sarà una pasqua sfiorita. calda e sfiorita.
sono già sfioriti anche i ciliegi, che di solito, quando la
pasqua è alta, sono gli unici rami da portare al sepolcro, il venerdì santo.
quando c’era ancora il mio parroco, don silvano, il giovedì santo
allestiva l'altare della reposizione e chiedeva che si portassero i fiori dagli orti di casa,
ed era un tripudio di forstizie, rami di pruno e pesco, tulipani, narcisi,
viole… adesso è tutto diverso, i vasi in fila, simmetrici. ordinati.
il ciliegio è una pianta strana. quando vent’anni fa si
sposavano tutti, c’era la moda della cucina di ciliegio. che a me, con quel
colore un po’ rossiccio, nella cucina laccata, mi sa un po’ da finto, non mi è
mai piaciuto. la pianta, invece, quella sì che mi piace, ma bisogna prenderla
nel suo insieme, perché i rami sono nodosi, grossolani, con dei nodi che spesso
sudano un miele rossiccio che attira le formiche, e i fiori, che a vederli da
lontano, sono delle bellissime nuvole bianche, da vicino invece sono grappoli,
che saranno poi le ciliegie, cadenti, pesanti. la corteccia, mi piace, dei
ciliegi, col suo color argento scuro, ossidato, che si sfalda in orizzontale, a
strisce,e le foglie, d’autunno, coi loro incredibili rossi e gialli.
hanno tagliato anche l’erba, ormai, neanche i
nontiscordardimè, ci saranno, ormai, fiori che si trovano a maggio, nei campi,
e gli iris, le rose e le calle.
ci sono quelli che amano gli animali. a me piacciono le
piante.
le piante stanno a casa loro, non ti leccano, non puzzano,
non sporcano, non fanno rumore. puoi tagliarne dei pezzi, ricrescono,
raccoglierne i fiori e i frutti.
io passeggio in un prato e mi sento a casa mia, conosco
quasi tutti, che da piccola avevo deciso che facevo l’erborista. tra le varie
cose.
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