la mente umana, qui in Italia, non riesce neanche a concepire. come l'antimateria, tipo.
quello che noi siamo riusciti  concepire, invece, è che i cinesi sono tutti infetti. uno vede un cinese, e comincia  a sudare. siccome suda, pensa: ecco, ho la febbre. e il cinese è sicuramente la causa.
allora abbiamo cominciato a dire che massì, dai, è tutta una cazzata, vuoi mettere i morti del coronavirus, che sono solo 300, con i morti dell'influenza comune, che sono duecento al giorno?
oggi c'era un articolo di concita de gregorio, che me la immagino, me la sento nelle orecchie con la sua voce bassa e calda, pacata, a dire che dobbiamo guardare i numeri, con pazienza, e renderci conto, praticamente, pacatamente, di quanto imbecilli siamo, tutti, a farci prendere dal panico per una cosa che praticamente non esiste. l'articolo si intitola: coronavirus. la paura e l'ignoranza. e si conclude col virus dell'idiozia.
evvai con la corsa contro l'epidemia di ignoranza, l'epidemia di paura, è la solita paura del diverso, figlia dell'ignoranza, e tutti a sorridere scuotendo la testa, guardando con commiserazione, dall'alto della loro saggezza, il popolo bue, in balia del panico per la nuova leggenda metropolitana cucinata da non si sa quale stregone della comunicazione.
e io ascolto, e leggo cose, e mi chiedo: ma sti cinesi, che si mettono a fare ospedali per migliaia di persone in due settimane, che sospendono la loro gigantesca festa per il nuovo anno, che mettono in quarantena 4 milioni di persone, sono tutti imbecilli anche loro, tutti impanicati per una cosuccia da niente, tutti stupidi anche loro???
e la borsa che crolla? che sia tutto un complotto di trump per tagliare le gambe ai cinesi???

mercoledì 30 ottobre 2019

Ognuno riconosce i suoi 33 - un verde albero di fico




Vidi la mia vita diramarsi davanti a me come il verde albero di fico del racconto. Dalla punta di ciascun ramo occhieggiava e ammiccava, come un bel fico maturo, un futuro meraviglioso. Un fico rappresentava un marito e dei figli e una vita domestica felice, un altro fico rappresentava la famosa poetessa, un altro la brillante accademica, un altro ancora era Esther Greenwood, direttrice di una prestigiosa rivista, un altro era l’Europa e l’Africa e il Sudamerica, un altro fico era Costantin, Socrate, Attila e tutta una schiera di amanti dai nomi bizzarri e dai mestieri anticonvenzionali, un altro fico era la campionessa olimpionica di vela, e dietro e al di sopra di questi fichi ce n’erano molti altri che non riuscivo a distinguere. E vidi me stessa seduta alla biforcazione dell’albero, che morivo di fame per non saper decidere quale fico cogliere. Li desideravo tutti allo stesso modo, ma sceglierne uno significava rinunciare per sempre a tutti gli altri, e mentre me ne stavo lì, incapace di decidere, i fichi incominciarono ad avvizzire e annerire, finché uno dopo l’altro si spiaccicarono a terra ai miei piedi.

Sylvia Plath, La campana di vetro, 1963


Oggi Sylvia Plath avrebbe compiuto 87 anni.

martedì 27 agosto 2019

prendere, dare

Dar y Tomar III (Femenino-Masculino), Bronce Patinado - Esculturas - Lorenzo Quinn
DAR Y TOMAR III,  opera in bronzo di Lorenzo Quinn

ciò che alla fine va ristretto
deve prima essere esteso
ciò che va indebolito
deve all'inizio essere rafforzato
ciò che va rovesciato
deve all'inizio essere drizzato
colui che vuol prendere
deve cominciare a dare

