giovedì 12 agosto 2021

memento mori

 

stasera sono uscita tardi a portare fuori la plastica. in piazza non c'era più nessuno, la pizzeria era chiusa. c'era però un leggero vento tiepido, ho chiuso gli occhi, ho aperto le braccia al vento, e sono stata lì un po' a pensare a quanto meravigliosa sia, la vita, e di quanto fossi grata di poter essere lì, per qualche secondo, da sola, a godere di questa cosa meravigliosa, solo io, tutti dentro le loro case, magari col loro condizionatore, e quel vento era tutto per me.
domenica a messa il prete ha posto una domanda da lui definita provocatoria: ma chi è oggigiorno che pensa alla vita eterna, alla mattina si alza e pensa alla vita eterna???
e io ho guardato di sbieco i miei figli, e ho intravisto un piccolo mezzo sorriso che forse vedevo solo io, e ho sentito che rispondevano, nella loro testa, al prete: mia madre ha una notifica, alle 8 ogni mattina, una nota di keep che dice 'ricordati che devi morire'.
sì perché io me lo sono segnata, che devo morire.
e l'altra mattina, stavo nel lettino del pronto soccorso, ormai era sicuro che qualcosa di sballato, il mio cuore, ce l'aveva (era l'infarto, ma ancora non lo sapevo per certo), ero lì dalle undici della notte prima, elicotteri che vanno e vengono, voci concitate, telefonate, parenti, barelle, le infermiere/oss che si mettono sul lettino per 5 minuti di settimana enigmistica, la normale routine di un pronto soccorso di un grande ospedale,  immagino, io stavo lì per vedere come andava, un prelievo ogni 3 ore, dormire e continuare a svegliarsi per gli aghi o un nuovo prelievo, o il tampone, o l'ecocardio alle 6 di mattina, era l'alba, insomma ero in uno stato abbastanza confusionale, i muri del ps sono giallini, i corridoi azzurri, quelle luci che vedi nei film sopra la faccia quando portano uno in barella sono proprio così, accecanti, e quella notifica, alle 8, non avevo idea che fossero le otto, non c'erano finestre, comunque sembra strano ma a me quella notifica mi ha confortato, sapere che, anche oggi, anche l'altra mattina, sì, devo ricordarmi che devo morire, ma non sono morta neanche oggi,  perché mi sento bene e sono in un pronto soccorso, e l'elettrocardiogramma è a posto, io sono a posto, ho sonno, gli aghi nei polsi non mi fanno dormire, ma va bene, magari potevo morire, sempre meglio ricordarselo.
le cose hanno tutta un'altra prospettiva, se ti ricordi che devi morire, e sai che ancora non sei morta.



sabato 7 agosto 2021

ognuno riconosce i suoi 42 - sii dolce con me

 lunedì 2 agosto stavo tornando da trento col professore, abbiamo fatto la  valsugana, il brenta era pieno d'acqua, e così il cielo.
alla radio c'era la breve rubrica religiosa 'ascolta, si fa sera', dura 3 minuti. c'era un francescano, non mi ricordo di che ordine, e mi aspettavo due parole sul perdono di assisi, l'indulgenza plenaria che è possibile lucrare il 2 di agosto.
invece il frate legge l'inizio di questa meravigliosa poesia di mariangela gualtieri

 



Sii dolce con me. Sii gentile.
E’ breve il tempo che resta. Poi
saremo scie luminosissime.
E quanta nostalgia avremo
dell’umano. Come ora ne
abbiamo dell’infinità.
Ma non avremo le mani. Non potremo
fare carezze con le mani.
E nemmeno guance da sfiorare
leggere.

Una nostalgia d’imperfetto
ci gonfierà i fotoni lucenti.
Sii dolce con me.
Maneggiami con cura.
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
è prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
di ogni meccanismo di volo
di ogni guizzo e volteggio
e maturazione e radice
e scorrere d’acqua e scatto
e becchettio e schiudersi o
svanire di foglie
fino al fenomeno
della fioritura,
fino al pezzo di carne sulla tavola
che è corpo mangiabile
per il mio ardore d’essere qui.
Ringraziamo. Ogni tanto.
Sia placido questo nostro esserci –
questo essere corpi scelti
per l’incastro dei compagni
d’amore. nei libri.

da tempo sostengo che mariangela gualtieri sia il più grande poeta italiano vivente, anche se non ha molto senso fare queste graduatorie. resta comunque che è una voce potente, molto.
io ce l'ho con quei preti che dicono che bisogna essere felici, che dio ci vuole felici. ma come fate, vorrei dirgli, a essere felici, voi, preti, ma non lo vedete il male, la sofferenza, ma non li vedete quei cristi in croce. gesù non ci ha detto siate felici, ha detto beati quelli che piangono, che soffrono, che lottano per la giustizia... bisogna essere buoni, bisogna.
io continuo a dirlo, ai miei figli, che bisogna essere buoni.
per cui grazie, voce di uomo di dio alla radio. non lo so se riuscirai a fondare il partito della gentilezza, come hai detto, ma sarebbe davvero una rivoluzione. non so se tu lo farai, io comunque ci provo, e spero che saremo almeno in due.

ognuno riconosce i suoi 41 - ognuno


 

 agli amici

(...)
Dico per voi, compagni d’un cammino
folto, non privo di fatica,
 e per voi pure, che avete perduto
l’anima, l’animo, la voglia di vita:
o nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
che mi leggi, ricorda il tempo
prima che si indurisse la cera,
quando ognuno era come un sigillo.
di noi ciascuno reca l'impronta
dell'amico, incontrato per via:
in ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene e per il male,
in saggezza o in follia,
ognuno stampato da ognuno.


