cinquant'anni, poco più. la scuola, la casa, la lotta impari col caos,un marito e tre ex piccoli figli adorabili, quando dormono... e questa piccola stanza virtuale tutta per me.
lunedì 29 aprile 2013
domenica 21 aprile 2013
odio
qualche tempo fa un mio amico - parlavamo di salvezza dell'anima - mi ha detto: il problema è che io odio.
io non ho saputo cosa dire. la mia prima reazione è stata di stupore, come davanti alle cose che non capisco. perché io, a parte la pioggia, non odio proprio nessuno.
non mi viene naturale, intendo. sono una persona irascibile, e i miei figli esauriscono sempre troppo rapidamente la piccola riserva di pazienza di cui sono dotata. che poi, anche la pioggia, più che altro non la sopporto, mi mette di cattivo umore, mi toglie energie. ma non è che desidero che sparisca dalla faccia della terra. la pioggia come chiunque altro.
è che io ho un grande dono: mi dimentico le cose. per quello, credo, non riesco a portare rancore. lo considero un grande dono prima di tutto per me, perché l'odio ti rode dentro, come la carie.
una volta ho partecipato a un viaggio con arzille signore annoiate. era un tour dei musei di arte contemporanea della provenza. picasso, chagall, la piccola cappella di matisse a vence, la fondazione maeght a saint paul de vence, mirò... indimenticabile, anche per i compagni di viaggio: mia sorella e una giovane coppia, lei una bellezza angelica dal sorriso disarmante, lui capace di trasfigurare con l'ironia la situazione più paradossale. è morto giovane, troppo giovane, e ogni volta che penso a quel viaggio, o rivedo lei, mi ritrovo a pensare a quanto mi sono divertita alle sue esilaranti, surreali battute.
beh insomma in sto viaggio c'era anche la mia vecchia professoressa di scienze del liceo, che in generale odiava le femmine, e me, non so perché, di più. a me piaceva un sacco, fare il laboratorio di scienze. nonostante lei mi odiasse, le ero grata per quello che ci faceva fare. lo sapevo, che non è una cosa comune, in un liceo classico, fare la dissezione di un qualsivoglia animale, preparare il vetriolo con l'acido solfidrico, e cose così.
comunque a un certo punto eravamo dentro una chiesa, mi pare, lei si siede accanto a me per ascoltare la spiegazione e mi fa, con la sua dentiera traballante che aveva già al liceo: tu mi odi, vero? lo so che mi odi. io le ho detto no, e basta, non mi è venuto fuori altro. che poi mi ha fatto venire in mente quella volta che nevicava e sono andata a scuola lo stesso ed eravamo in quattro e siccome non poteva andare avanti ci ha interrogato tutti, quell'altra che le ho chiesto di uscire perché ero piegata in due da quello stramaledetto mal di pancia mestruale, e lei mi fa, con un sorrisetto sadico: stavi proprio male, ieri, eh? cose che, se non mi avesse detto così, avrei dimenticato proprio del tutto. ma odiarla...
era una donna infelice, credo, e mi dispiace, perché poteva essere una tipo la montalcini, le assomiglia pure, uso il presente perché da quello che so è ancora viva, l'ultima volta che l'ho vista ero incinta, quindi non è stato tanto tempo fa, stavamo dal medico che fa i certificati per la patente...
beh, insomma, l'altro giorno è morta margaret thatcher.
e tutta sta gente che brinda perché è morta una donna di 87 anni con l'alzheimer...
quando c'era la thatcher, a me piaceva. non sapevo niente della situazione degli operai inglesi, poco dei minatori coi loro scioperi ad oltranza, pochissimo di bob sand e degli altri morti di fame (nel vero senso dei termini).
era una donna a capo dell'inghilterra, perchè allora la chiamavo ancora inghilterra, non come adesso che stresso i miei alunni che si chiama regno unito di gran bretagna e irlanda, una donna che aveva le idee chiarissime e non aveva paura di fare quello che credeva giusto fare.