Lao Tzu, Tao Te Ching


Citazione trovata in G. NARDONE - P. WATZLAWICK, L'arte del cambiamento

mercoledì 21 agosto 2019

think pink 15 - kim


la statua che ricorda le 'comfort women' posta vicino all'ambasciata giapponese a seoul. nella sedia vuota è seduta kim bok-dong

poco dopo l'inizio della seconda guerra mondiale, i giapponesi hanno deportato i ragazzi coreani come soldati e le ragazze coreane come schiave del sesso a servizio dei soldati giapponesi. 
una delle prime, tra le più giovani, è stata kim bok-dong.
le avevano detto che doveva cucire divise per i soldati. piuttosto di morire, lei andò. aveva 14 anni.
per otto anni fu costretta a 'confortare' i soldati. i sabati, cominciavano a mezzogiorno e finivano alle sei. c'era la fila fuori. finito il turno, arrivano i medici con le medicine: la domenica, si cominciava alle otto di mattina fino a sera.
il primo giorno spese tutti i soldi che le aveva dato la madre per tentare il suicidio con altre due ragazze nelle sue stesse condizioni: comprarono l'alcolico più forte che trovarono, e finirono in coma etilico. le trovarono e le salvarono con una lavanda gastrica che le rovinò lo stomaco per sempre. dopo dieci giorni, semicosciente, decise che sarebbe sopravvissuta per raccontare quello che le era successo.
kim è morta a 92 anni, senza che si fosse realizzato il suo desiderio: ricevere le scuse formali del governo giapponese, sentire il primo ministro dire: perdonateci, quanto abbiamo fatto non ha scusanti, cambieremo i nostri libri di storia e diremo ai nostri figli la verità.
anzi: il governo giapponese ha ritirato l'ambasciatore a Seoul dopo che il il governo coreano si è rifiutato di togliere una statua dedicata alle 'comfort women' posta nelle vicinanze dell'ambasciata stessa. i giapponesi, infatti, ritengono risolta la questione dopo che nel 2015 hanno sganciato 8  milioni e rotti di dollari.
qui sotto il video di una delle ultime interviste a kim


mercoledì 14 agosto 2019

SCRITTURE 1 - ORO


oro, oro...
mentre guidava nel traffico delle sei, un traffico provinciale, mica na roba seria, da isoradio, no, questo era il traffico normale delle cinque e mezza sei,  un paio di semafori per passare, una quarto d'ora in più del solito, quello col nome del frutto esotico  alla radio continuava ad ansimare oro, oro, per averti così, distesa, pura, le era sempre stato sulle scatole, che stronzo, sai che me ne frega, a me, della tua ultima malboro, ancora lì a dividere le donne in vergini e puttane, la vuoi ma che resista, che non ci stia, subito, sennò vuol dire che va con tutti, tu no che non ci provi con tutte, vero?
ecco, non è tutto oro quello che luccica, pensava, doveva scrivere una cosa sull'oro, era quello il titolo che si erano dati per scriverci sopra un pezzo, e lei aveva pensato subito all'oro de olanda che in italia se ciama banda, come dicevano i suoi compagni delle elementari, e l'oro del giappon  che in italia se ciama otton, il pezzo le sarebbe piaciuto scriverlo su sta storia che siamo schiavi dell'apparenza, alla B. interessa la sostanza, non la forma, le aveva detto la prof del liceo, ne era fiera, anche se la sostanza senza forma, cos'è, alla fine, la sostanza dell'arancia, se togli l'arancione, se togli la buccia, perché non è la buccia, la sostanza dell'arancia, se togli la pellicina bianca, non è quella, l'arancia, e il succo, non è neanche il succo, la sostanza dell'arancia, o la polpa senza succo, manco che meno i semi, alla fine non ti resta niente, di sta arancia, così le aveva spiegato il prof di filosofia,  e sta lezione sulla forma e la sostanza l'aveva proprio impressionata, e aveva provato anche a leggere roba di gente che pensa che la forma è tutto, ma si era stufata subito.
e da un certo punto in poi non gliene era fregato proprio più niente, perché sì, era proprio così, a lei interessava la sostanza, che poi era il senso, l'arancitudine dell'arancia, come il senso della vita, che non lo capisci se non la vivi giorno per giorno, e non lo puoi mai dire, una  volta per tutte, una volta sola. 
oro,  con quello è facile. tanti pallini gialli tutti uguali, col loro peso specifico, la loro massa, per l'oro è facile.
per quasi tutto il resto, invece, è praticamente impossibile.