Agli amici è una lirica del 1985 inclusa nella raccolta Ad ora incerta di Primo Levi. Il testo è ora raccolto nel secondo volume delle Opere, Romanzi e poesie, pubblicate da Einaudi, Torino, 1988.

sabato 17 luglio 2021

ma l'america che cos'è



ma l'america, che cos'è? gli stati uniti, intendo.
l'america è quel posto dove la gente scrive dei racconti, delle poesie, perfino, le manda alle riviste e gli arriva a casa un assegno.
e c'è gente, mica uno eh, mica solo nell'ottocento, c'è gente che vive con sti assegni qua.

venerdì 16 luglio 2021

OGNUNO RICONOSCE I SUOI 40 - L'uomo che amava i libri

 



«Un tempo…» Montag esita, poi riprende: «Un tempo devi averli amati molto, i libri».

«Touché!» risponde il capo dei pompieri. «Sotto la cintura. Al mento. Dentro il cuore. Da strappare le budella. Oh guardami, Montag. L’uomo che amava i libri, no, il ragazzo che era innamorato perso di loro, folle di loro, che per loro si arrampicava sugli scaffali come uno scimpanzé impazzito.
Li ho mangiati come un’insalata, i libri erano il mio sandwich per pranzo, il mio pasto leggero, la mia cena e il mio spuntino di mezzanotte. Ho strappato le pagine, le ho mangiate col sale, affogate nella salsa, rosicchiato le rilegature, ho sfogliato i capitoli con la lingua! Libri a dozzine, a ventine, a milioni! Ne ho portati a casa così tanti che sono stato gobbo per anni. Filosofia, storia dell’arte, politica, scienze sociali, poesia, saggi, la grande commedia: scegline uno, io li ho mangiati tutti. E poi… e poi…»
La voce del capo dei pompieri si affievolisce.

Montag lo incalza: «E poi?». «Beh, e poi arriva la vita.»
 
Il capo dei pompieri chiude gli occhi e ricorda. «La vita. La solita vita, l’amore che non scalda davvero, il sogno che si guasta, il sesso che va a pezzi, la morte che raggiunge troppo presto gli amici che non la meritano, l’omicidio di questo o quell’altro, la follia di una persona cara, la lenta morte di una madre, l’improvviso suicidio di un padre – un precipitoso caricare di elefanti, un assalto di malattie.
E da nessuna parte – da nessuna parte – il libro giusto per il momento giusto, qualcosa da infilare nel muro fatiscente della diga che sta per crollare, per trattenere il diluvio, per offrire o cogliere una metafora, perdere o trovare una similitudine. E al confine estremo dei trenta, all’orlo dei trentuno, mi sono raccolto, tutte le ossa rotte, ogni centimetro della mia carne abrasa, ammaccata, sfregiata. Mi sono guardato allo specchio e ho visto un vecchio perso dietro la faccia spaventata di un giovane, ho visto odio per tutto e per tutti – scegli tu – e ho aperto le pagine dei libri della mia bella biblioteca e cos’ho trovato? Cosa? Che cosa!?»
Montag prova a supporre: «Le pagine erano vuote?». «Esatto! Vuote! Oh, c’erano le parole, certo, ma mi scorrevano sugli occhi come olio bollente – non significavano nulla. Non erano d’aiuto, di nessun conforto, nessuna pace, nessun rifugio, nessun vero amore, nessun letto, nessuna luce.»

 

Fahrenheit 451, citato da dallo stesso Bradbury in
Bradbury, Ray. Lo Zen nell'arte di scrivere

 



giovedì 15 luglio 2021

OGNUNO RICONOSCE I SUOI 39 - Scrivere per bambini

 

Isaac Bashevis Singer, premio Nobel 1978

 

Signore e signori: ci sono cinquecento ragioni per cui ho iniziato a scrivere per bambini, ma per risparmiare tempo ne cito solo dieci.

1. I bambini leggono libri e non recensioni. Non gliene frega niente delle critiche.

2. I bambini non leggono per cercare la loro identità.

3. Non leggono per sbarazzarsi della colpa, per placare la loro sete di ribellione o per sbarazzarsi dell'alienazione.

4. Non vedono alcuna utilità in psicologia.

5. Odiano la sociologia.

6. Non cercano di capire Kafka o Finnegans Wake.

7. Credono ancora in Dio, famiglia, angeli, demoni, streghe, gnomi, logica, chiarezza, punteggiatura e altre cose obsolete.

8. Amano le storie interessanti, non i commenti, le guide o le note a piè di pagina.

9. Quando un libro è noioso, sbadigliano senza vergogna, senza alcuna vergogna o paura dell'autorità.

10. Non si aspettano che il loro amato scrittore riscatti l'umanità. Giovani come sono, sanno che questo non è sotto il suo potere. Solo gli adulti hanno tali delusioni infantili.

 

Discorso per il Premio Nobel, 10 dicembre 1978

domenica 25 aprile 2021

ognuno riconosce i suoi 38 - vittorie

 


Io, insomma, come milioni e milioni di personaggi come me migliori di me e peggiori di me, mi trovai invischiato in questa guerra in qualità di italiano alleato dei tedeschi, all'inizio, e in qualità di italiano prigioniero dei tedeschi alla fine. Gli anglo-americani nel 1943 mi bombardarono la casa, e nel 1945 mi vennero a liberare dalla prigionia e mi regalarono del latte condensato e della minestra in scatola. Per quello che mi riguarda, la storia è tutta qui. Una banalissima storia nella quale io ho avuto il peso di un guscio di nocciola nell'oceano in tempesta, e dalla quale io esco senza nastrini e senza medaglie, ma vittorioso perché, nonostante tutto e tutti, io sono riuscito a passare attraverso questo cataclisma senza odiare nessuno. Anzi,sono riuscito a ritrovare un prezioso amico: me stesso...