poi il bianco e nero ha cominciato a farsi tutto un grigio, ho visto grazie signora thatcher, full monthy, i tristissimi film operaisti di ken loach, ho conosciuto l'irlanda, e ho amato la sua musica, la sua storia e la sua gente. probabilmente adesso margaret tahtcher non mi piacerebbe più, probabilmente non piacerebbe più a tanti.
stamattina ho sentito il sindaco di londra, alla radio, dire che ha reso gli inglesi infelici.
non lo so. io sinceramente non lo so come sarebbe andata senza la thatcher. sempre facile parlare col senno di poi.
comunque, come ho detto al professore, l'hanno eletta tre volte.
anche hitler, mi ha detto lui. 'che voto avevi in storia in terza liceo?'.
non me lo ricordo. basso, probabilmente. ho un'idiosincrasia per le date. l'esame di storia contemporanea era andato benissimo, finché all'ultima domanda il prof mi ha chiesto quand'era cominciata la prima guerra mondiale. nel 1914, ho detto esitante io. sì, ma la data, mi fa lui. eh, la data. non la so, la data. lei capisce, la devo mandare via... la prima guerra mondiale... sì, certo capisco, arrivederci. comunque hitler appena eletto ha instaurato una dittatura. la thatcher no. non era una pazza furiosa.
io capisco l'esultanza quando i suoi cari colleghi di partito l'hanno fatta fuori sostituendole l'insulso john major. ma adesso... no, non lo capisco, non lo posso proprio capire.venerdì 19 aprile 2013
Etty, Rilke e l'ironia
oggi ho dovuto riportare in biblioteca il diario di etty hillesum, anche se non sono neanche arrivata a un terzo.
avevo già rinnovato il prestito un paio di volte, e rischiavo di pagare la multa di tre euro.
mentre camminavo verso la biblioteca, veloce che dovevo andare a prendere i bambini, ho aperto il librone a caso, per trovarci un ultimo pensiero da ricordare.
e l'ho trovato. inaspettato, così perfetto per me da inquietarmi. in biblioteca ho fotocopiato la pagina, e adesso la trascrivo qui, non lo so se per qualcuno questa roba può andar bene come per me, lo spero, perché per me va proprio bene, non lo so neanche io quanto va bene, so solo che è tanto, perché io l'ironia da sempre la uso come arma di autodifesa, è un pezzo che l'ho capito, e adesso un po' mi conforta, sapere che non sono da sola, ma anche capire che se continui ad andare in giro con 'sta corazza, non vai tanto lontano.
un paio d'anni fa sono andata col professore a trieste. era il 21 marzo, credo. sicuramente primavera. ho trovato in un negozio di antiquariato un libro di rilke che non so se fossero le elegie duinesi. il professore, rilke non lo conosceva. gli ho regalato il libro, perché rilke, uno non può non sapere chi è.
un paio d'anni fa sono andata col professore a trieste. era il 21 marzo, credo. sicuramente primavera. ho trovato in un negozio di antiquariato un libro di rilke che non so se fossero le elegie duinesi. il professore, rilke non lo conosceva. gli ho regalato il libro, perché rilke, uno non può non sapere chi è.
beh, adesso ricopio
Qualcosa sull'ironia. Anche qui dipende da come viene usata, se come arma di autodifesa o come uno dei molti mezzi per avvicinarsi alla vita. Rilke lo dice meglio parlando al suo giovane poeta:
" Non vi lasciate dominare dall'ironia, specialmente nei momenti di aridità. Nei fecondi, tentate di di servirvene come un mezzo in più per afferrare la vita. Usata con purezza, anch'essa è pura, e non bisogna vergognarsene; se vi sentite tropo in confidenza con essa, e se temete questa crescente confidenza, rivolgetevi allora alle cose grandi e gravi, davanti alle quali essa si fa piccola e inerme.