martedì 13 agosto 2019

poliamore


Allora, riciccia fuori sta storia, che cambiano i nomi delle cose per cambiare le cose stesse.
parlo con uno del poliamore.
ah, interessante, la legalizzazione dell'amante. sai che novità. le unioni tra più persone esistono da millenni, voglio dire, e si chiama poligamia.
ma in realtà la cosa qui è diversa, o meglio più ampia. diciamo che la poligamia è un sottinsieme delle unioni poliamorose.
Per poliamore si intende una polirelazione amorosa tra vari partner tutti consenzienti. Ci sono molte varianti del poliamore: i polifedeli, i poligami, la coppia aperta, le relazioni miste (in cui un partner è monogamo e l’altro no). ovviamente il poliamore interessa soprattutto relazioni omo o bi sessuali, ovviamente lo dico perché sennò bastava la poligamia.
in america, all'American Psychological Association (Apa), divisione 44, hanno messo su una task force per appoggiare «la ricerca e la sensibilizzazione sui problemi che debbono affrontare gli individui impegnati in relazioni consensuali non monogamiche» e supportare «i bisogni delle persone che praticano la non monogamia sessuale» e le loro «identità marginalizzate».
c'è poliamore italia, c'è la serie tv, ci sono libri, autori, dibattiti.
l'università di verona lo scorso anno accademico ha proposto un ciclo di seminari sul poliamore, sotto il titolo 'porte aperte', in cui in cui autric*, ricercatric*, espert* presenteranno e discuteranno ricerche e volumi attinenti alle tematiche della sessualità nelle loro molteplici implicazioni teoriche (filosofiche, politiche, culturali ecc.)e all'impatto che queste hanno sulla vita materiale delle persone

e qui devo assolutamente aprire una parentesi: 
perché nessuno fa niente contro sta cazzata colossale degli asterischi? ma perché voi che odiate le finali al maschile non vi trasferite tutt* in inghilterra, o parlate in inglese? o non scegliete l'unica, pesantissima, opzione del maschile e femminile, cari e care, autori e autrici, studiose e studiosi????? 
ma cosa vuol dire l'asterisco??? ma come cazzo lo leggi l'asterisco?????????
a partee che autric* e ricercatric* è di un ridicolo assurdo. ma si può scrivere una cosa che non si può leggere??????????????
NON SI PUò LEGGERE!!! capito????? l'asterisco non si può leggere, cosa ci vuole più di questo per capire che non è possibile usare questa scorciatoia, questa deturpazione di una delle lingue più belle del mondo? qualche linguista, a verona, ce l'avranno, no? 
ora, vuoi combattere il sessismo congenito della lingua italiana, così come si è determinato nei suoi mille anni di storia, per cui per definire un elemento umano generico, si usa la parola al maschile? allora devi trovare una soluzione che si possa PRONUNCIARE, car* mi*! altrimenti ti accontenti di quello che hai. eddai, su!
chiusa parentesi.

insomma sto poliamore serve a definire l'unione di più persone omo, bi, etero, tutti insieme allegramente, tipo il fratello di ariana grande che si è unito a una coppia gay sposata da meno di un anno, o la 'famiglia poliamorosa' riconosciuta da un tribunale del canada, in cui nello stato di famiglia appaiono tre nomi: la coppia di gay che ha voluto il figlio e la madre biologica che ha prestato utero e ovulo ai papini. il padre donatore del seme resta anonimo.
secondo uno dei teorici del poliamore, Jacques Attali, che pare sia il padrino politico del presidente francese Macron, l'istituzionalizzazione del poliamore sarebbe resa necessaria dall'intensità del sentimento amoroso dei nostri giorni: «il sentimento amoroso potrà essere talmente intenso da implicare più persone alla volta […], il poliamore, in cui ciascuno potrà avere più partner sessuali distinti; la polifamiglia, in cui ciascuno apparterrà a più famiglie; la polifedeltà, in cui ciascuno sarà fedele a tutti i membri di un gruppo dalle sessualità multiple».
a me mi è venuto in mente un musicista che purtroppo non so chi sia, mi sono riascoltata non so quante puntate della trasmissione battiti, che fanno di notte su radiotre, per ritrovare il suo discorso, purtroppo invano,  che diceva che il numero perfetto non è tre, è due, sempre. già se sei in tre amici non è la stessa cosa. e lo sanno tutti, quanto è vera sta roba qua.