Giovannino Guareschi, Diario clandestino, istruzioni per l'uso

 



italiacano 21 - Abilismo

 


ieri ho scoperto una parola nuova: abilismo.
pare, dal giretto veloce che ho fatto in rete, che sono tra i pochi a non averla mai sentita.
ma da dove salta fuori sta parola inusitata, mi chiedo?
in pratica, è una parola formata come 'razzismo', solo che sulla parola 'abile'. sarebbe l'atteggiamento di chi discrimina le persone sulla base delle loro abilità. chi discrimina i disabili. certo, dopo che hai capito cosa significa, non ci vuole mica tanto a capire da dove l'hanno tirata fuori.
ma a me, non so perché, non mi piace, non mi sembra idonea. perché?
mi vengono in mente tante parole simili, come salutista, come illusionista, genetista, autista, parole che non hanno niente di negativo...
certo, c'è razzista, ma in razzista, è il concetto di 'razza' ad essere di per sé negativo. idem con 'negazionista'. 'abile', invece, non ha niente di negativo. ieri avevo provato a discuterne con professore, senza riuscirci. siccome la treccani riporta la parola, il problema non esiste. come se mettere in discussione una parola significasse mettere in discussione il concetto stesso di discriminazione che vuole nominare.
in realtà, ho letto proprio sulla treccani, perché il motore di ricerca ce l'ho anch'io, uguale a quello del prof, che questa parola l'ha riportata per la prima volta il corriere della sera un paio di anni fa.
ma che parola è? e che bisogno c'era di una nuova etichetta incomprensibile? e la discriminazione ponderale (sei discriminato a causa del tuo peso), a me tanto cara, ormai l'unica che non abbia lo stigma sociale, rientra nell'abilismo?
e dare del deficiente, cretino, idiota a chi, secondo te, non usa nel modo corretto il cervello, cosa che, sui social, fanno un po' tutti, in genere con persone che la pensano in modo diverso da te, non rientra nell'abilismo????
ma possibile che, come sempre, sono l'unica che si fa ste domande?
mah!




lunedì 15 marzo 2021

 

 

ieri su fb c'era un post sulle audiocassette, che ho pensato: ecco, il solito post nostalgico sulle cassette. che ogni tanto, su fb, salta fuori la foto della bic o della matita e della cassetta, che solo hai una certa età sai cosa c'entrano l'una con l'altra, perché il nastro magnetico delle audio cassette spesso rimaneva incastrato nel registratore, e peri riavvolgerlo dovevi incastrare la punta di una penna bic o una matita nella rotella dentata della cassetta e giravi la penna finché il rotolino del nastro era a posto. Se ti andava bene e il nastro non si era rotto.
Invece il post c'era perché è morto l'inventore delle cassette, lou ottens. che cosa incredibile. una cosa che i miei figli manco sanno cosa sia, e quello che l'ha inventata era ancora vivo. aveva 94 anni. una decina d'anni più di mio padre. la sua invenzione non gli è sopravvissuta. è un po' come quando ti muore un figlio. non è naturale.
per me, che mi ritengo, e in realtà lo sono, una donna dell'altro secolo, anzi dell'altro millennio, è una cosa difficile da concepire. questo tempo che va così veloce che vorrei non esserci.
la velocità brucia tutto, la velocità è superficialità, e poi io odio che le cose finiscano.
sul web ho letto anche che le cassette sono tornate, ma non credo durerà tanto.
comunque.
io le cassette le adoravo.
la cassetta era democratica. il vinile costava. la cassetta era l'alternativa povera, e poi vuoi mettere la durata? cassette, ce n'erano perfino da 120 (minuti). ma non solo: nessuno poteva registrarsi un vinile. la cassetta, invece, la potevi REGISTRARE. che cosa incredibile. tutti i mangiacassette, tanti almeno, potevano registrare. e non solo dalla radio, o da un'altra cassetta, se avevi il doppio nastro (e io ce l'avevo).
e poi: ti potevi registrare anche tu. questa era una figata. quante cassette che ho fatto per il mio moroso quando era militare. i regali di natale alle mie amiche coi dischi di parenti e amici che non avrei mai potuto comprare, con le copertine fatte a mano e le liste dei brani che non mi venivano mai bene perché ho sempre scritto troppo grande. le compilation da gita, da ascoltare col walkman. e poi le cassette che mandavo al mio amico paolo quando stava a betlemme. in mezzo ci mettevo le canzoni che registravo dalla radio, lo facevamo in tanti, con la complicità dei dj delle radio private, tu facevi una richiesta aggiungendo: per favore, non parlarci sopra, che devo registrare. oppure accendevi un altro registratore, o il giradischi. chissefrega della qualità, la qualità stava a zero, il contenuto era tutto.
quindi... ciao, lou, e grazie

Lou Ottens




sabato 16 gennaio 2021

think pink 16 - una ragazza

oggi sono andata a prendere il giornale. mentre uscivo, è entrata una coppia padre-figlia, la giornalaia aveva già il giornale in mano, un cliente fisso.
la ragazzina aveva in mano un libro, e continuava a leggere mentre il padre prendeva il giornale. ha continuato a leggere mentre uscivano, e camminava leggendo. il padre le ha messo la mano sulla spalla, e se ne sono andati a piedi.
ho pensato che finché c'è una bambina che legge camminando, beh, c'è ancora speranza.
leggeva stephen king, un volume di una serie per ragazzi. ma non si può avere tutto, del resto.



domenica 10 gennaio 2021

ma l'amore che cos'è 11 - un abisso

 

Al telefono, quando non c'erano i cellulari.