" Cercate la profondità delle cose: fin laggiù l'ironia non scende mai - quando sfiorate in tal modo il margine della grandezza, saggiate nello stesso tempo se questo modo di vedere nasce una necessità del vostro essere. Ché sotto l'influsso di cose gravi essa o cadrà da voi (se è qualcosa di accidentale) o s'irrobustirà ( se veramente v'appartiene come innata) a serio strumento e s'allineerà nell'ordine dei mezzi, con cui voi dovete elaborare la vostra arte".
martedì 16 aprile 2013
la mamma snaturata e il cinema 6 - la bestia nel cuore
su raimovie stanno facendo 'la bestia nel cuore' un film che vidi qualche tempo fa, credo proprio quando andavo a quella rassegna che avevo scoperto a monterotondo, ci andavo dopo la scuola, nel tardo pomeriggio, da sola.
giovanna mezzogiorno sembra sempre che stia per piangere, o vomitare, o le due cose insieme, magari. invece non piange. tanto meno vomita, almeno non nella seconda parte del film, che è quella che ho rivisto.
e la scena delle doglie sul treno, già mi era parsa un po' assurda che non avevo ancora mai partorito, e adesso proprio lo è. che anche a me si sono rotte le acque che stavo a letto, e sono andata all'ospedale, e ho fatto 12 ore di travaglio, dopo.
poi c'è la coppia lesbo improbabile, e il regista che faceva l'esperto sessuologo in 'tutti pazzi per amore', boni con quell'accento che ha, che speri sempre che non apra bocca, insomma, 'na roba un po' improbabile, ecco. e, notoriamente, la prima cosa che mi interessa, in un testo, è la coerenza.
mah.
lunedì 15 aprile 2013
essenzialità
davide rondoni ha scritto un articolo sulla povertà della chiesa che
io condivido in toto, anche se c'è qualcos'altro, che vorrei dire su questo argomento.
nella ricchezza della chiesa, nel suo spendere denaro per la cappella sistina piuttosto che per i poveri, nella stupefacente grandiosità di certa musica sacra, nella preziosità dell'oro usato per gli arredi sacri, c'è la risposta, per quanto meravigliosa ai nostri occhi, piccola a quelli di dio, dell'uomo che risponde alla infinita grandezza del suo creatore con quanto di meglio sia in grado di fare e di avere, se non di essere.
nella ricchezza della chiesa, nel suo spendere denaro per la cappella sistina piuttosto che per i poveri, nella stupefacente grandiosità di certa musica sacra, nella preziosità dell'oro usato per gli arredi sacri, c'è la risposta, per quanto meravigliosa ai nostri occhi, piccola a quelli di dio, dell'uomo che risponde alla infinita grandezza del suo creatore con quanto di meglio sia in grado di fare e di avere, se non di essere.
'niente è abbastanza per Dio', ci disse un giovane prete dopo un servizio liturgico che col coro in cui canto avevamo animato. per questo io canto, e per questo, ne sono convinta, michelangelo ha fatto quello che ha fatto.
ricopio l'articolo pubblicato da avvenire senza modifiche, solo perché non vorrei che il link diventasse inattivo.
4 aprile 2013
La bellezza della Chiesa e la "ricchezza" della storia
Gran valore è l’essenzialità
non una povertà fine a se stessa
non una povertà fine a se stessa
DAVIDE RONDONI
M’ha
sempre colpito che nel testamento di san Francesco, estrema richiesta e
ammaestramento finale ai suoi, non c’è nessun invito alla Chiesa o al
Papa d’esser povero. Anzi c’è l’invito a una devozione finanche se i
preti risultassero indegni. Il poverello era lui, Francesco, e aveva
scelto quella forma di testimonianza cristiana chiedendo consiglio a un
prete, aprendo a caso tre volte il Vangelo insieme all’amico Bernardo.
Severissimo dunque nel chiedere a se stesso e ai suoi frati l’obbedienza
alla regola di povertà, di castità e obbedienza, ma mai impancandosi a
richiederla ad altri. Vedo invece che va abbastanza di moda chiedere
alla Chiesa d’esser povera secondo il mondo. E non mi pare da dei
sanfranceschi.