fedele a tutti, sì sì, come no.



sabato 9 marzo 2019

ognuno riconosce i suoi 32 - alberi, sono dei vostri




Io sono dei vostri, alberi, sono dei vostri 
Animali eleganti, io sono dei vostri. 
Credetelo. Sono dei vostri. 
Ci separa soltanto un fiato infantile, 
ma lo so, lo so, sono io tutto quel
manto, sono io il tronco e lo storno e il 
falco. Ci separa un niente, colore, capello, 
piccolo piccolo nome: l’impianto del 
respiro è solo apparente diverso.

Ci guarderemo fraternamente. 
Io sarò migliore. Larga come l’andare di un fiume 
grande, ci capiremo con l’albero e col seme, 
capiremo l’insetto e la grandine. 

Risplendiamo. Adesso.
Essere il mondo, voglio. Sentirmi 
a casa nel cosmo. E le maree saranno
la strada del gonfio cuore. Sarà d’amore
se cresco. Se avanzo o calo. Sarà d’amore. 
E luce voglio. Così m’impetalo, che mi spensiero,
che rido mentre corro, come la rondine, 
mi moltiplico a stelo, gocciolo, mi biforco,
mi alzo e tramonto, mi slargo, mi infaldo,
divento cima e svetto, mi innevo e frano.

Tutto questo io voglio, dolcemente, perché 
fuori dell’umano il dolore è uno sparo
minimo e la più gran parte è ridere,
mi pare, il grande canto. 

Lo senti il firmamento? Com’è sereno!
Anche noi siamo dentro.
Abbiamo polverine nelle vene, antiche come il cielo,
sono disciolte nel sangue, hanno dentro
l’impronta di un andare semplice e grande,
come le grandi sfere. Abbiamo sfere nel sangue, 
cartine geografiche con strade d’argento
e vedute telescopiche fino ad
Aldebaran. Abbiamo Vega nel sangue
la stella prodigiosa, e istruzioni precise
per il viaggio per l’appontaggio 
e coraggio abbastanza per ogni volo. 



(da Predica ai pesci, in Fuoco centrale e altre poesie per il teatro, Torino, Einaudi,2003)


martedì 29 gennaio 2019

ognuno riconosce i suoi 31 - la ragione è un seme



... le piante sono state considerate, nei secoli, come la forma paradigmatica di esistenza della ragione, una mente che si esercita nella formazione di sé. La misura di questa coincidenza era il seme. Nel seme, in effetti, la vita vegetativa mostra tutta la sua razionalità: la produzione di una certa realtà avviene a partire da un modello formale e senza alcun errore. (...)
nel seme la razionalità smette di essere una semplice funzione dello psichismo (animale op umano che sia) o l'attributo di un solo essere per diventare un fatto cosmico: modo di essere e realtà materiale del cosmo. Per esistere la pianta deve confondersi con il mondo e non può farlo che nella forma del seme: lo spazio in cui l'atto della ragione coabita con il divenire della materia.
(...)
Non basta riconoscere, come ha fatto la tradizione aristotelica, che la ragione è il luogo delle forme (locus formarum), il deposito di tutte quelle che il mondo può ospitare. La ragione ne è infatti anche causa formale ed efficiente. Se esiste una ragione, allora è quella che definisce la genesi di ciascuna delle forme di cui il mondo si compone. Per converso, un seme è l'esatto contrario della mera esistenza virtuale di una forma, con la quale viene spesso confuso. Il seme è lo spazio metafisico in cui la forma definisce non più una pura apparenza o l'oggetto della visione, né il semplice accidente della sostanza, ma un destino (...).
Il seme è il luogo in cui la forma non è un contenuto del mondo, ma l'essere del mondo, la sua forma di vita. la ragione è un seme perché, a differenza di quanto la modernità si è ostinata a pensare, non è lo spazio della sterile contemplazione e dell'esistenza intenzionale delle forme, ma la forza che fa esistere un'immagine come destino specifico di ciascun individuo o oggetto. La ragione è quel che fa di un'immagine un destino, uno spazio di vita totale, un orizzonte spaziale e temporale. Essa è necessità cosmica e non capriccio individuale.

