mercoledì 28 gennaio 2015

per non dimenticare



da quando la maestra gabriella ci lesse, in quarta elementare, il diario di anna frank, gli ebrei e la loro storia sono diventati, per me, un'ossessione. alle medie mi sono comprata se questo è un uomo. ricordo un librone di quelli che non si sa se sono tratti o ne hanno tratto una roba per la tivù, olocausto. e poi tanta altra roba. libri, film, testimonianze.
poi primo levi si è ammazzato.
nell'89 sono andata ad auschwitz. arbeit macht frei. solo i tedeschi.
all'università ho fatto un corso su calvino e primo levi. ho letto la tregua, i sommersi e i salvati. e gli straordinari racconti della chiave a stella. che ce li avevo in casa e non so come cavolo ho fatto a non accorgermene. e il sistema periodico.
quando andai in polonia, nell'89, c'erano molti ragazzi russi. avevano avuto il visto per uscire, non che gliene fregasse qualcosa di vedere il papa, ma potevano uscire. con uno ho cominciato una corrispondenza. finché è venuto fuori che era antisemita, come tanti russi. quelli che hanno liberato auchwitz, sì. quelli che, come ho scoperto poco dopo leggendo brodskij, mettevano sul passaporto il timbro rosso 'ebreo'. quelli che, ho scoperto solo qualche tempo fa, hanno riciclato il campo che avevano liberato per metterci chi gli stava sulle balle a loro, come mi ha raccontanto jorge semprun (ne ho parlato qui)
oggi ho sentito alla radio qualcuno che diceva che la shoà è, per fortuna, un unicum.
da un po' di tempo sto pensando di no.
cioè, lo è nel senso che con gli ebrei ce l'hanno tutti.
ma come la mettiamo con stalin e le sue purghe? non quelle sui sospettati politici, per cui potevi finire in un lager per un banale sospetto. No, quello delle minoranze nazionali. ho trovato qualche notizia in questo articolo del corriere del 1997 su un convegno tenuto a cortona,
La Russia nell'eta' delle due guerre (1914 - 1945). Verso un nuovo paradigma. Studiosi di Stati Uniti, Inghilterra, Svezia, Italia, Federazione russa metteranno a fuoco i prodotti di una delle caratteristiche dell'Urss di quegli anni: la convinzione dell'incombenza di una guerra sulla vita del Paese, dapprima quella contro i kulaki, poi un conflitto mondiale. "Nel 1937 - '38 Stalin diede precise disposizioni affinche' fossero deportate, e severamente epurate, intere popolazioni che abitavano su territori di confine, ritenute inaffidabili nell'eventualita' di un conflitto", sottolineera' Chlevnjuk. "Fu questo - spieghera' - in particolare il caso dei cittadini sovietici di etnia coreana, 170 mila persone, e giapponese". A loro tocco' di sperimentare quanto sarebbe accaduto dopo ai polacchi e alle minoranze del Caucaso, ai balkari, ai tatari dell'Uzbekistan. Un trattamento feroce, descritto con efficacia in una biografia del capo della polizia politica Nkvd, Beria di Amy Knight, attraverso le parole di un sopravvissuto: "In carri bestiame pieni fino a straboccare, senza luce e senza acqua, viaggiammo verso la nostra destinazione per circa un mese. Il tifo infuriava. Non c'erano medicine. Durante le brevi fermate in stazioni solitarie seppellivamo i nostri morti vicino al treno, sotto neve nera per gli scarichi della locomotiva. Era proibito, pena la morte, allontanarsi piu' di cinque metri dal treno". Se il 1937 fu forse l'anno piu' sanguinario per le torture, un ruolo non meno infelice spetterebbe al 1939. "Il paradigma che emerge dal 1939, quando fu stretto il patto della Russia con Hitler, e' il dispotismo derivato da un decennio di guerre interne rafforzato da una politica estera concentrata nelle mani di Stalin", osserva Silvio Pons, vicedirettore della Fondazione Gramsci. Un po' come dire, parafrasando al contrario la massima di Von Clausewitz sul legame tra politica e guerra, che il 1939 fu la continuazione del 1937 con altri mezzi. Consacro' in chiave politico - diplomatica cio' che si intravvedeva nella repressione di due anni prima: il passaggio dalla dittatura del partito unico alla dittatura del despota. Chlevnjuk critichera' quegli antistalinisti attenti prevalentemente alla "patologia mentale di Stalin e alla sua natura di carnefice". Il primo scopo dei dirigenti nelle deportazioni, insistera', era "l'eliminazione di una potenziale "quinta colonna".
e pol pot? di quello non ne parla più nessuno. eh, tanto è morto da un pezzo (1998). basta un'occhiatina a wikipedia, tanto per dire:
Il 13 maggio 1976 Pol Pot venne nominato Primo Ministro di Cambogia, e iniziò a varare delle radicali riforme comuniste, denominando il processo "Super grande balzo in avanti"[6], ispirandosi alle politiche maoiste. I bombardamenti statunitensi avevano portato allo svuotamento di parte delle aree rurali e le città si erano sovraffollate (la popolazione di Phnom Penh superò il milione di abitanti prima del 1976). Pol Pot pensava che l'unica via al comunismo fosse ripartire da zero. Quando i Khmer Rossi presero il potere, evacuarono i cittadini dalle città verso la campagna, dove venivano costretti in fattorie comuni. La proprietà venne collettivizzata seguendo i già sperimentati modelli sovietico, cinese e vietnamita, e l'educazione si teneva in scuole comuni. Ma l'effetto della dittatura non si limitò a queste riforme: il regime di Pol Pot fu infatti una delle più spietate dittature della storia. Migliaia di politici e burocrati vennero uccisi, mentre Phnom Penh veniva trasformata in una città fantasma dove molti morivano di fame, malattie o perché giustiziati. Venivano perseguitate e uccise tutte le persone non iscritte al Partito che avessero un'istruzione, e anche il solo fatto di portare gli occhiali era sufficiente per essere indicati come intellettuali e quindi come nemici del popolo.[7] Le mine, che Pol Pot lodava come "soldati perfetti", erano ampiamente distribuite in tutto il territorio. Il governo dei Khmer Rossi ripeteva spesso attraverso la radio che la nuova utopia comunista necessitava solo di un milione o due di persone; per gli altri valeva il proverbio del "Tenervi non comporta alcun beneficio, eliminarvi non comporta alcuna perdita".[8] Il numero di vittime causate da Pol Pot è conteso.  (clicca qui per leggere il resto)
ma almeno questi sono morti.
ch invece è ancora vivo è Kim Jong-un, il figlio di Kim Jongil, il dittatore che ha massacrato i nord koreani (ne ho parlato qui, un pochino). sul massacro koreano è uscito un rapporto ONU neanche un anno fa, in cui la persecuzione è paragonata esplicitamente allo sterminio nazista. ne sentite parlare voi? forse sì, per il fatto che una nota azienda americana ha ritirato la distribuzione di un film satirico proprio su questa brava personcina, e dopo che era già stato pubblicato il rapporto ONU...

ecco, quello che vorrei, per questa giornata della memoria, è non pensare che è successo, e basta, ma ricordare che è successo, e può succedere ancora. succede.
me l'ha insegnato primo levi, che in una delle ultime pagine de I sommersi e i salvati ci ricorda:

È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire. Può accadere, e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; [è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori].


La violenza «utile» o «inutile», è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato […]. Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo.
Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono «belle parole» non sostenute da buone ragioni.

Nessun commento:

Posta un commento