E per Chiesa di solito si intende il complesso monumentale che ospita la Santa Sede, il Vaticano. Erroneamente. Perché anche i ciechi vedono che la Chiesa – nella stragrande maggioranza delle sue espressioni, missioni, parrocchie, gruppi, presenze – è povera, quando non poverissima. Ma si insiste, e lo fanno spesso gli intellettuali che poi magari vanno in visibilio davanti a sfarzosi templi orientali, a vagheggiare una Chiesa povera, un papa scalzo, un muro appena intonacato invece della Cappella Sistina. In questa richiesta c’è mischiato a buone intenzioni lo stesso errore, a mio avviso, la stessa erranza di chi all’opposto si affida alle ricchezze: ovvero sfugge in entrambi i casi l’essenziale. Lo mostra il famoso episodio del Vangelo, quando Giuda muove per primo in modo esplicito la obiezione ai beni usati in modo 'improprio'.
Riferendosi all’olio che la donna prostrata e piena di solitudine e sperdutezza sta adoperando per i piedi di Gesù, ringhia che sarebbe stato meglio impiegare i soldi che se ne potevano ricavare per i poveri. E Gesù – già sapendo da chi gli viene quella obiezione – lo fulmina: di lei si parlerà per sempre, perché ha onorato la sua presenza. I poveri li avrete sempre con voi, conclude il Nazareno. Nessuno di noi, avendo ospiti a cui tiene in casa, mostrerebbe il lato più misero della abitazione. Ci si darebbe da fare per abbellirla, per mettere fiori nei vasi, o cose del genere. Basta pensare che quando si aspetta l’amata o l’amato ci si pettina, ci si profuma, si prova a farsi bello o bella. La ricchezza della Chiesa consiste nel farsi bella per l’amato che la abita e che sempre viene. Questo è l’essenziale, come sapeva la donna sperduta raggomitolata ai piedi di Cristo, piena di peccati ma donatrice di un olio prezioso. Certo in questo onore dato a Gesù si può mescolare – come accade sempre in ogni cosa che viene dal cuore umano – l’ambiguità della vanagloria, del possesso. Ma al contrario, una posizione 'pauperista' corre lo stesso rischio.
Chi infatti potrebbe dire, senza essere superbo e vanitoso: non ho bisogno di abbellire la casa in cui ti accolgo perché, caro ospite, ti deve bastare la mia presenza? Il problema non è mai la povertà, ma l’essenzialità, ovvero che tutto tenda all’essenziale. Una stanza spoglia che non richiami al mistero di Cristo sarebbe inutile come e quanto una stanza bella che non richiami a quel medesimo mistero. E di certo, come vediamo spesso, la forza di tale richiamo sta nella vita e nella esperienza di chi abita la casa, ma anche – mutando storicamente stili e gusti – negli occhi di chi la visita. Se perdiamo la capacità di leggere i capolavori di Michelangelo come erano per lui – mendicante supremo della forza del vero Artista – possiamo vedere in tutto solo vuoto, sfarzo e vanità. Nulla è meccanico nel cuore e nello sguardo. Occorre sempre, in uno sperduto tugurio dell’Africa più dimenticata o nella stanza affrescata di un santuario barocco, richiamare a se stessi l’essenziale per cui ci si trova lì. La povertà è segno potente, almeno quanto la bellezza. Ci può essere una vanità, un vuoto di Lui anche nella miseria e nella povertà, come nello sfarzo. E una gloria, una essenziale preghiera, nel genio dell’artista e dell’architetto come in quella del bambino che pulisce i gradini di una chiesa fatta di paglia e terra secca.
E per Chiesa di solito si intende il complesso monumentale che ospita la Santa Sede, il Vaticano. Erroneamente. Perché anche i ciechi vedono che la Chiesa – nella stragrande maggioranza delle sue espressioni, missioni, parrocchie, gruppi, presenze – è povera, quando non poverissima. Ma si insiste, e lo fanno spesso gli intellettuali che poi magari vanno in visibilio davanti a sfarzosi templi orientali, a vagheggiare una Chiesa povera, un papa scalzo, un muro appena intonacato invece della Cappella Sistina. In questa richiesta c’è mischiato a buone intenzioni lo stesso errore, a mio avviso, la stessa erranza di chi all’opposto si affida alle ricchezze: ovvero sfugge in entrambi i casi l’essenziale. Lo mostra il famoso episodio del Vangelo, quando Giuda muove per primo in modo esplicito la obiezione ai beni usati in modo 'improprio'.