Emanuele Coccia, la vita delle. piante, pp. 24-26

lunedì 28 gennaio 2019

ognuno riconosce i suoi 30 - forma e essenza



Non hanno mani per maneggiare il mondo, eppure sarebbe difficile trovare artisti più abili nella costruzione di forme. Le piante non sono soltanto gli artefici più raffinati del nostro cosmo, ma anche le specie che hanno aperto alla vita il mondo delle forme, la forma di una vita che ha fatto del mondo la sede della figurabilità infinita (...).
   L'assenza di mani non è segno di mancanza, ma la conseguenza della continua immersione nella stessa materia che esse modellano senza sosta. Le piante coincidono con le forme che inventano: per loro tutte le forme sono declinazioni dell'essere, e non del fare o dell'agire. Creare una forma significa attraversarla, percorrerla con tutto il proprio essere, allo stesso modo in cui si percorrono le età o le tappe dell'esistenza. all'astrazione della creazione e della tecnica - capaci di trasformare le forme solo a patto di escludere l'artista e il produttore dal processo di trasformazione -  la pianta oppone l'immediatezza della metamorfosi: generare significa sempre trasformarsi. (...)
...Nelle piante la genesi delle forme raggiunge un'intensità inaccessibile a qualsiasi altro essere vivente. A differenza degli animali superiori, in cui lo sviluppo si arresta una volta per tutte col sopraggiungere nell'individuo della maturità sessuale, le piante non cessano di svilupparsi e di accrescersi, ma, soprattutto, di costruire nuovi organi e nuove parti del corpo di cui sono state private o di cui si sono sbarazzate. Il loro corpo è un'inarrestabile fabbrica morfogenetica. (...)
Il loro non è mai un corpo definitivamente dato, ma un atto costante di bricolage somatico: è questo il significato metafisico della centralità dei meristemi. Proprio per questo la loro vita è un atto incessante di autodesign: non sono solo una forma, ma produzione incessante di forme.

Emanuel Coccia, la vita delle piante, pp. 23-24

domenica 27 gennaio 2019

ognuno riconsoce i suoi 29 - respirare



...le piante fanno crollare uno dei pilastri fondamentali della biologia e delle scienze naturali degli ultimi secoli: la priorità dell'ambiente sul vivente, del mondo sulla vita, dello spazio sul soggetto.
Le piante, la loro storia e la loro evoluzione mostrano che sono invece i viventi a produrre l'ambiente in cui vivono piuttosto che essere obbligati ad adattarvisi. Esse hanno modificato definitivamente la struttura metafisica del mondo. (...)
Le piante mostrano che la vita è la rottura dell'asimmetria tra il contenente e in contenuto. Quando c'è vita, il contenente riposa nel contenuto (e quindi è da esso contenuto) e vice versa. Il paradigma di questo intreccio reciproco è quel che già gli antichi chiamavano respiro (pnéuma). Respirare significa, in effetti, fare quest'esperienza: ciò che ci contiene, l'aria, diviene in noi contenuto e, per converso, ciò che conteniamo diventa quel che ci contiene. Respirare significa essere immersi nell'ambiente che ci penetra con la stessa intensità con la quale noi lo penetriamo.

Emanuele Coccia, la vita delle piante, pp. 19-20