In che modo, dunque, si segnalarono quei pochi che, in ogni ambito professionale, non collaborarono e rifiutarono ogni compromissione col regime [ nazista], anche senza potersi ribellare apertamente? (...)
I non-partecipanti, definiti irresponsabili dalla maggioranza dei concittadini, furono gli unici che osarono giudicare da sé; e furono in grado di farlo non perché disponessero di un migliore sistema di valori o perché i vecchi standard di moralità restassero ben piantati nelle loro teste. (..).
Direi dunque che i non-partecipanti furono semmai coloro le cui coscienze non funzionarono in un modo, per così dire, tanto automatico - come se disponessero di un insieme di regole innate o apprese da applicare ai singoli casi, di modo che ogni esperienza nuova fosse sempre pre-giudicata e non ci fosse che da agire di conseguenza. Il loro criterio, a mio parere, fu diverso: essi si chiesero fino a che punto avrebbero potuto vivere in pace con la propria coscienza se avessero commesso certi atti; e decisero che era meglio non fare nulla, non perché il mondo sarebbe cambiato per il meglio, ma perché questo era l'unico modo in cui avrebbero potuto continuare a vivere con se stessi. (...)
Per dirla in modo crudele, ciascuno di loro rifiutò l'omicidio: non perché volesse continuare a obbedire al comandamento 'non uccidere', ma perché non voleva passare il resto dei suoi giorni con un assassino - se stesso.
Il requisito per questo tipo di giudizio non è un'intelligenza altamente sviluppata o chissà quale malizia in faccende morali, ma semmai la predisposizione a vivere assieme a se stessi, ad avere rapporti con se stessi, cioé ad impegnarsi in quel dialogo silente con se stessi che, dai tempi di Socrate e Platone, siamo soliti chiamare pensiero. (...)
Il totale collasso morale durante il regime di Hitler può insegnarci che in tali circostanze coloro che hanno cari i valori etici e ci tengono alle norme e agli standard morali non sono gente affidabile. (...) Molto più affidabili, in casi come questi, si rivelano i dubbiosi e gli scettici, non perché il dubbio o lo scetticismo siano un bene in sé, ma perché grazie ad essi ci abituiamo a esaminare le cose e a farci una nostra idea in proposito. I migliori tra tutti sono quanti hanno una sola certezza: qualunque cosa accada, finché vivremo, dovremo continuare a convivere con noi stessi.
HANNAH HARENDT, La responsabilità personale sotto la dittatura, in Responsabilità e giudizio, Torino 2004, pp.36-38
Nessun commento:
Posta un commento