Riferendosi all’olio che la donna prostrata e piena di solitudine e sperdutezza sta adoperando per i piedi di Gesù, ringhia che sarebbe stato meglio impiegare i soldi che se ne potevano ricavare per i poveri. E Gesù – già sapendo da chi gli viene quella obiezione – lo fulmina: di lei si parlerà per sempre, perché ha onorato la sua presenza. I poveri li avrete sempre con voi, conclude il Nazareno. Nessuno di noi, avendo ospiti a cui tiene in casa, mostrerebbe il lato più misero della abitazione. Ci si darebbe da fare per abbellirla, per mettere fiori nei vasi, o cose del genere. Basta pensare che quando si aspetta l’amata o l’amato ci si pettina, ci si profuma, si prova a farsi bello o bella. La ricchezza della Chiesa consiste nel farsi bella per l’amato che la abita e che sempre viene. Questo è l’essenziale, come sapeva la donna sperduta raggomitolata ai piedi di Cristo, piena di peccati ma donatrice di un olio prezioso. Certo in questo onore dato a Gesù si può mescolare – come accade sempre in ogni cosa che viene dal cuore umano – l’ambiguità della vanagloria, del possesso. Ma al contrario, una posizione 'pauperista' corre lo stesso rischio.
Chi infatti potrebbe dire, senza essere superbo e vanitoso: non ho bisogno di abbellire la casa in cui ti accolgo perché, caro ospite, ti deve bastare la mia presenza? Il problema non è mai la povertà, ma l’essenzialità, ovvero che tutto tenda all’essenziale. Una stanza spoglia che non richiami al mistero di Cristo sarebbe inutile come e quanto una stanza bella che non richiami a quel medesimo mistero. E di certo, come vediamo spesso, la forza di tale richiamo sta nella vita e nella esperienza di chi abita la casa, ma anche – mutando storicamente stili e gusti – negli occhi di chi la visita. Se perdiamo la capacità di leggere i capolavori di Michelangelo come erano per lui – mendicante supremo della forza del vero Artista – possiamo vedere in tutto solo vuoto, sfarzo e vanità. Nulla è meccanico nel cuore e nello sguardo. Occorre sempre, in uno sperduto tugurio dell’Africa più dimenticata o nella stanza affrescata di un santuario barocco, richiamare a se stessi l’essenziale per cui ci si trova lì. La povertà è segno potente, almeno quanto la bellezza. Ci può essere una vanità, un vuoto di Lui anche nella miseria e nella povertà, come nello sfarzo. E una gloria, una essenziale preghiera, nel genio dell’artista e dell’architetto come in quella del bambino che pulisce i gradini di una chiesa fatta di paglia e terra secca.
Davide Rondoni
esemplari di una specie in via di estinzione 7- davide rondoni
su avvenire ogni giorno c'è il mattutino, una piccola rubrica quotidiana che offre al lettore uno spunto di riflessione, anche due. per anni è stato curato da monsignor ravasi, che di solito partiva da una citazione, per finire con un'altra. e a me le citazioni piacciono. poi, si sono alternati molti altri.
la settimana scorsa per esempio c'era marina corradi, di cui leggo sempre con piacere le tragicomiche cronache di vita famigliare; però il mattutino è un'altra cosa.
oggi ho comprato il giornale perchè al martedì e al giovedì mettono il giornalino per bambini, popotus, e ad agostino piace molto, l'idea di leggere anche lui il giornale come i grandi, e a me piace ch gli piaccia.
gli dò un'occhiata e vedo che il mattutino adesso è affidato a davide rondoni.
davide rondoni, come tanti, come pochi, anzi, è un outsider. categoria, se categria si può definire, che io prediligo.
