'racconta la tua storia', o 'spiegalo anche tu', è la traduzione dal turco dell'hashtag #sendeanlat.
Özgecan Aslan, vent'anni, studentessa di psicologia, il 13 febbraio è salita sul pulmino per tornare a casa ed è stata sequestrata dall'autista e da un complice. lo spray al peperoncino che ha usato per opporsi alla violenza non le è servito. accoltellata e picchiata a morte, le hanno anche tagliato le dita perché non fosse riconosciuta dalle impronte digitali, prima di bruciarla, forse ancora viva, e gettarla in un lago.
questo fatto ha scatenato una fortissima reazione in turchia, anche sui social media, per cui il suddetto hashtag ha avuto in poche ore 800mila contatti, donne che raccontavano violenze e angherie di tutti i tipi, subite in silenzio, in famiglia, sul lavoro. anche donne famose, come l'attrice Beren Saat, hanno denunciato molestie sessuali di vario genere subite nel corso della loro vita.
perfino il premier erdogan, che aveva giustificato la condanna di alcune donne che avevano ballato in strada perché queste cose non appartengono alla cultura del suo paese, e che ha sostenuto che le donne devono stare a casa e fare almeno tre figli, ha dovuto esporsi e definire la violenza contro le donne "una ferita sanguinante" del Paese.
ho trovato in un articolo della rivista on line sponda sud news che 'secondo il Komalên Jinên Kurdistan (Comunità della donne del Kurdistan), KJK, gli omicidi e le violenze nei confronti delle donne in Turchia e nel Nord Kurdistan non sono dei fatti isolati e distinti gli uni dagli altri, ma fanno parte di un femminicidio sistematico incrementato in maniera esponenziale durante gli anni del governo AKP di Erdoğan. Secondo il KJK la violenza sulle donne fa parte integrante della politica dell’attuale governo di Ankara, che pone nella sua agenda la rivincita dell’uomo sulla donna in territori in cui la cultura di una vita comunitaria, libera e ugualitaria stava prendendo piede. Per questo motivo, sempre secondo il KJK, l’AKP attacca i diritti e le libertà delle donne guadagnati attraverso importanti lotte, e spinge le donne fuori dalla società relegandone nuovamente ad una vita strettamente famigliare, ad accudire casa, marito e figli'.
alle proteste in piazza, comunque, hanno partecipato in tutto il paese anche moltissimi uomini.
il padre di Özgecan, leggo sempre nel succitato articolo, 'ha rifiutato l’idea di pena di morte per l’assassino di sua figlia, sostenendo che questa pena probabilmente spaventerebbe gli intenzionati a effettuare delle violenze, ma non cambierebbe l’istinto, per cui il lavoro va fatto sull’educazione e sulla capacità di tenera a freno gli istinti maschili. Stesso discorso fatto dalla giovane moglie dell’omicida che, chiedendo scusa alla famiglia della studentessa, si è augurata che al marito venga data la pena più pesante presente nel sistema penale turco.'
forse, come ha titolato un quotidiano turco, Hurriyet, “Bak Özgecan, degisiyor”. Guarda, Özgecan, qualcosa cambia.
forse.
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