Lui: C'è un abisso tra di noi.

Lei: Lo so.

parlavamo del più e del meno, di niente, in realtà. stavamo insieme da... boh, una settimana che per me era una vita. forse è in quel momento che ho capito che lo amavo. per lui era una delle tante frasi ad effetto. non si è neanche accorto quanto fosse vera. ma l'aveva detta. senza capire, aveva capito. c'era un abisso tra di noi. un abisso di cultura, status sociale, sensibilità, esperienze di vita, interessi. 

Lei: dobbiamo stare attenti a non caderci dentro.

dopo una settimana, poco più, lui si è stufato. mi ha detto così.
ma io avevo quell'abisso incollato addosso.

Per la Befana mi sono regalata Tutte le poesia di Wisława Szymborska.
tra parentesi, è ovvio il motivo per cui i polacchi sanno tante lingue: dopo che hai imparato questa, il resto è una passeggiata.
e aprendolo a caso, come mi piace fare coi libri di poesia, ho trovato questi versi:

...

Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro interrotto.
In corpo e poesia.

Da un lato la gola, il riso dall'altro,
un riso leggero, di già soffocato.

Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre piccole parole, soltanto, tre piume d'un volo.

L'abisso non ci divide.
L'abisso circonda.

 

Wisława Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi 2009, p. 319

 

 



mercoledì 6 gennaio 2021

ognuno riconosce i suoi 37 - le quattro del mattino

Sono le 4 del mattino - Bigodino

LE QUATTRO DEL MATTINO

Ora dalla notte al giorno.
Ora da un fianco all'altro.
Ora per i trentenni.

Ora rassettata per il canto dei galli.
Ora in cui la terra ci rinnega.
Ora in cui il vento soffia dalle stelle spente.
Ora del chissà-se-resterà-qualcosa-di-noi.

Ora vuota.
Sorda, vana.
Fondo di ogni altra ora.

Nessuno sta bene alle quattro del mattino.
Se le formiche stanno bene alle quattro del mattino
- le nostre congratulazioni. E che arrivino le cinque,
se dobbiamo vivere ancora.

 

Wisława Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi 2009, p. 91

Wisława Szymborska./ Página web de la autora.


sta poesia, che ho trovato aprendo a caso il libro che mi ha portato la befana, che poi sarei sempre io, ho scoperto che è citata sul web una miriade di volte. come del resto le quattro di mattina.
Pare che le quattro di mattina siano un'ora molto gettonata, per svegliarsi. e non solo. per finire cose importanti come il discorso alla nazione, per ammazzarsi, e molti altri eventi.
comunque io mi sveglio un sacco di volte alle quattro.
ho letto da qualche parte che, per la medicina cinese, a seconda dell'ora in cui ti svegli si capisce che disturbo hai. quattro del mattino, il problema sono i polmoni. emotivamente, i polmoni sono. collegati a tristezza, depressione, preoccupazioni.
evidentemente, siamo in tanti che hanno pensieri e ci svegliamo alle 4 di mattina.


sabato 2 gennaio 2021

ognuno riconosce i suoi 36 - vivere

 



Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sé sempre il meglio,
e non essere scaltri.
Vivere è amare la vita
con i suoi funerali e i suoi balli,
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.
Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta,
schivare le gonfie parole,
vestite con frange di festa.
Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l'autunno
e non stancarsi d'amare.

[Angelo Maria Ripellino, Poesie. 1952-1978, Torino, Einaudi 1990, p. 21]


Infinito presente 4 - uccidere

In questi giorni di vacanza ho visto parecchi film, la maggior parte dei quali fanno parte della categoria: filmetti romantici di Natale, aborrita da mio marito e dai miei figli. Io invece adoro queste storielle scontate piene di neve, orrendi maglioni con le renne, festoni, biscotti allo zenzero, borse stracolme di regali, babbi natale, elfi e aiutanti vari, la ricerca del perfetto albero di Natale da trascinare a casa, i party aziendali, l'ennesima versione di have yourself a merry little christmas, le cioccolate con i marshmellows che si sciolgono dentro, tutte storie di amori contrastati che inevitabilmente finiscono come tutti sappiamo e vogliamo, con attori e attrici mediamente belli e famosi, più o meno sempre gli stessi, fotografia e battute impeccabili, lo standard dei film americani che rende le serie tv italiane, ma non solo, dei prodotti di serie C.
ma, come ho detto, agli uomini di famiglia questi film non piacciono, per cui tocca alternarli a cose tipo fast and furious, mission impossible, terminator, joker, batman e supereroi vari.
l'altra sera cercando qualcosa che potesse andare bene un po' a tutti abbiamo guardato un film italiano, la ragazza della nebbia, scritto e diretto da Donato Carrisi.
Non sto qua a scrivere la trama, e non spoilero niente, ma questo film (e penso pure il libro da cui e tratto, dello stesso Carrisi) è quello che io chiamo un film disonesto.
troppe cose non risolte, troppe forzature. se mi vuoi angosciare, lo devi fare senza questi trucchetti del mestiere, oltretutto usati pure male. così è troppo comodo.
perché qui si tratta di ammazzare qualcuno per soldi.
e mentre nei filmetti onesti che guardo io, lo sterotipo è la regola, qua si vorrebbe fare della psicologia a buon mercato. non solo lanciare un j'accuse al furore mediatico che assoggetta anche le forze dell'ordine, ma indagare anche le motivazioni del male, scandagliare l'orrore, fare un giro all'inferno e tornare.
se vuoi farlo, devi essere un po' più bravo di così, caro carrisi.
perché come ho letto stamattina nel libro che sto leggendo, Cervello senza limiti, che si occupa di sostanze nootrope, ovvero che agiscono sul sistema nervoso migliorando le capacità cognitive, come concentrazione e memoria,
«L’antropologia dimostra che non siamo naturalmente propensi alla guerra», (...) «È molto difficile superare il confine e uccidere un altro essere umano. Il punto è trasformare una persona civile in un assassino senza riportare un impatto psicologico troppo forte.»
Rossi Mason, Johann. Cervello senza limiti (Italian Edition) (p.51). Codice Edizioni. 