quando sento alla radio gli scrittori che parlano delle loro opere, spesso penso: ma perchè non te ne stai zitto, e lasci che la gente legga il tuo libro, e pensi quello che vuole, che magari gli piace, e ci trova delle cose che tu manco ti sognavi di metterci dentro, invece di queste banalità. lasciate che siano le vostre opere, a parlare, se possono, se ne hanno la grandezza...
con rondoni mi è successo il contrario. perché non ho mai letto qualcosa di suo, poesie, intendo , che sono il suo lavoro, ma mi sono imbattuta sempre per caso in alcuni suoi articoli, sia di critica, sia di commento, e ne sono rimasta ogni volta colpita, perché leggi e senti sempre che dietro c'è dell'altro.
oltretutto, davide rondoni è di Comunione e Liberazione, lo dico così per semplificare perché se uno è outsider, non si può mettergli il cartellino al collo.
io non avevo niente contro quelli di CL. quando sono arrivata a padova, il primo anno che ero iscritta a scienze forestali, una che conoscevo mi ha presentato un suo amico, che andava alla scuola di comunità. praticamente mi sono trovata in una di quelle aule di ingegneria fatte a emiciclo degradante, tipo anfiteatro classico, con uno in cattedra che pareva giancarlo cesana, che faceva un mega cazziatone a tutti perchè non avevano comprato il libro del mese (il compito per casa era leggere un libro che ti dicevano loro, un romanzo, di solito, o un libro del gius) che io la prima cosa che ho pensato è stata ma mica è detto che lo devono comprare dalla tua libreria, magari ce l'hanno a casa, magari l'hanno preso in biblioteca, che cavolo, e poi bisognava distribuire non so quante copie del loro giornaletto, insomma stavano lì tutti zitti a testa bassa, in un silenzio colpevole che non mi è piaciuto per niente, che io ho pensato: ciao, arrivederci. poi ci sono state le elezioni dei rappresentanti degli studenti, e c'era un tipo che mi ha tenuto lì un quarto d'ora, perché sai per noi l'incontro è importante, l'amicizia, e tutte ste cose belle, e io che non conoscevo nessuno ero molto contenta, che ci fossero persone che cercavano di vivere l'incontro con l'altro nel nome di gesù, poi un paio di giorni dopo l'ho rivisto e non mi ha manco salutata, e allora ho pensato: ciao, e basta.
ecco, rondoni mi sa che la prima volta che l'ho letto è stato su Tempi, che è una rivista, non so neanche se esiste ancora, credo di sì, comunque, è una rivista abbastanza vicina a CL, diciamo così.
però mi è piaciuto lo stesso.
ecco, rondoni mi sa che la prima volta che l'ho letto è stato su Tempi, che è una rivista, non so neanche se esiste ancora, credo di sì, comunque, è una rivista abbastanza vicina a CL, diciamo così.
però mi è piaciuto lo stesso.
sabato 13 aprile 2013
finalmente
paolo nori ha avuto un incidente. mentre attraversava la strada, un motorino l'ha investito, ha battuto la testa. si è saputo solo qualche giorno dopo, ma io lo sapevo che era successo qualcosa, perché lui pubblica un post al giorno, e il primo giorno che non l'ha messo ho pensato: sarà in ferie. anche se io che scrivo post lo so che puoi programmarne la pubblicazione, gli metti la data che vuoi tu e la piattaforma li pubblica a quella data lì. e mi pareva strano. poi il giorno dopo ancora non c'era. la cosa si è fatta preoccupante quando è passata la data di un discorso (perché lui mette sulla colonna di sinistra le date dei vari incontri che fa, tipo le letture, i pubblici discorsi ecc.) e quella è rimasta lì. che invece sparisce sempre.
ecco. come i cartelloni già sbiaditi pieni di pubblicità. fanno tristezza.
