venerdì 24 agosto 2012

ragazzo negro




quando avevo dodici tredici anni avevo due manie: i negri e gli ebrei.
in quarta elementare ci arrivò una maestra che io le farei un monumento, si chiama gabriella cabianca ed è una delle più brave maestre che conosco. molto ma molto egoisticamente, spero che non vada in pensione così farà la prima ad antonio. vabbè, comunque ci arriva questa maestra qua che ci legge sempre un pezzo di libro al giorno. io i libri che mi ricordo di più tra quelli che ci ha letto sono la capanna dello zio tom e il diario di anna franck.
questo libro qui sopra me lo sono comprata quando andavo alle medie. sapevo tutto di martin luther king. in tv davano il mitico sceneggiato Radici, e io poi ho letto anche il libro. poi ho cominciato a leggermi tutto quello che trovavo sugli ebrei.
kunta kinte, il protagonista di Radici
questo per dire che lo so che la parola 'negro' non si deve usare.
che poi: gli stessi afroamericani usavano la parola 'negro' (proprio questa, non la n-word, la parola impronunciabile, che io la pronuncio ed è nigger). sempre finché facevo le medie, nel miserabile mobiletto che costituiva la nostra biblioteca di classe ho trovato un fascicolo di negro spirituals che mi sono entrati nella carne e non ne sono usciti più, primo fra tutti Were you there when they crucified my lord. si chiamano ancora così, negro spirituals, come il romanzo sopradetto si chiama ragazzo negro, anche se mi pareva di aver letto che ne avevano fatto una versione 'ripulita'.
per non essere razzista, nel mio post avrei dovuto dire: dei tizi, degli stronzi, magari. ecco. perché io, che amo il piccolo chimico, quando uno dei miei alunni mi dice che non si dice negro, si dice di colore, io gli chiedo sempre: quale colore? e se mi dice che si dice africano, gli dico che anche il marocco è in africa, e non mi pare che il suo compagno di classe marocchino (oh, pare che bisogna stare attenti anche a usare sta parola qua) sia nero. potevo dire ghanesi, perché erano ghanesi, ma anche quello è razzista, in fondo.
la tragedia è che i miei alunni, tutti, sanno benissimo che non si deve dire negro, ma quando gli chiedo chi è martin luther king non sanno manco di chi parlo, e se gli chiedo come mai secondo loro negli stati uniti d'america ci sono tanti neri, che si devono chiamare afroamericani (e no di colore, che quello ce lo abbiamo tutti), mi rispondono: perché in america si stava meglio. 
allora gli racconto la storia di rosa parker, gli dico che è morta l'altr'anno, mica nell'ottocento. e faccio partire in the name of love, che a loro rimbambiti di coldplay gli pare chissà che. che lo è, poi.

2 commenti:

  1. La questione della political correctness (come si dice quando si vuole dar sfoggio di erudizione) è davvero spinosa. Anch'io a pelle rifiuterei questo tipo di condizionamenti culturali, d'altra parte cerco di mettermi nei panni di chi potrebbe sentirsi offeso sentendo un termine che ormai, volenti o nolenti, è associato a determinati stereotipi ed evito di usarlo. A volte si arriva a situazioni paradossali, comunque: ricordo che spesso mi sono chiesta se usare il termine "ebreo" fosse cosa buona, per poi rendermi conto dell'assurdità della domanda. Eppure il riflesso condizionato era lì... Del resto, se si riflettesse in un atteggiamento migliore all'interno della nostra società, sarebbe un "sacrificio" da niente. Ma spesso non conduce ad altro che ad una soffocante ipocrisia.

    RispondiElimina
  2. un mio amico diceva che sono le donne che credono che cambiare il nome alle cose cambi le cose. in effetti, un non udente resta sordo. comunque dicevo per dire, io il termine negro non lo uso correntemente, magari adesso recupero 'moro', sempre meglio che 'di colore'.

    RispondiElimina