uccidere un altro essere umano è molto difficile. soprattutto, come un po' per tutte le cose, la prima volta.
e puoi pianificare come vuoi, ma non sarai più lo stesso.
e non sto neanche a perdere tempo sull'assurdità di un serial killer che smette di colpo di ammazzare e cambia vita, perché questo è davvero troppo. se non sapevi come risolvere la storia, lasciala aperta.
a me non piace, ma almeno non ti rendi ridicolo.
visto che sono in argomento, anche l'ultimo film di checco zalone è disonesto.
ma non vale neanche la pena di parlarne. chissà perché è così difficile far ridere.





mercoledì 30 dicembre 2020

Infinito presente 3 - dire la verità

 


All'università stavo in collegio dalla suore.
Dopo l'esame di maturità, un'esperienza che non auguro a nessuno, mi ero iscritta a scienze forestali. i corsi scientifici erano semestrali, per cui cominciavano a ottobre, e io dovevo trovarmi in fretta un posto in cui stare. così mi sono trovata per caso in un collegio per ragazze di buona famiglia piuttosto snob, unica matricola in quel particolare momento dell'anno accademico in cui solo quelle poche iscritte a facoltà scientifiche si erano già trasferite in collegio, costituendo una sorellanza nella sorellanza, di cui io io cercavo faticosamente di capire le regole non scritte, ma che erano evidentemente ben conosciute dalle altre.

la vita sociale del college consisteva nel ritrovarsi nel cucinino del piano dentro a improbabili pigiamoni in pile, mangiando scatolette di tonno e fagioli, minestrine knorr, bevendo tè o caffè a seconda della metà del mondo a cui appartenevi, chi divorando cioccolata, biscotti, cioccolatini lindor, chi carote scondite e mousse dietetiche e collose, e impiegando il tempo che restava tra lezioni e studio in camera in sfide memorabili a briscola ciacolona, risoluzione collettiva del cruciverba più ostico della settimana enigmistica con l'ausilio dei manuali delle rispettive materie di studio, dizionari, anche etimologici, garzantine e bignami vari e naturalmente disquisendo dei massimi e dei minimi sistemi.
una sera l'argomento erano i nomi assurdi che ci sono in tutte le famiglie. mio padre, per esempio, ha una sorella che si chiama ettorina solo perché era morto il nonno ettore. poi è arrivato mio padre, e l'hanno chiamato ettore, ma era morto anche clemente. allora si è chiamato ettore clemente. e poi è arrivato anche clemente.
c'erano anche storie più inverosimili di questa, come tutte le storie vere. ridevamo parecchio e io chiedo alla mia amica, che allora non era ancora mia amica, in realtà, era solo una delle ragazze che occupava una delle stanze del 4 piano, come si chiamasse suo padre. lei fa finta di non sentire. siccome io sono una mente semplice, pensavo che non avesse sentito veramente, e rifaccio la domanda. Niente, andavano tutte avanti a parlare come se io non avessi parlato, anzi: come se non ci fossi proprio.
In un secondo momento, stesso posto, stesse persone a parte f., una delle altre mi fa: oh, se vuoi evitarti un'altra figura di merda, non chiedere più niente a f di suo padre.
io ho pensato che non mi ero fatta nessuna figura di merda, capisco che la mia amica possa avere dei problemi nel rielaborare il suo lutto, ma cosa c'entra la figura di merda?
ecco, io questo formalismo, queste pensare che imbastire un teatrino di apparenze cambi la realtà, non lo riesco a capire neanche adesso. meglio: capisco, ma non mi appartiene. o di preferire di non sapere. far finta che non succedano le cose. ignorare le domande. come se le risposte non fossero già tutte lì ad aspettarci.
io, quando scrivo delle storie, in genere parto da fatti e persone reali, ma io le chiamo fiction, perché nel momento in cui le racchiudo nelle mie parole, gli dò la forma che voglio io, diventano altro, potrei anche averle inventate, anzi: in genere sembra proprio che le abbia inventate, e forse è così, perché le ho inventate, cioè trovate, io, in effetti, gli ho dato io quella forma lì senza la quale sarebbero cronaca, pettegolezzi o storielle da bar, magari, o forse non sarebbero niente.
perché io, quando scrivo, cerco sempre di fare quello che mi ha insegnato ernest: 
non preoccuparti. hai sempre scritto e scriverai ancora. devi solo scrivere una frase sincera. scrivi solo la frase più sincera che sai.
ecco. io non pretendo di dire, di scrivere anzi, la verità con la V maiuscola. Io cerco solo di dire la MIA verità, che poi credo sia l'unica cosa che possiamo, che dobbiamo, forse, provare a fare.
e mi dispiace se a qualcuno non piace, ma non è che allora cambio versione. o chiedo il permesso.
mi dispiace tantissimo che quella della figura di merda, che considero una delle persone più creative e intelligenti che io conosca, una donna stupefacente che potrebbe benissimo essere il Ceo di un'azienda a livello mondiale, o la prima ministra di qualsiasi stato del mondo,  e invece no, se la sia presa per una storia che ho raccontato, e se potessi la farei togliere dal libretto in cui appare, perché penso che nessuna storia, neanche la migliore, valga la pena di ferire i sentimenti di qualcuno.
ma continuo a pensare che sia una storia bellissima, che vale la pena di essere raccontata, e non chiederò mai il permesso di raccontare una storia sincera, e vera.
 