poi scrive un post strano. che stava per morire. allora cerco e trovo la notizia dell'incidente, e poi tutto un casino perché secondo i sui amici qualcuno non si sa bene per quale oscuro motivo si è inventato tutta la bufala che stava per morire, che invece non è vero, non è mai stato in pericolo di morte eccetera, ma che, non lo sapete come fanno i giornalisti?, macché bufala, fanno sempre così... e comunque uno non lo mettono in coma farmacologico così, per tranquillità. e un trauma cranico è un trauma cranico. e poi niente post, niente tweet, niente di niente neanche su internet...
e quelle stramaledette date dei discorsi, una lista sempre più lunga, sempre più ferma. che non le ha ancora cancellate.
oggi finalmente appare un post, uscito su libero, pure.
sono contenta.
domenica 7 aprile 2013
stima
io, mio marito, lo so che è bravo, a fare il suo lavoro.
è per quello che mi racconta.
per come mi spiega le cose quando glielo chiedo.
che io, non lo so come faccia, ma sa sempre tutto. quand'è che, dov'è che, chi era quello...
che a me, gli uomini che sanno le cose che non so, non so com'è, ma mi affascinano.
beh, insomma, se uno mi chiede se mio marito è bravo a fare l'insegnante, io gli dico, sì, certo, è bravissimo. perché io lo so che è bravo.
qualche tempo fa, a casa di un'amica che vedo una volta l'anno, sento che lei gli fa: com'è, com'è lei come insegnante? è brava?
e lui ha detto: ah, non so.
l'ho sentito, anche se ho fatto finta di no.
e ogni tanto me lo risento, in testa.
sabato 6 aprile 2013
dall'esilio 2
...Comunque, se vogliamo avere una parte più importante, la parte dell'uomo libero, allora dobbiamo essere capaci di accettare - o almeno di imitare - il modo in cui un uomo libero è sconfitto.
un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno.
Josif Brodskij, La condizione che chiamiamo esilio
venerdì 5 aprile 2013
dall'esilio 1
(...)
Chi scrive una poesia la scrive soprattutto perché l'esercizio poetico è uno straordinario acceleratore della coscienza, del pensiero, della comprensione dell'universo.
Quando si è provata una volta questa accelerazione non si è più capaci di rinunciare all'avventura di ripetere quest'esperienza, e si cade in uno stato di assuefazione. (...)
Chi si trova in un simile stato di dipendenza rispetto alla lingua è, suppongo, un poeta.
Josif Brodskij, da Un volto non comune - discorso per il nobel
lunedì 1 aprile 2013
effetto mozart? 2
copio qui un articolo uscito oggi sul corriere della sera eprchè magari poi lo cancellano
Studiare musica da piccoli
La
musica fa bene al cervello. Soprattutto se si impara a suonare uno
strumento nei primi anni di vita: stando a una ricerca canadese
pubblicata sul Journal of Neuroscience,
farlo migliora le connessioni cerebrali, contribuisce a un miglior
sviluppo del cervello e rende più abili in compiti che richiedono
destrezza nei movimenti.
STUDIO – Per lo studio sono stati
esaminati 36 musicisti adulti, sottoponendoli a un test motorio mentre
il loro cervello veniva analizzato con una speciale tecnica di risonanza
magnetica, l'imaging con tensore di diffusione, che permette di
valutare le connessioni nervose con ottimo dettaglio e nella loro
tridimensionalità. Metà dei partecipanti aveva iniziato a studiare
musica prima degli otto anni, l'altra metà solo in seguito, ma tutti vi
si erano applicati per lo stesso numero di anni; tutti i dati sono stati
poi confrontati con quelli ottenuti sottoponendo agli stessi test
persone che non avevano mai studiato musica sul serio. Ebbene, pare
proprio che studiare le note faccia bene: chi aveva iniziato prima dei
sette anni mostrava infatti una maggiore abilità motoria e in questi
soggetti, peraltro, era più abbondante la sostanza bianca nel corpo
calloso, il fascio di fibre che connette le regioni motorie dei due
emisferi. «Quanto prima i soggetti avevano iniziato ad applicarsi allo
studio della musica, tanto più risultavano abbondanti le connessioni
cerebrali – hanno spiegato gli autori –. Con i test di risonanza inoltre
non abbiamo visto differenze fra chi non era un musicista e chi aveva
iniziato a studiare uno strumento dopo l'infanzia: evidentemente lo
sviluppo cerebrale viene potenziato se e solo se si comincia presto».
ABILITA' MOTORIE – Secondo i ricercatori fra i sei e gli otto anni ci sarebbe infatti una vera e propria «finestra sensibile», durante la quale un «allenamento musicale» riesce a interagire con il normale sviluppo cerebrale modificandolo in positivo, producendo cambiamenti a lungo termine con effetti vantaggiosi sulle abilità motorie. «Imparare a suonare uno strumento richiede un buon coordinamento fra le mani e gli stimoli visivi e uditivi – dice Virginia Penhune, psicologa della Concordia University di Montreal e coordinatrice dello studio –. Probabilmente iniziare intorno a sette anni necessita della “costruzione” di una struttura cerebrale adeguata, ottenuta potenziando le connessioni fra aree motorie e sensoriali del cervello in un'età in cui l'anatomia è ancora sensibile ai possibili cambiamenti di struttura, in cui c'è una maggiore “malleabilità” del sistema». I test effettuati non avevano per oggetto competenze motorie strettamente connesse alla pratica di uno strumento, per cui gli studiosi suggeriscono che i benefici dello studio precoce delle note non si esauriscano nell'abilità a suonare. «Tuttavia – riprende Penhune – le migliori capacità motorie e di coordinamento acquisite con una pratica musicale fin dalla più tenera età non implicano automaticamente che basti iniziare a suonare presto per diventare ottimi musicisti o “geni” in senso lato: le performance di uno strumentista hanno a che vedere con le abilità tecniche, ma anche con la capacità comunicativa, lo stile, l'entusiasmo. Tutti parametri che non abbiamo misurato: iniziare presto a studiare musica in altri termini può aiutarci a far esprimere il genio, ma probabilmente non ci renderà un genio in assenza di altre, più impalpabili qualità».
Elena Meli1 aprile 2013 | 12:25
Studiare musica da piccoli
migliora lo sviluppo del cervello
Imparare a suonare uno strumento fra sei e otto anni stimola le connessioni del cervello e affina le capacità motorie
ABILITA' MOTORIE – Secondo i ricercatori fra i sei e gli otto anni ci sarebbe infatti una vera e propria «finestra sensibile», durante la quale un «allenamento musicale» riesce a interagire con il normale sviluppo cerebrale modificandolo in positivo, producendo cambiamenti a lungo termine con effetti vantaggiosi sulle abilità motorie. «Imparare a suonare uno strumento richiede un buon coordinamento fra le mani e gli stimoli visivi e uditivi – dice Virginia Penhune, psicologa della Concordia University di Montreal e coordinatrice dello studio –. Probabilmente iniziare intorno a sette anni necessita della “costruzione” di una struttura cerebrale adeguata, ottenuta potenziando le connessioni fra aree motorie e sensoriali del cervello in un'età in cui l'anatomia è ancora sensibile ai possibili cambiamenti di struttura, in cui c'è una maggiore “malleabilità” del sistema». I test effettuati non avevano per oggetto competenze motorie strettamente connesse alla pratica di uno strumento, per cui gli studiosi suggeriscono che i benefici dello studio precoce delle note non si esauriscano nell'abilità a suonare. «Tuttavia – riprende Penhune – le migliori capacità motorie e di coordinamento acquisite con una pratica musicale fin dalla più tenera età non implicano automaticamente che basti iniziare a suonare presto per diventare ottimi musicisti o “geni” in senso lato: le performance di uno strumentista hanno a che vedere con le abilità tecniche, ma anche con la capacità comunicativa, lo stile, l'entusiasmo. Tutti parametri che non abbiamo misurato: iniziare presto a studiare musica in altri termini può aiutarci a far esprimere il genio, ma probabilmente non ci renderà un genio in assenza di altre, più impalpabili qualità».
Elena Meli1 aprile 2013 | 12:25
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