e. hemingway, festa mobile

 





venerdì 30 ottobre 2020

infinito presente 2 - inginocchiarsi

Brittany runs a marathon, 2019

l'altra sera i miei figli erano dai nonni, e io e mauro abbiamo guardato un film che atante volte avevo proposto di guardare ai ragazzi durante la quarantena.
tratto da una storia vera, parla di una ragazza che riesce a riprendere in mano la sua vita, fino a quel punto un disastro totale, mettendosi a correre e riuscendo, finalmente, a partecipare  alla maratona di NY.
per fortuna che i miei figli non ne hanno voluto sapere, della mia proposta. pensa se mi chiedevano: perché quello le ha dato dei tovagliolini di carta per inginocchiarsi???? (nel cesso del locale dove l'ha invitata ad andare per farsi fare un pompino gratis).
non riesco a togliermi dalla testa quella scena disgustosa. e lei ci va.
e quando lei incontra un uomo normale, in un sito di incontri, e lui la invita a casa sua, lei, come un riflesso condizionato, si mette a slacciargli i pantaloni. e quando lui la ferma e le propone, invece, di andare a letto, lei scappa.
inginocchiarsi per fare un pompino in un lurido bar di merda a uno che hai conosciuto da cinque minuti.
io, inginocchiarmi mi inginocchio davanti al Santissimo Sacramento.
ma adesso, nella mia parrocchia,  non si può più. perchè quello nel banco davanti, davanti al santissimo sacramento, non si vuole inginocchiare. e quindi tu ti avvicini troppo alle sue terga, diciamo.
e non sia mai che, attraverso la mascherina, che tevi tenere addosso nonostante la distanza che mantieni, che penso che in chiesa sia l'unico posto dove si mantengono le distanze, ormai,  a scuola ci hanno detto che basta un metro da bocca a bocca, praticamente è tutto come prima, solo che ognuno sta nel suo banchetto e io ho dovuto comprarmi un amplificatore vocale perché sono già senza voce, a parlare attraverso la mascherina, ecco, in chiesa, se ti inginocchi, rischia che gli attacchi il covid nel didietro a quello davanti che non si vuole inginocchiare, davanti al santissimo sacramento, e quindi devi stare in piedi anche tu. ma perché?
ma qualcuno si è mai inginocchiato, davanti a te?
quando il vostro moroso si inginocchierà davanti a voi, dico alle mie alunne al  catechismo, capirete che gesto meraviglioso è, che qualcuno si inginocchi davanti a te.
è  sperimentare come un gesto di resa, di sottomissione per eccellenza si trasformi, per amore, in una dichiarazione di fiducia totale. Sono qui, ai tuoi piedi, puoi fare di me quello che vuoi, e sono sicuro che non lo farai.
inginocchiarsi per chiedere perdono, inginocchiarsi per giocarsi l'ultima carta: mettersi nelle mani dell'altro, confidare nel suo amore, nella sua misericordia.
Credere che la mia debolezza è la mia forza. quando suona il campanello, alla consacrazione, inginocchiarsi è corrispondere al sommo sacrificio di Cristo come posso.
perché non lo fanno, non lo riesco a capire.




amica mia...

 

The tears, Man Ray
 

l'amarezza che danno gli amori non corrisposti, amica, è il prezzo da pagare per  il tesoro del tuo cuore.
lo so, come ti senti. come quando ti rovini per un regalo che volevi fosse unico, come l'affetto per quella persona, e va a finire nel mucchio dei pacchi che valgono solo il tempo di una canzone d'auguri.
per tutti gli altri, ci sono le tue frasi tranchant e gli sguardi di fuoco, di donna guerriera. ma non per gli affetti e gli amici più cari. non riesci neanche a reagire, non capisci, ti senti sbagliata.
no, amica, non sei sbagliata, ma neanche gli altri lo sono. miserie ne abbiamo tutti, tante.
è che un cuore grande come il tuo, amica mia, grande come il cielo dei tuoi occhi, non ci sta, in tanti posti.
ognuno fa quello che può, ognuno raccoglie e dà quello che può.
lascia andare.
niente va sprecato, niente. neanche una lacrima, neanche una parola.
tutto tornerà, al tempo giusto.



venerdì 21 agosto 2020

ognuno riconosce i suoi 35 - la cosa migliore



Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male.

Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d'incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri?

Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.

PHILIPH ROTH, Pastorale americana (Torino, Einaudi1997)



N.B. ho trovato questa cosa sul sito libri antichi online. GRAZIE!!!


INFINITO PRESENTE 1 - Avere ragione

ragióne 

Vocabolario on line - Enciclopedia Treccani

ragióne s. f. [lat. ratio -onis (der. di ratus, part. pass. di reri «fissare, stabilire»), col sign. originario di «conto, conteggio»]

1. a. La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi, ecc.; può equivalere a giudiziodiscernimentologica, ma ha sign. più ampio e generico e intonazione più familiareil possesso della rdistingue l’uomo dagli animali, o, semplicem., la r.; essere nell’età della r., avere superato l’infanzia (anche ironicam., a chi dimostra di farne poco uso). In contrapposizioni: la fede arriva dove non può arrivare la r.; làsciati guidare dalla re non dall’istintoi peccator carnaliChe la ragion sommettono al talento (Dante); Cauta in me parla la ragionma il coreRicco di vizj e di virtùdelira (Foscolo). 
b. Nel linguaggio filosofico, il termine, provenendo dal lat. ratio come traduzione (Cicerone, Lucrezio) del greco lògos (v.), ne mantiene il duplice significato di ragione e discorso, determinandosi in vario modo come la facoltà di conoscere attraverso la parola e il discorso piuttosto che mediante l’intuizione;
2. a. ant. Discorso condotto secondo ragione; ragionamento, esposizione ragionata
b. Argomentazione o dimostrazione, prova o argomento, di cui ci si vale in un ragionamento per persuadere, difendersi o difendere, confutarelascia che dica le mie re ti persuaderaiprima di decideredevi ascoltare le sue r.; le rche porta non sono convincentiprima con vere rdifender la fama mia e poi con fatti (Boccaccio); 
3. a. Il fondamento oggettivo e intelligibile di qualche cosa, ciò per cui una cosa è o per cui una cosa si fa; e quindi causa, motivo legittimo, che spiega o giustifica un fatto; più esplicitamente, le rultime delle cose, le cause prime, i principî originarî; ultima r. (cfr. lat. ultima ratio), anche nel senso di ultima soluzione, estrema risorsa
b. In alcune locuz. significa, più particolarm., giusto motivo, giusta causa
4. a. Diritto (soggettivo), in senso generico e non tecnicofar valere le proprie r., obbligare altri a riconoscere i nostri diritti, con la persuasione, con la forza, o ricorrendo alla giustizia: farò valere le mie rin tribunale. In alcuni casi, ha sign. più vicino a esigenza
b. In contrapp. a torto, il buon diritto, cioè il giusto nell’agire, il vero o il giusto nel pensare, nell’affermare, nel discutere, nel giudicarela re il torto non si possono dividere con un taglio nettoessere dalla parte della r., o, più com., aver r. (contrapposti a essere dalla parte del tortoaver torto), essere nel proprio buon diritto, o, secondo i casi, dire il vero o il giusto, agire giustamente, comportarsi secondo le regole, ecc.
c. Nel linguaggio giur. ant., diritto, nel senso oggettivo di complesso di norme giuridiche5. ant. Calcolo, conto. 
6. a. In matematica, il termine è usato soprattutto nelle espressioni rdi una progressione aritmetica e rdi una progressione geometrica, numero esprimente la differenza e, rispettivamente, il rapporto costante tra ciascun termine e il precedente. 
7. ant. a. Specie, qualità: Quivi vivande è di molte ragioni (Pulci).  
8. Rsociale (dal fr. raison sociale), il nome commerciale sotto il quale agisce una società in accomandita semplice o in nome collettivo
ho copiato la definizione di "ragione" dal dizionario Treccani, tagliando tutti gli esempi, che se uno vuole li può leggere QUI,  e, come si può vedere, non c'è una definizione di 'ragione' che si possa definire negativa.
eppure, cercando una foto a questo post, ho trovato solo cose della serie: è meglio avere pace che ragione, vuoi avere ragione o essere felice?, lascia chi vuole avere ragione nella sua ignoranza eccetera, messaggi in cui si assimila il voler avere ragione all'arroganza, alla mancanza di rispetto, all'ignoranza, e lo si contrappone, oltre che alla pace e alla felicità (ma se, mettiamo in una causa, hai ragione e ti danno torto, stai meglio o peggio? mah), alla liberalità, al lasciar perdere, all'essere tolleranti e anche, diciamolo: più intelligenti (il che, mi pare, ma forse come al solito pare solo a me, è una contraddizione in termini).
va molto di moda anche a questo proposito citare l'effetto Dunning-Kruger. questi due hanno fatto un esperimento, chiedendo a delle persone di auto-stimare il loro livello di competenze in grammatica, ironia e logica, e poi hanno fatto delle prove. quelli che avevano i risultati più bassi erano quelli che si erano dati i voti più alti. si chiama superiorità illusoria. 
io in ironia e soprattutto logica non lo so, ma in grammatica è difficile battermi. ho fatto anche l'esame all'università, e ho preso uno dei miei soliti 29. comunque.
il fatto è che ogni conversazione col professore che non riguardi cosa mangiamo oggi (argomento in testa alla top ten) o che tempo farà domani, ovvero che superi le tre battute, finisce inevitabilmente con lui che se ne va, accusandomi di voler avere sempre ragione.
perché, scusa, non ho capito: dovrei volere avere torto????
no, è che tu sei convinta che le tue idee siano giuste.
perché tu invece sei convinto che le tue idee siano sbagliate, immagino.
è che io non so argomentare, mi dice.
ah ecco. 

invece è che a me piace discutere, ma io non ce l'ho con le persone. non penso che uno sia stupido, non sia all'altezza. io ce l'ho con le idee. certo, magari mi trovo davanti una persona con limitate capacità di ragionamento, o per cui vincere la partita della discussione, in quel momento, è più importante magari anche della nostra amicizia, e magari decido di lasciar perdere.
ma io sono convinta che ognuno abbia le sue ragioni. la frase che cito continuamente, e che non ha ancora finito di stupirmi nella sua verità, di Jean Renoir, secondogenito del pittore August e grande regista,

Quel che è più terribile, su questa terra, è che tutti hanno le loro ragioni 


La Règle du jeu (La regola del gioco, 1939) 


questa frase, dicevo, è stato il leitmotiv della mia quarantena. e non solo. 
e a me interessa capirle, queste ragioni. non è compassione, è che proprio mi interessa.
davvero.
mi interessa capire perché. io me lo chiedo continuamente: perché?
ecco, io, quando discuto, cerco qualcuno che mi dia delle ragioni più forti delle mie.
tutto qua.






mercoledì 29 aprile 2020

fin che la barca va...



una volta, avrò avuto diciassette o diciott'anni, nella mia parrocchia si è fatta una 'missione'. le missioni, che adesso non si fanno più, consistono nel chiamare un predicatore, di solito un francescano di qualche tipo, o anche più di uno, che per una settimana fa delle catechesi ai parrocchiani, a volte anche nelle piazze, o andando casa per casa. La sera che toccava al gruppo giovani, io ci sono andata ed era appena morto un ragazzo, nella nostra scuola. era uno di quelli che sembra che non debbano morire mai. io non lo conoscevo, anche se aveva la mia età, se non di vista. ma al sabato era a scuola, e al lunedì era morto. meningite fulminante. la cosa mi aveva sconvolto.
chiedo al frate: ma com'è che Dio permette questo? 
e lui mi fa: cos'è che ha ucciso il tuo amico? il microbo. non è mica Dio che ha ucciso il tuo amico, è stato il microbo!
ora, io non lo so se il frate ci credesse veramente, spero di no per lui. io, comunque non ci ho creduto per niente. poi uno mi ha detto che questa domanda è una domanda ingenua. sarà.
però se mi succedesse adesso, saprei cosa dirgli, al frate: ma lei non crede in Dio, Padre ONNIPOTENTE???? o dice il Credo così, per abitudine?
perché delle due l'una: o crede in Dio ONNIPOTENTE, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose, visibili e, UDITE UDITE, invisibili, oppure no.
io ci penso anche quando stramaledico le zanzare, si figuri. e concludo  che sono creature demoniache, non nel senso che le ha create il demonio, che non potrebbe creare un bel niente, ma che le ha assoggettate al suo dominio, trasformandole in quegli esseri abominevoli che sono.
ecco. 
il frate, secondo me, avrebbe dovuto dirmi: cara laura, il male esiste, è qui, in mezzo a noi, è anche dentro di te, nel tuo cuore. il demonio esiste, e come leone ruggente si aggira tra noi, cercando chi sbranare. ma Gesù tornerà e sconfiggerà tutto questo, e l'ultimo male, il più grande, a essere sconfitto sarà la morte. lui ha già cominciato, e noi, che abbiamo la grazia di essere diventati suoi discepoli e fratelli adottivi per mezzo della croce che patì per noi, dobbiamo continuare come possiamo l'opera di redenzione dell'umanità. come, vuoi sapere? convertendo la nostra vita, ognuno la sua.
prendendo la nostra croce, ognuno la sua.
questo avrebbe dovuto dirmi il frate, e questo avrebbe dovuto dirci papa francesco, l'altra sera nella piazza san pietro deserta. altro che siamo tutti nella stessa barca. remiamo insieme, dai.
ma verso dove?????? verso la riva? ma quale riva? verso la salvezza?? ma quale salvezza???
speriamo, siamo solidali, siamo CREATIVI!!!
ma soprattutto: RESTIAMO A CASA. nei nostri divani, lo faccio anch'io, eh, sia chiaro, impoltronati come il papa davanti al corpo di Gesù.
se Dio, l'Onnipotente, avesse fatto quello che poteva fare benissimo, l'altra sera, squarciare i cieli e fermare il diluvio, rendere la notte giorno, sanare le ferite, perfino resuscitare quei morti portati via coi camion dell'esercito, che già mandano cattivo odore, come ha detto Marta a Gesù nel vangelo di oggi, ma credete che qualcuno avrebbe creduto? che avrebbe cambiato la sua vita?
ieri pomeriggio la mia chiesa, come ogni sabato, era aperta per la preghiera per un paio d'ore. sono entrata e ho letto il vangelo di oggi, Gv 11, 1-45 e mi sono fermata alle prime righe:
'QUESTA MALATTIA NON E' PER LA MORTE, MA PER LA GLORIA DI DIO, 
PERCHE' PER ESSA IL FIGLIO DI DIO VENGA GLORIFICATO'
ecco. se il frate mi avesse detto sta roba qua, quella volta, secondo me il padreterno sarebbe stato più contento, che metterlo sotto a dei microbi che neanche si vedono. magari l'adolescente incazzata con Dio che ero non avrebbe accettato questa spiegazione, ma almeno poi avrei saputo che vera. sarebbe stato più contento, il padreterno, che il papa dicesse preghiamo, convertiamoci, cambiamo il nostro cuore. questa malattia, questo dolore non è disperazione, non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché Lui, il salvatore tornerà, nella gloria, e la nostra gioia sarà piena, gioia senza fine alla sua presenza!!! salvaci, Signore, perché senza di te siamo niente!!! Avrebbe dovuto dire: uniamo le nostre sofferenze, il nostro dolore, anche le nostre morti, alle sofferenze, ai dolori, alla morte di Gesù crocefisso perchè con Lui anche possiamo risorgere!
altro che remare, ma cosa volete remare!!!!!!